E se il Pd ripartisse da Veltroni?

𝐄 𝐬𝐞 𝐢𝐥 𝐏𝐝 𝐫𝐢𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐬𝐬𝐞 𝐝𝐚 𝐕𝐞𝐥𝐭𝐫𝐨𝐧𝐢?
Dal 26 settembre scorso il Partito Democratico è entrato in un coma politico che durerà almeno cento giorni

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E se il Pd ripartisse da Veltroni?

Dal 26 settembre scorso il Partito Democratico è entrato in un coma politico che durerà almeno cento giorni, considerando che solo in gennaio con il congresso, è previsto il relativo passaggio di consegne tra Enrico Letta e il suo successore. Fino allora, i Dem vivranno in uno stato fluido e confusionale, con una leadership dimissionaria e depressa e un partito disorientato e incattivito. L’eredità che lascia è quella di un partito eurodraghiano ma voglioso di ingrillirsi, mosso solo dalla paura/disprezzo verso la destra; un partito attestato sui diritti civili, impedito sui diritti sociali, privo di smalto e di prospettiva, cupo e presuntuoso. Schiacciato tra CalendaRenzi e Contegrillini, non ha oggi un profilo, uno spazio politico, una linea strategica, vive solo dei rimasugli delle esperienze passate e si aggrappa sul piano emotivo solo al vecchio, rancido antifascismo e derivati tossici. Le ultime leadership, dopo quella egocratica di Matteo Renzi, sono state sbiadite e sfuocate, con una contraddizione di fondo: da un verso il Pd è stato il partito dell’establishment e dei poteri forti; dall’altro è andato al rimorchio dell’antipolitica, ora al traino dei grillini, ora all’ombra di Draghi e degli eurotecnici.

Tra i numerosi danni contratti nel governo coi 5 Stelle, i Dem hanno compiuto anche un atto che ora gli si ritorce contro: alleandosi con i grillini hanno sdoganato l’ignoranza, l’impreparazione e l’incultura al potere. Sarà difficile ora sostenere che la destra è inadeguata a governare perché rozza, incolta e impreparata, dopo aver governato insieme ai grillini di Fico e Di Maio, solo per citare due campioni vistosi.

Diventando invece il megafono di Draghi e del mondo che Draghi rappresenta, sarà difficile per i Dem recuperare credibilità tra gli operai, nei ceti popolari, tra la gente comune, un tempo di sinistra. Hanno scelto la Cupola, non possono ora tornare in fabbrica, nei quartieri popolari, tra i proletari, salvo i migranti.

Letta ha invocato dopo di lui un giovane e l’ideale per loro sarebbe davvero trovare un ragazzo prodigio che possa ridare linfa ed energia al Pd. Ma nell’attesa che si scopra questo giovane favoloso che salverà il Pd dal suo declino politico, cosa fare, a chi affidarsi? Allo stato attuale nessuno dei giocatori dem in campo o ai suoi bordi può aspirare al ruolo di federatore, di sintesi e mediazione tra le varie componenti. E nessuno dei nomi che si fanno ha la statura di leader nazionale.

Se posso dare un consiglio non richiesto, non gradito, ma non perfido e fraudolento, direi: perché non ripartite dall’inizio, dal fondatore del Pd, da Walter Veltroni? E’ lui che rappresenta l’anima profonda dei Dem, il loro passaggio dal vecchio Pci al partito simil-americano e ulivista; il fondatore della sinistra un po’ liberal un po’ radical, catto-umanitaria, buonista fuori ma intollerante dentro. Veltroni è l’incarnazione dello “spirito santo progressista” per salvare la sinistra. Se Bersani era il padre, Letta il figlio, chi può essere lo Spirito Santo se non papa Walter? E’ il più a sinistra tra gli ulivastri e il più ecumenico dei sinistri. Viene dal Pci ma amava Kennedy, è l’anello di congiunzione tra Berlinguer e Prodi, è un Prodi “vegano”, cioè demortadellizzato; lui unisce Pasolini e Woody Allen. In questi anni si è tenuto al di fuori delle parti; si è dato al cinema e alla tv, alla letteratura, ai gialli e alla cronaca, al giornalismo e ai premi letterari, ai docufilm e agli amarcord, rappresenta il fanciullino della sinistra e insieme i seniores della vecchia guardia. Come gli orrori del comunismo sono stati messi in carico a Stalin, così le brutture del Pci sono state scaricate tutte su D’Alema. Veltroni ne è uscito poco sfiorato, appare già iscritto al Pd quando c’era il Pci. Non evoca l’Unione sovietica o il comunismo, se non di striscio, fu l’ultimo sindaco di Roma che potè scialare prima della crisi finanziaria, ma anche nelle vicende di malaffare capitale che si ramificò pure sotto la sua amministrazione, ne è uscito miracolosamente indenne. Una prova in più che lo Spirito santo è dalla sua parte, Suor Veltrona di Calcutta, missionaria in Africa, ma solo ad honorem, come tutti gli espatriati rimasti in Italia a ogni vittoria del centro-destra.

Ho scherzato naturalmente, Veltroni mi perdoni, ma la tesi è seria e concepita davvero nell’interesse del Pd, mettendomi, con molta fatica e riluttanza, nei loro panni. Non so quanto sia d’accordo l’interessato che sta studiando da presidente della repubblica, o da vicario di Bergoglio e non vuole bruciarsi tornando a bordo sulla nave Discordia dei Dem. Ma credo che sia la soluzione più decente per salvare i Dem e non sfornare un ennesimo trans-segretario, dalla breve durata.

Alla fine però devo confessare un piccolo interesse fraudolento, aggiuntivo. Veltroni è oggi ubiquo, dilaga in ogni campo, tutte le vie della comunicazione e della cultura portano a lui, appare un genio leonardesco a giudicare dagli infiniti campi d’interesse e dalla quantità industriale di libri che sforna. Si diceva che ha scritto più libri di quanti ne avesse letti. Sul piano culturale la parabola del Pd è la seguente: da Gramsci a Umberto Eco, poi venne Veltroni (si scalda ai bordi la Ferragni). Veltroni era considerato pure il direttore in pectore del Corriere della sera, di cui un suo ex redattore de l’Unità è ora direttore; intanto è lui l’editorialista di riferimento. Presiede perfino il Premio Campiello e il Premio Boccaccio per le sue note virtù letterarie e il suo prestigio assoluto di critico. Se invece tornasse alla politica attiva, ci libereremmo della sua onnipresenza. Richiamatelo dunque sotto le armi e le insegne del Partito Democratico. Se non volete farlo per il bene del Pd, fatelo per il bene dell’Italia.

La Verità – 5 ottobre 2022