Enzo Ciconte – La lotta al brigantaggio

La guerra sporca contro i miserabili

LIBRO CICONTELa lotta al brigantaggio nel nuovo saggio di Ciconte

Chi erano? Solo ladri di passo, tagliagole e disperati o anche uomini perseguitati per le loro idee e per le loro azioni contro il potere? Chiamati tutti “banditi” – perché finiti in un “bando” dove erano in elenco con tutti i reati da loro commessi – in realtà in quelle liste figuravano personaggi molto diversi. Negli Archivi di Stato c’è un’imponente documentazione che certifica i loro crimini, romanzi e ballate al contrario ne raccontano le gesta, i testi scolastici quasi li ignorano.

Ma chi erano davvero quelli che venivano definiti briganti? E, soprattutto, chi erano quegli altri che ai briganti hanno dato la caccia prima e dopo l’Unità d’Italia? Banditi, briganti, sono parole piaciute sempre a tutti: ai Borboni, ai francesi e poi anche agli italiani. E alle parole sono sempre seguiti i fatti. Un nuovo libro dello storico Enzo Ciconte ( La grande mattanza, Laterza), racconta come la lotta del Regno Sabaudo contro il brigantaggio sia solo l’ultimo sanguinoso capitolo di una vicenda secolare di repressioni. Era tutto cominciato molto tempo prima dell’arrivo dei “piemontesi” tanto detestati dalle popolazioni meridionali. Ma c’è un altro aspetto, Scrive Ciconte, che non va trascurato: «In tutte le epoche, la borghesia locale ha dato man forte all’esercito – francese, borbonico o italiano. Anche la borghesia meridionale può vantare quest’opera di fiancheggiamento nei confronti dei militari. E senza questo sostegno attivo della borghesia locale, nessuno di questi eserciti avrebbe riportato successi significativi». Torture, fucilazioni, impiccagioni, stragi, cadaveri esposti come trofei. Stato di assedio ma anche ricompense ai briganti che uccidevano altri briganti. La guerra che il potere ha portato avanti – è questa la tesi di Enzo Ciconte – «riguarda quasi sempre le classi subalterne, infime come vengono definite in alcuni documenti, in particolare i contadini affamati e senza terra, i poveri, i nullatenenti pugliesi chiamati terrazzani, i caffoni meridionali». Tutte “persone pericolose” e schedate come tali in una circolare del ministero dell’Interno del 26 maggio 1866.

Una guerra contro la miseria.

Nel libro vengono ricordati tantissimi atti di violenza compiuti da uomini in divisa.

Azioni di singoli ufficiali o una “cultura” condivisa da vertici militari e da autorità? Generali convinti dell’«impotenza dei mezzi legali», procuratori generali del re che parlano di «salutare terrore», repressione, una vera e propria dittatura militare in tutte le regioni del Sud della nuova Italia. Ben altro sarà però l’atteggiamento che avrà lo Stato con quelle organizzazioni criminali – mafia e camorra e ‘ndrangheta – che fra Sicilia e Calabria e Campania stavano prendendo forma. Tolleranza e poi convivenza.

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Attilio Bolzoni

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Enzo Ciconte è docente a contratto di Storia della criminalità organizzata all’Università Roma Tre e di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia. È stato consulente presso la Commissione Parlamentare Antimafia e il primo a pubblicare un testo storico sulla ‘ndrangheta in Italia, ‘Ndrangheta dall’Unità a oggi (Laterza 1992). Tra le altre sue pubblicazioni: Storia criminale. La resistibile ascesa di Mafia, ‘Ndrangheta e Camorra dall’Ottocento ai giorni nostri (Rubbettino 2008); Banditi e briganti. Rivolta continua dal Cinquecento all’Ottocento (Rubbettino 2011); Storia dello stupro e di donne ribelli (Rubbettino 2014); Borbonici, patrioti e criminali. L’altra storia del Risorgimento (Salerno 2016); Dall’omertà ai social. Come cambia la comunicazione della mafia (Edizioni Santa Caterina 2017).

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