Prigionieri del presente

𝐏𝐫𝐢𝐠𝐢𝐨𝐧𝐢𝐞𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞
Intervista a cura di Davide D’Alessandro ⤵️
Prigionieri del presente

di Davide D’Alessandro per Huffingtonpost

Scrive anche sulla Verità, ma sa di non possederla. È troppo intelligente, Marcello Veneziani, per ritenere la sua parola ultima e definitiva. Eppure, la sua parola continua a essere illuminante perché giunge dal disincanto, da un mondo altro, da chi ha passione civile e dolore per ciò che vede, per ciò che abbiamo irrimediabilmente perduto. Nella politica e nella vita, nella politica della vita.

Stai per uscire, da Marsilio, con “La Cappa. Per una critica del presente”. Insomma, questo mondo continua a non piacerti?

“Ne La Cappa sostengo che l’uomo abita cinque mondi: il presente, il passato, il futuro, il favoloso e l’eterno. Vive male se ne perde qualcuno, è folle se ne abita solo uno. E noi da tempo viviamo piegati ‘nell’infinito presente globale’ e non abbiamo altro orizzonte. L’unico modo per pensare il presente è viverlo criticamente, sapendo talvolta immergersi e talvolta emergere dal presente, e ripensarlo con distacco”.

Hai nostalgia degli dei e di cos’altro?

“Gli dei a cui facevo riferimento in un libro di qualche anno fa non erano gli dei del paganesimo ma i principi intramontabili che danno un senso e un destino alla nostra vita. Proprio perché siamo di passaggio sulla terra abbiamo bisogno di proiettarci in stelle che non tramontano. Gli dei sono proiezioni e protezioni di cui abbiamo bisogno per compiere il cerchio della vita, per non dissiparla, per dedicarla, giacché ‘vivere non basta’ ”.

Siamo il Paese di Machiavelli, ma dov’è finita la politica?

“Da troppo tempo la politica ha perso il suo regno. Non produce decisioni né partecipazione perché non trova motivazioni oltre gli interessi momentanei e individuali. Non ha convinzioni ma convenienze. Da tempo la politica è commissariata dall’economia finanziaria e dalla tecnocrazia. Eppure, con tutti i suoi limiti e i suoi errori/orrori del passato, la politica resta pur sempre il campo in cui si rappresentano i valori, i bisogni e gli interessi generali, sia quelli condivisi sia quelli conflittuali. La perdita della politica non riguarda, come pensiamo, solo i politici di professione; è una perdita per tutti. Vituperiamo Machiavelli per il suo cinismo al servizio del potere; ma lui ha teorizzato che il principe, il politico, deve sacrificare all’amor patrio anche l’amor di sé, inclusa la sua anima”.

Angelo Panebianco sostiene che con governi istituzionalmente deboli, senza organizzazioni di partito forti, che abbiano solide culture politiche e un buon radicamento sociale, alla democrazia italiana servono, eccome se servono, i cosiddetti intrusi. Che stiano al Quirinale o a Palazzo Chigi. Concordi?

“Come si fa a non essere d’accordo? Il problema è che si sono essiccate le fonti della politica e della democrazia: se non c’è motivazione e visione, se non c’è formazione e selezione del ceto politico, poi nulla si oppone alla colonizzazione della politica da parte di figure tecnocratiche o antipolitiche, comunque estranee alla ricerca del bene comune, che solitamente rispondono ad altre molle e ad altri poteri non trasparenti, non rappresentativi a livello popolare. È una conseguenza inevitabile”.

So che sei poco interessato alla destra come targa, come icona. Eppure, è fuor di dubbio che un sentimento popolare forte, sui contenuti politici associati alla destra, esiste e resiste ma senza trovare una guida che lo incarni e rappresenti. Quali sono le ragioni profonde che fanno della destra italiana la grande incompiuta?

“La destra politica in Italia è sempre partita dalle piazze e in piazza poi ha concluso il suo percorso. Non tenta strategie di respiro più ampio, non dà peso alla cultura politica, non ha mai cercato di incidere sulla mentalità e sui luoghi in cui si forma il consenso e la visione della gente. Ha tentato la via breve di rappresentare le emozioni e le istanze del momento o si è appellata a nobili repertori antichi, senza lo sforzo di rielaborarli nel presente e renderli calzanti. Continuo a pensare che sia preferibile questa destra al resto, ovvero all’antipolitica, ai tecnici e al mainstream politically correct di sinistra, ma non riesco ad andare oltre questa preferenza preliminare. Anche perché temo che una volta al governo della nazione, non avrebbe la forza, la determinazione e la strategia per opporsi o affrontare i cosiddetti poteri forti; sarebbe soccombente, accondiscendente o spazzata via in breve tempo”.

Silvio Berlusconi è stato più un problema o una risorsa giocata male?

“Berlusconi ha avuto il gran merito di polarizzare la nostra democrazia, fino a generare le basi per l’alternanza; ha rimesso in gioco gli outsider, la destra e la Lega, e ha respinto il giochino ricattatorio che viene di solito imposto ai moderati: rompi con i radicali del tuo schieramento; così indebolito, perdi la partita con l’establishment. Berlusconi è andato avanti. Ma i suoi risultati politici sono stati deludenti e il suo universo politico è puramente egocentrico. Resta un Monarca, in cui lo Stato si riduce a Fatto Personale”.

Gianfranco Fini ha mancato l’occasione o non l’ha mai avuta?

“Fini non ha mai avuto capacità di grande leader ma solo di grande speaker. In tv era credibile, affidabile, anche nelle sue ovvietà, che riflettevano il livello medio della popolazione. ‘Ovviamente’ era il suo intercalare più frequente, e più indicativo. Fino a che qualcuno lo guidava – Almirante, Tatarella o la subalternità a Berlusconi – è cresciuto. Quando si è messo in proprio e ha pensato di poter attaccare Berlusconi e nello stesso tempo disfarsi della sua destra, compiacendo il mainstream e la sinistra, ha mostrato i suoi limiti ed è sparito”.

Giorgia Meloni ha il quid per durare o la consideri di passaggio?

“Meloni è oggi il leader politico più in forma e più incisivo. L’opposizione le ha giovato, ma la lungodegenza all’opposizione può logorarla. Grande leader sul piano della comunicazione e della vis tribunizia, ma non scommetterei sul suo partito e sui suoi ranghi per governare il paese”.

Una volta c’erano i consiglieri che sussurravano ai politici, oggi rischiano di non trovare a chi sussurrare?

“Oggi il politico non vuole consiglieri ma truccatori, incantatori di serpenti, ghost writer, social manager, insomma figure che non concorrono a fondare e indirizzare la sua linea ma a potenziare il suo effetto nel teatrino. Non c’è spazio per Platone e Aristotele, ma manco per Richelieu e Mazarino, bastano La Bestia e Casalino”.

Quale dev’essere, senza scomodare Julien Benda, il ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea?

“L’intellettuale dovrebbe essere colui che ci spinge a non accontentarci di quel che passa il convento, andare oltre il presente e la sua dominazione, far capire che esistono anche altri mondi, come quelli che citavo agli inizi; e altri modi di vedere e capire la realtà. È colui che sa leggere dentro la realtà, come dice l’etimo di intelligenza. Ma spesso intellettuale è la caricatura iperbolica di intelligente, è il kitsch dell’intelligenza”.

Quanto ti appassiona la corsa verso il Quirinale? Anche tu hai un nome da proporre?

“Mi appassiona poco, avrei preferito il Re… Ho proposto Draghi, pur respingendo quasi tutto quel che è, pensa e rappresenta, perché è il più autorevole e credibile a livello internazionale e la sua figura può bilanciare e persino ‘coprire’ un governo politico più audace. Con realismo dico che anziché avere premier finto-populisti, che poi vanno col cappello in mano e strisciano davanti ai poteri forti e alla finanza, meglio avere al posto di un inserviente avventizio, uno della Casa, che almeno non tratta dal basso con i suoi Pari”.

Un elettore su tre nel 2018 ha votato M5S. Il Movimento ha rappresentato l’ultima delusione della (non) politica italiana?

“Era un bluff facilmente prevedibile: non si possono costruire castelli di rabbia, non bastano l’odio e il rancore a fondare una linea politica, a saper governare un paese e saper resistere alle inevitabili tentazioni corruttive del potere. All’opposizione magari potevano anche servire da stimolo, ma al governo è stato un disastro, e costoso. In realtà sono stati l’antipolitica dal basso, che ha legittimato da una parte il rimpianto della vecchia politica (la prima repubblica) e dall’altro l’avvento dell’antipolitica dall’alto, come dominio dei tecnici. Grillo fa rimpiangere Andreotti e fa invocare Draghi”.

Roberto Esposito, riflettendo su pandemia e immunità, si è soffermato sulla morte che sembra stringerci da tutte le parti. Ma la pandemia può essere una buona opportunità per riconsiderare il nostro modo di vivere o, fra un po’, ce la lasceremo alle spalle ricordandola ogni tanto?

“Ho molti dubbi che la lasceremo alle spalle. Ne La Cappa mi sono soffermato sulla Commutazione, ovvero sulla traslazione di atteggiamenti, posizioni e mentalità restrittive indotti dal regime sanitario nella vita pubblica corrente. Vedo una pericolosa restrizione del nostro orizzonte, delle nostre libertà primarie, vedo l’incombere di una cappa soffocante, sorta sempre con l’alibi della paura e della sicurezza, per proteggere i cittadini. Quando l’orizzonte supremo è la vita a ogni prezzo, tutti i compromessi sono possibili, tutte le mortificazioni. Di fatto viviamo ormai da due anni la Mezza Vita, perché sono dimezzate le nostre possibilità, i nostri spazi, i nostri diritti, le nostre relazioni”.

Qualche anno fa hai scritto una lettera agli italiani. Ma, in fondo, hai capito chi sono, chi siamo?

“Non solo, feci anche 80 comizi d’amore all’Italia in tutta la penisola e qualcuno all’estero. Oggi sono ancora più sconsolato, ho qualche esitazione persino ad appellarmi agli ‘italiani’. Siamo in ritirata: demografica, civile, sociale – Spopolo d’Italia – ma anche culturale, spirituale e morale. La pandemia è riuscita perfino a peggiorare la nostra decadenza. Più morti che nati, più vecchi che giovani, più pensionati e assistiti che lavoratori”.

Ho nel cuore il tuo “Imperdonabili. Cento ritratti di maestri sconvenienti”. Hai diviso i capitoli in giganti, idee che mossero il secolo, intelligenze pericolose, spiriti inquieti, sismografi di un’epoca, maestri veri e controversi, penne che lasciano il segno, presenze oniriche e assenze profetiche. Ammetti di avere un debole, tra loro, per Giuseppe Prezzolini?

“No, non ho un debole per Prezzolini, semmai con Prezzolini scopro il mio lato debole: con lui scopro il disincanto, il non nutrire fiducia negli italiani, nel presente, nel mondo circostante. Si diventa conservatori per disillusione, per salvare il salvabile, che è poi la civiltà. Gli Imperdonabili li amo tutti, o quasi, come direbbe Filomena Marturano dei suoi figli, e ti dirò di più: amo ancor più i neonati, una ventina di nuovi imperdonabili, già ritratti, che attendono di aggiungersi ai cento fratelli maggiori”.

E noi li aspettiamo con impazienza, per nascere a nuova vita.