Solo un dio potrà salvare la politica

𝐒𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐨 𝐩𝐨𝐭𝐫𝐚̀ 𝐬𝐚𝐥𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚
Dio non ci lascia in pace nel nostro ateismo pratico e nel nostro nichilismo ludico ma viene a trovarci nelle vesti più impensate e negli ambiti più lontani dalla religione.

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Solo un dio potrà salvare la politica
di Marcello Veneziani
13 Settembre 2023

Dio non ci lascia in pace nel nostro ateismo pratico e nel nostro nichilismo ludico ma viene a trovarci nelle vesti più impensate e negli ambiti più lontani dalla religione. L’altro giorno ho discusso di teologia con Pierluigi Bersani, convocato da Stefano Fassina per la sua scuola di formazione politica. Su simile argomento dialogherò ad Arpino con Fausto Bertinotti. Ma come, parli di teologia con esponenti politici di sinistra, comunisti o ex? In verità ne parlavo già con altri comunisti come Mario Tronti. Di cosa si tratta, mi chiedete prima di chiamare la neuro? No, fermi, si parla di teologia politica.

L’occasione è un libro denso di Geminello Preterossi, Teologia politica e diritto, edito di recente da Laterza. La tesi: viviamo tra surrogati di teologia, in politica, in diritto e in economia ma abbiamo bisogno di un rifondazione della politica su basi forti, come la teologia. Di teologia politica parlò cent’anni fa un gigante, metà giurista e metà pensatore, Carl Schmitt: la politica, diceva, usa concetti teologici secolarizzati, cioè caduti dal cielo in terra, da Dio alla storia. Prima di lui, tre secoli fa, Giambattista Vico ragionava di “teologia civile” e spiegava la mano di Dio che interviene nella storia e ne corregge gli esiti, tramite la Provvidenza.

Partendo da Schmitt, Preterossi (nomen omen) applica la teologia all’egemonia gramsciana e alle politiche moderne fino al populismo, ma anche all’ambito economico, sostenendo che il dominio neoliberista di oggi si fondi su una teologia economica. Lo sostengo anch’io da tempo. Il capitale finanziario è lo stadio teologico dell’economia globale, la ricchezza si fa astratta e invisibile, imperativa e tassativa, si separa dalla realtà delle cose e si lega al controllo del tempo, mediante il credito. In assenza d’eternità, chi dispone del tempo è Signore. Il “denaro” si separa dall’oro e dalla riserva aurea, non ha parametri fuori di sé, si fa entità metafisica autonoma, astratta, come la moneta elettronica e i flussi finanziari. Cadute le altre sovranità, l’economia è sovrana assoluta, universale, misura di tutte le cose e trasferisce la fede nel credito, l’ultimo aldilà o terra promessa. Le banche sono le sue cattedrali, le borse i suoi sinedri, le agenzie di rating il suo Sant’Uffizio. L’interesse non indica più un rapporto tra esseri, interesse, ma tra tempo e denaro. La salvezza è nel differenziale di rendimento. Il credente è ridotto a creditore; il peccatore a debitore. La sua fede usura. L’assetto contabile prevale sulla vita reale dei popoli. Il fittizio si fa reale e viceversa. Il debito sovrano che grava sulle nostre spalle già dalla nascita equivale al peccato originale…

La teologia economica ha preso il posto della teologia politica e delle ideologie messianiche che promettevano il paradiso in terra, il mondo migliore, il passaggio dal bisogno alla libertà. Il messaggio teologico di salvezza terrena è affidato al dispositivo tecno-economico, tecnica più mercato. Ma ogni teologia è anche teleologia, è rivolta a un fine; qual è il fine del tecno-capitalismo? La sua espansione illimitata, la sua potenza. Il fine coincide con l’espansione del mezzo: la tecnica o l’economia sono infatti due strumenti. Teologia nichilista, per così dire. I mezzi sostituiscono i fini, la tecnica sostituisce l’umano.

La teologia politica o civile si può concepire in due modi: come sostituzione di Dio, della teologia, dei contenuti di fede con la storia, l’umanità, la classe e la rivoluzione. Oppure prosegue in terra gli orizzonti trascendenti, senza sostituirli. Per Carl von Clausewitz la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. In questo caso la politica è la continuazione della teologia in altri ambiti, storico-terreni.

Il comunismo fu del primo tipo, una teologia politica sostitutiva della fede; la teologia civile di cui scrive Vico fu invece del secondo tipo, il piano trascendente prosegue sul piano storico, la Repubblica ideale di Platone si cala nella realtà di Romolo. Ma il tema è lo stesso: una società ha bisogno di orizzonti comuni, valori condivisi e non negoziabili, motivazioni alte. Questo patrimonio si chiama religione civile. In Vico la religione civile coincide con la tradizione di un popolo, col senso comune e le consuetudini. Nelle teologie sostitutive, invece, la religione civile è protesa verso un ordine nuovo e un mondo nuovo. La religione civile prevalsa a sinistra è l’antifascismo o nella migliore delle ipotesi il patriottismo della costituzione (a cui preferiamo il patriottismo della tradizione). L’antifascismo a sinistra ha preso il posto dell’anticapitalismo, come i diritti gender hanno sostituito il socialismo.

Il tramonto della teologia ha seguito la stessa parabola del tramonto della politica: prima la sfera teologica è stata distinta e separata dalla vita pubblica, poi è stata privatizzata, resa intima e individuale, infine è stata neutralizzata. La stessa sorte è toccata alla politica. Prima è stata separata dalle idee e dalle visioni, infine ha vinto la spoliticizzazione. E’ una filiera: una volta sfilato il primo grano della collana poi si sfila il seguito. Cent’anni fa Schmitt in Cattolicesimo romano e forma politica difendeva la visibilità della fede e della chiesa; oggi dovrebbe difendere la visibilità della politica, il suo ruolo pubblico, sovrano e decisionale.

Nella fase attuale, il tecno-capitalismo adotta come suo precettore e alibi morale l’ideologia gender, i diritti umani e civili. Un’ideologia compatibile col modello globale, individualista, che sostituisce i diritti coi desideri soggettivi. Contro questo blocco e la sua deriva oligarchica insorge il populismo che ha una grezza matrice teologica (vox populi vox dei) e confida in leader decisionisti. Come reagisce la teocrazia tecno-economica? Sospende la politica nel nome dell’emergenza; è provvisoria ma si passa di continuo da un’emergenza all’altra (sanitaria, bellica, economica, ambientale) e ciò impone di accantonare la politica e i suoi conflitti perché c’è un’urgenza obbligata con relativa unità di direzione. Da qui l’invocazione alla Heidegger: solo un dio potrà salvare la politica. Da cui la teologia…

La Verità – 12 settembre 2023