La stupida rivolta contro il merito

𝐋𝐚 𝐬𝐭𝐮𝐩𝐢𝐝𝐚 𝐫𝐢𝐯𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐢𝐥 𝐦𝐞𝐫𝐢𝐭𝐨
Ma continueranno ancora nelle scuole a protestare contro il merito e a ritenerlo il peccato principale del governo di destra in tema di istruzione?

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La stupida rivolta contro il merito

Ma continueranno ancora nelle scuole a protestare contro il merito e a ritenerlo il peccato principale del governo di destra in tema di istruzione? La cosa più stupida che un ragazzo possa fare per contestare il nuovo governo è quella di scendere in piazza contro il merito, che il governo ha eletto a criterio principale della pubblica istruzione sin dalla denominazione del ministero. Ma è quello che è accaduto con i primi focolai di rivolta nelle scuole che cercano un pretesto di merito, per non fermarsi solo all’odio preventivo per la Meloni o per menarla col solito fascismo alle porte. Non capiscono che attribuendo al governo la “colpa” di introdurre il merito nella scuola, fanno solo un grande spot in suo favore. Magari solo a parole, ma alla gente piace chi punta sul merito; e insorge, giustamente, quando vede Di Maio e i suoi fratelli grillini riciclarsi con incarichi ben pagati, senza alcun merito, dopo essere stati bocciati dagli elettori.

Contestare il merito e per giunta confonderlo con la produttività, come hanno fatto i primi cortei e striscioni, mi sembra una sciocchezza plurima aggravata. Per cominciare, il merito è una cosa ben diversa dalla produttività, non c’è nessun legame diretto, nessun vincolo logico e pratico tra un criterio fondato sul riconoscimento delle capacità personali e uno utilitaristico fondato sulla logica aziendale, il profitto e il capitale. Volere una scuola meritocratica non significa trasformarla in una fabbrica, ma riportare la missione e la ragione sociale della scuola ai suoi compiti originari: insegnare, selezionare e allargare l’istruzione pubblica.

In secondo luogo rigettare il merito significa tornare indietro più di mezzo secolo e ripercorrere vecchi errori che abbiamo già pagato caro. Significa scimmiottare lo sciagurato sessantotto, che almeno aveva un alibi storico: contestava una scuola un po’ antiquata, a volte incline ad abusare delle cosiddette nozioni, e con un retrogusto selettivo, se non classista, come era nello spirito del tempo. Ma in quegli anni, non avendo esperienza di una scuola senza merito, si poteva ancora pensare con don Lorenzo Milani o con altri profeti e ideologi della protesta, che la nuova istruzione potesse coltivare la generosa utopia di una scuola egualitaria e promotrice di chi ha più bisogno, più coinvolgente, più umana e più moderna di quella dei padri e dei vecchi docenti in cattedra. Ma oggi che abbiamo fatto esperienza disastrosa di quell’utopia, oggi che abbiamo visto e scontato il degrado della scuola demeritocratica, e pure dell’università; oggi che abbiamo visto crescere scuole private per i più abbienti, visto il fallimento dell’istruzione pubblica, con un’ulteriore spinta alla discriminazione fondata sul censo anziché sul merito; oggi che abbiamo provato l’impossibilità di una scuola realmente e proficuamente sociale e popolare in grado di far crescere il livello medio di istruzione e di educazione civica di un paese, mortificando il merito, si può ancora ripetere questa sciocchezza demagogica, che il merito non serve, fa male, discrimina sulla base del censo? Ma se perfino ministri della pubblica istruzioni venuti dal comunismo, come Luigi Berlinguer, cercarono timidamente e malamente di riabilitare il merito nelle scuola, non è del tutto anacronistico e irrealistico scendere ancora in piazza contro il merito? E la selezione sul campo tra chi va all’estero e chi resta in Italia, le spietate leggi del mercato, della domanda e dell’offerta, non ci insegnano esattamente il contrario di quel che sostengono questi nemici ideologici del merito e delle sue applicazioni? Se il merito non conta, sei costretto a partire e andare nei paesi in cui le capacità sono invece riconosciute e premiate. Senza merito la scuola, l’università e la ricerca selezionano alla rovescia.

Il merito non è solo una benemerita forma di selezione fondata sul principio costituzionale di premiare i capaci e i meritevoli; ma è anche storicamente una benemerita forma di promozione sociale per chi non ha altri sostegni che il proprio talento, la propria diligenza di studioso. Ricordo ancora da ragazzo che al liceo il preside raccontava di provenire da una famiglia contadina: aiutava suo padre in campagna prima di andare a scuola. Grazie alla scuola, ai sacrifici e al riconoscimento dei meriti e delle capacità potè andare avanti con gli studi, laurearsi e insegnare. E non era il solo. La meritocrazia è stata per anni il miglior ascensore sociale e l’unica possibilità di compensare chi partiva da posizioni protette e avvantaggiate…

Naturalmente dire merito non significa adottare un solo criterio: ci sono da considerare anche i bisogni, c’è quella che i socialisti craxiani negli anni ottanta chiamavano la dialettica tra meriti e bisogni, che costituiva un passo avanti oltre il socialismo egualitario delle origini. Ma confondere i due piani o sostituire il merito con il bisogno è un’ingiustizia che genera danni sociali e anche personali.

Sinceratevi semmai di due cose. Che il merito non sia solo una parola messa come intestazione a un ministero e poi non abbia corso concreto né verifica sul campo. Ovvero preoccupatevi che non sia pura retorica del tipo “chiacchiere e distintivi”. E poi, se volete obiettare qualcosa a quel riferimento, fate notare semmai il contrario: è troppo riduttivo e inefficace parlare di merito solo nell’ambito della pubblica istruzione. Il merito dovrebbe essere esteso in ogni campo, dovrebbe diventare criterio generale di promozione sociale e di riconoscimento delle capacità a ogni livello, in ogni ambito sociale, professionale e anche politico, dove il merito lascia da sempre molto a desiderare. E dove anche la selezione della classe politica, dei parlamentari, dei ministri, degli amministratori, non segue quasi mai criteri di merito ma di mera affiliazione, di familismo politico, di vassallaggio feudale verso il capo, di cooptazione per pura logica di interessi o di utilità che nulla hanno a che vedere con la qualità e l’eccellenza. Onore al merito, ma non solo a scuola.

La Verità – 25 novembre 2022