La parabola del grillismo era già scritta

𝐋𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐚𝐛𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐫𝐢𝐥𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐞𝐫𝐚 𝐠𝐢𝐚̀ 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐚
Non so se sia veramente colpevole Beppe Grillo, e fino a che punto, e non mi piace la concomitanza dell’accusa con le votazioni per il Quirinale e col sisma che toccherà di conseguenza il governo.

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La parabola del grillismo era già scritta

Non so se sia veramente colpevole Beppe Grillo, e fino a che punto, e non mi piace la concomitanza dell’accusa con le votazioni per il Quirinale e col sisma che toccherà di conseguenza il governo. So però che agli occhi del grillismo Grillo è già colpevole; il traffico d’influenza è ai loro occhi giacobini un reato grave e già di per sé evidente. Ma non starò lì a insistere su questo punto; e nemmeno starò lì a gongolare perché anche loro, ancora una volta, si sono dimostrati come e peggio degli altri, comunque il contrario di quel che dicevano di essere e uguali a quelli che volevano punire e cacciare dalla politica. No, non mi fa piacere questa ennesima capitolazione della politica, questa ennesima prova del suo degrado. Però aggiungo: era prevedibile, prima o poi sarebbe successo. Perché la rabbia, l’odio, il rancore verso i potenti non bastano a fondare una linea politica alternativa e rigorosa, non sono la garanzia di diversità nei comportamenti; sono soltanto la rabbia di chi non ha potere. Poi, una volta giunti nelle stanze del Palazzo, la rabbia non si tramuta da sola in onestà, lealtà, trasparenza di governo, dirittura etico-morale. Semplicemente si sgonfia, come un pallone d’aria viziata. Perché non basta esser contro per essere migliori di chi si avversa; bisogna avere qualcosa in più di diverso, che non dipende dagli altri.

C’è un fattore decisivo ma trascurato che genera e rigenera la corruzione. Un fattore che i magistrati, le forze dell’ordine e le norme anti-corruzione non possono debellare ma è il principale mandante del malaffare. Chiamiamolo fattore M come Motivazione. È un fattore psicologico ma la sua incidenza è enorme sull’agire politico, sulla pratica quotidiana e sui comportamenti. Di che si tratta? Gli italiani, incluse le classi dirigenti, sono demotivati, hanno perduto la molla che li sospinge. La politica, in particolare, ha perso le motivazioni che la muovono. Le motivazioni possono essere pubbliche o personali. Le prime sono in larga parte motivazioni ideali. Muovono leader, élite e popoli sul filo della Grande Motivazione, che tante volte si è rivelata poi una Grande Delusione o una Nociva Illusione, ma che li spinge ad agire, a fondare, a perseguire un fine comune. Motivazioni di ordine religioso o morale, storico o ideologico, etico o politico. Costituiscono da sempre il sostrato di una civiltà, quel che la unisce e la anima.

Le motivazioni pubbliche si intrecciano al movente personale che nasce dalla legittima sete di riconoscimento, dall’ambizione di distinguersi, dal desiderio di veder riconosciuti i propri meriti, in un scala che va dalla buona reputazione alla gloria. L’agire umano, e l’agire politico in particolare, è spinto dalle due motivazioni, l’amor patrio e l’amor proprio. Certo, le motivazioni non escludono la corruzione, ma sono un argine. Nella migliore delle ipotesi, la motivazione superiore frena la corruzione individuale e l’amor proprio tiene troppo al buon nome per rischiarlo nella gogna mediatico-giudiziaria. Nella peggiore delle ipotesi la motivazione non esclude la corruzione come mezzo al suo servizio, ovvero si usa la corruzione per conseguire il disegno politico; oggi è invece più frequente il caso inverso, che si usa il disegno politico per conseguire il vantaggio individuale. Sarà deplorevole quando il fine giustifica i mezzi ma certo è spregevole quando i mezzi sostituiscono i fini.

Se una persona, un movimento, un popolo perde la sua motivazione sia nel senso della missione sia nel senso della buona fama, il tessuto civile degenera. La corruzione diviene inevitabile, deborda, ognuno coltiva un risentimento di rivalsa perché si sente non riconosciuto nei suoi meriti né motivato da alcun mito o ideale di riferimento. E cerca di risarcirsi migliorando il suo status e il suo tenore di vita, sibi et suis. C’è un nesso strettissimo tra la crescita della corruzione e il declino della meritocrazia. Le capacità non vengono riconosciute, i meriti non contano nulla, la memoria collettiva è labile e dimentica il bene come il male, i meriti come i demeriti, il decoro come l’indecenza. L’onorabilità decade al rango d’immagine, così la dignità degrada a pura apparenza e simulazione. E come dice il personaggio goldoniano, se la casa brucia voglio scaldarmi anch’io, ossia trarre profitto dalla rovina, badando ai miei vantaggi personali. Se non c’è gloria cerco denaro, se non c’è stima cerco vantaggio, se non c’è convinzione cerco convenienza. La corruzione si insinua quando non devi render conto a nessuno, né a un dio né alla storia, né a una comunità né alla propria coscienza. Vivi e non rispondi di nulla a nessuno. La corruzione è un fatto mentale, morale e culturale, prima che un abito esterno. La politica e i suoi leader dovrebbero trovare motivazioni all’impegno pubblico e al sentirsi comunità; e poi selezionare i ranghi riconoscendo i meriti e le capacità.

La buona politica non è solo buona amministrazione, ma è buona motivazione. La lotta alla corruzione si occupa degli esiti, ed è compito delle leggi e di chi le applica. La ricerca delle motivazioni, invece, si occupa delle fonti ed è compito della politica e della cultura indicarne di degne. La prima è consuntiva e controlla le risposte, la seconda è preventiva e veicola le domande. La corruzione è un effetto, come l’incorruttibilità; la sua causa è la demotivazione. Mancano i motivi per non cedere alla corruzione. La lotta alla corruzione colpisce la mano che ruba, la motivazione tocca invece la testa che pensa: perché non dovrei farlo? È per questo che il “repulisti” grillino era sin dalle origini solo fuffa, schiuma d’odio senza sostanza. Basta un po’ di potere e diventano come gli altri; solo un po’ più incompetenti.

MV, La Verità (20 gennaio 2022)