La fiera dei miracoli

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La Fiera del Levante era per noi pugliesi dellā€™antichitĆ  la globalizzazione portata direttamente a casa nostra.

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La fiera dei miracoli

La Fiera del Levante era per noi pugliesi dellā€™antichitĆ  la globalizzazione portata direttamente a casa nostra. Tu uscivi di casa, prendevi il motorino, la macchina o la Marozzi, il pullman dellā€™epoca, sostituito poi dalle Autolinee Scarcia, e andavi a vedere il mondo che si esibiva a due passi dallo Stadio della Vittoria, alle porte di Bari. Un corso breve ma intensivo di sprovincializzazione, un giro del mondo in ottanta stand; e tornavi a casa che ti sentivi uomo di mondo, con lā€™aria vitazzuola di chi ne ha viste di tutti i colori, facendo un giro a piedi in quel mappamondo virtuale.

Mi ricordo da bambino cosā€™era per noi di paese quella festa non patronale, non civile, ma giocosa e commerciale, che si teneva sul lungomare a Bari. La gioia di andare a Bari, e di varcare la Porta dā€™Oriente delle Meraviglie, e visitare tutti i desideri. Il paese dei balocchi. Lā€™invidia per chi riusciva ad accaparrarsi il biglietto gratis o aveva comunque il privilegio dellā€™ingresso libero per via di parenti o conoscenti. Gli apprensivi che giĆ  cominciavano a comprare roba prima di entrare nella fiera dai vuā€™cumprĆ  del posto; e sā€™incrociavano con i pentiti che insoddisfatti degli scarsi acquisti fatti in fiera si rifacevano in extremis, comprando le ultime cose nella corte dā€™appello dei rivenditori ambulanti.

Ma dentro le fauci della Fiera era tutta una magia, uno spettacolo. Appena varcata la soglia dei cancelli, ti sentivi entrato in un film o in una leggenda, incluso in un mondo festoso; cercavi cappellini, zucchero filato e pop corn ā€“ come gli americani ā€“ per integrarti nella fiction levantina. Persino gli altoparlanti che spacciavano messaggi pubblicitari sembravano introdurti in un mondo favoloso e parallelo, inaccessibile nella vita quotidiana. Ti muovevi seguendo le folle, o se misantropi scansandole, seguendo itinerari alternativi e andando contro corrente. Ma ti muovevi soprattutto sentendo gli odori, perchĆ© la fiera era olfattiva. Le merendine Aida avevano un successo strepitoso; deludenti nel sapore, ma lā€™odore ti stregava, come la catena di montaggio delle merendine. Ma forte era pure lā€™odore delle patate fritte, dei pop corn, delle mandorle pralinate, dei gelati appena sfornati. Obbligato era il pellegrinaggio al padiglione della Germania per accaparrarsi il sontuoso panino col wurstel, senape e crauti.

Poi tā€™imboscavi nelle nazioni esotiche, viaggiavi dai Caraibi allā€™India, passando per lā€™Africa e per la Russia con le sue matrioske. Cā€™erano nazioni affollate e altre desolate, anche sfigate. Non mancava la fiera dei luoghi comuni: la Svizzera con gli orologi a cucĆ¹ e la cioccolata, lā€™Olanda coi tulipani e gli zoccoli, la Francia coi formaggi e la coppa di champagne, il Giappone coi transistor e le macchine fotografiche, la Spagna coi tori, lā€™Egitto coi cammelli, il Brasile col caffĆØ. Non cā€™era ancora la Colombia con la droga, ma si sentivano le prime sniffate. Ricordo il quartiere dei trattori e degli attrezzi agricoli che ti facevano sentire nei documentari agricoli dellā€™Unione Sovietica. E poi le novitĆ  tecnologiche, e tutti quegli attrezzi che tritavano carote e ortaggi e la gente che stava a sentire i piazzisti e gli imbonitori come se fossero predicatori e narratori. BenchĆ© inventata sotto il regime fascista, voluta da don Araldo di Crollalanza, la Fiera del Levante era per noi una full immersion dā€™americanizzazione e di mondialismo; e un incentivo al consumismo militante, compulsivo. Quel che faceva piĆ¹ impressione a noi bambini era trovare il riassunto dellā€™umanitĆ , neri, gialli, nordici, una volta perfino due esquimesi in un finto igloo ed un mezzo Tarzan scappato dalla giungla o da un manicomio. PiĆ¹ qualche bonazza, svedese o brasiliana.

Ma anche nella case, la Fiera compiva un miracolo a distanza. La televisione che di giorno solitamente dormiva, cominciando i suoi programmi il pomeriggio e finendoli poi in serata, nei giorni della Fiera compiva un prodigio: trasmetteva ogni mattina film vecchi, soprattutto americani. Era tra le cause piĆ¹ rilevanti di ā€œfrusciaā€ o assenteismo sociale (a scuola si andava solo il 1 ottobre, a Fiera finita). Poi quando chiudeva i battenti, ci riscoprivamo paesani, baresi, pugliesi, mangiatori di cozze pelose. E ci chiedevamo come fosse possibile che tutto quel bendidio sparisse da un giorno allā€™altro, e finita la fiaba felliniana, restasse solo un cancello e un vuoto immenso al posto di quel mondo alternativo. La Fiera era il sogno collettivo di fine estate. MadĆ² che sogno.

La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 ottobre 2022