A questo punto meglio i conservatori

𝐀 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐦𝐞𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢
E se a questo punto l’unica alternativa seria alla dominazione tecnocratica e progressista in Italia e in Europa fosse un audace movimento conservatore?

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A questo punto meglio i conservatori

E se a questo punto l’unica alternativa seria alla dominazione tecnocratica e progressista in Italia e in Europa fosse un audace movimento conservatore? La politica non c’è più, ha un ruolo subalterno e irrilevante, sono scomparsi i suoi temi storici, civili e sociali; tutto è in balia della tecnocrazia e della finanza, delle grandi piattaforme globali e dei poteri sovranazionali. Gli argomenti cruciali sono la sanità e il clima, gli Stati sovrani sono incrostazioni mal sopportate e residuali. A tracciare la linea sono i magistrati e i moralisti.

In Europa non c’è più una reale differenza tra partito popolare europeo, liberali e socialisti; sui temi di fondo sono dalla stessa parte, in molti paesi sono alleati o intercambiabili. Sono vagoni di uno stesso treno, un serpentone convogliato sugli stessi binari, verso la stessa meta. Hanno un comune nemico che chiamano nazionalismo e anche peggio. Hanno eretto un muro contro i sovranisti e i populisti nazionali; gli altri populisti ̶ ecologisti, catto-progressisti e grillini ̶ sono invece ammessi. Anzi i grillini si accingono a diventare una corrente interna ai socialisti europei.

L’Europa ha adottato in modo uniforme un codice ideologico di derivazione liberal, radical, eco-progressista a cui si attengono anche i suoi organismi istituzionali, le corti europee e i suoi vertici. I popolari, un tempo d’ispirazione cristiana, vanno al rimorchio, al più provano a temperare e tardare alcuni impatti e alcune proposte ma ormai non sono più alternativi bensì complementari. Con buona ragione si può parlare di tradimento dei popolari che hanno ridotto a scelta privata e irrilevante l’ispirazione cristiana, e hanno espulso perfino un popolare antico come Orban, leale ai principi, la storia e i valori cristiani dei Popolari in vigore fino a ieri.

Dall’altro versante, la riscossa populista e sovranista, annunciata tre anni fa, non si è coagulata, non ha sfondato, non ha trovato saldi punti di convergenza e praticabili prospettive di agibilità politica. Restano alcuni Stati, come l’Ungheria e la Polonia, e altri più timidamente, e poi nulla. Non c’è un vero collegamento generale.

Intanto c’è una pressione incessante sui centro-destra a diventare liberali, europeisti, moderati, popolari, isolando sovranisti, populisti e nazionalisti; un’istigazione continua a seguire il tradimento dei popolari e conformarsi. In caso contrario le destre vengono squalificate come nemiche dell’Europa, della modernità, della democrazia liberale. I popoli sono più attratti dalle posizioni radicali, populiste e sovraniste; i poteri invece pretendono abiure e conversioni liberali.

A questo punto l’unica via realistica e praticabile è riattivare una delle grandi tradizioni politiche e culturali europee, una tradizione che si può definire di destra e che è sempre stata fieramente legata all’identità nazionale ed europea: la tradizione conservatrice. Essere conservatori, si sa, da noi è ancora una parolaccia, un insulto affibbiato ai nemici per screditarli. Ma per opporsi al fronte progressista, socialista, radical e liberal e incalzare i verdi e il moderatismo popolare e la fuga-tradimento dalla sua stessa storia, non restano che i conservatori. Anni fa dicevamo che ci vorrebbe un conservatorismo spigliato, ribelle e innovatore negli assetti quanto conservatore sui principi e la difesa delle tradizioni. Al posto dei conservatori tromboni e antiquati, immaginavamo un “conservatore spettinato”; e a vedere oggi Boris Johnson, conservatore e spettinato, ci pare incarnato il prototipo. Il problema è che oggi si dichiarano apertamente conservatori i leader di due nazioni che sono a ridosso dell’Unione Europea ma non ne sono dentro: l’inglese Johnson e il russo Vladimir Putin. All’interno dell’Europa ci sono paesi che si possono considerare guidati da conservatori, e c’è qualche mezzo conservatore tra l’est e la Mitteleuropa, ma non c’è un cartello conservatore né un grande paese guida. C’è nel parlamento europeo il gruppo conservatore la cui presidente è Giorgia Meloni; però ha qualche ritrosia a definirsi conservatrice in Italia, sapendo la diffidenza che c’è in Italia verso i conservatori e la sua matrice sociale e nazionale di provenienza.

Sarebbe utile proporre la scelta conservatrice in Italia a tutto il centro-destra, ben oltre il berlusconismo. C’è da difendere gli stati, le sovranità, la natura, le tradizioni, la famiglia, la civiltà europea dalla decadenza. Nessuno può attaccare la tradizione conservatrice sotto il profilo della legittimazione e della piena cittadinanza nell’Europa libera e democratica.

A tale proposito segnalo lo sforzo che viene compiuto dal gruppo di Nazione futura che inaugura a Roma martedì prossimo “La casa dei conservatori”. La casa editrice di questo gruppo, guidata dal giovane Francesco Giubilei, ha pubblicato un vademecum biografico e filosofico di Roger Scruton, Vivere conservatore (ed. Giubilei Regnani), che è il frutto di conversazioni tra il filosofo recentemente scomparso e Mark Dooley. Scruton era un sessantottino scappato di casa ma quando venne a vivere a Roma, a Campo de’ Fiori, si trasformò da ribelle, figlio dei fiori, in un fautore dell’ordine e dei principi conservatori.

Sappiamo bene che riparlare di categorie politiche in questa situazione significa compiere un tentativo quasi disperato; ma per chi fa politica o pratica la cultura politica provare a smuovere gli assetti e le sabbie mobili è un dovere e un necessità. Quel che manca a Salvini e Meloni non è un vecchio o un nuovo alleato di centro, moderato, popolare e liberale; ma un solido nucleo conservatore che abbia senso dello Stato e della tradizione contro chi vuole cancellare la storia, mutare la natura e correggere la realtà della vita. Il paradosso è fondare ex-novo un asse politico antico, imperniato sulla tradizione.

MV, La Verità (14 novembre 2021)