L’incriminazione di Trump

L’incriminazione di Trump criminalizza il dissenso politico

di Daniel Greenfield 20 agosto 2023

Pezzo in lingua originale inglese: The Trump Indictment Criminalizes Political Dissent
Traduzioni di Angelita La Spada
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L’incriminazione per l’assalto a Capitol Hill, sede del Congresso americano, del 6 gennaio 2021, formulata dal consigliere speciale Jack Smith, un amico dei Democratici di lunga data, criminalizza le contestazioni elettorali. O almeno quelle che prendono di mira i Democratici. E insieme a ciò, ogni dissenso politico. Smith non ha fatto altro che prendere parti della legge e usarle per creare un’infrastruttura criminale in grado di bandire la maggior parte dei partiti politici e delle attività alla stregua della Cina comunista o della Russia. Nella foto: Smith si prepara a parlare ai media il 1° agosto 2023, a Washington, D.C. (Foto di Drew Angerer/Getty Images)

Le numerose accuse e le molteplici indagini penali a carico dell’ex presidente Donald Trump intendono manipolare le elezioni presidenziali del 2024, ma l’ultima incriminazione ha l’obiettivo di manipolare anche le conseguenze di queste elezioni.

Le precedenti incriminazioni dell’ex presidente avevano fatto qualcosa di inedito trasformando i misfatti in reati e stabilendo che i termini di prescrizione non sono vincolanti, ma l’incriminazione per l’assalto a Capitol Hill, sede del Congresso americano, del 6 gennaio 2021, formulata dal consigliere speciale Jack Smith, un amico dei Democratici di lunga data, va oltre perché criminalizza le contestazioni dei risultati elettorali.

O almeno quelle che prendono di mira i Democratici. E insieme a ciò, ogni dissenso politico.

L’atto d’accusa per i fatti del 6 gennaio 2021 sostiene che le contestazioni del voto da parte di Trump costituissero un reato. Cosa offre di diverso quest’ultima incriminazione rispetto alle precedenti? Intende intimidire qualsiasi repubblicano che potrebbe cercare di contestare l’esito delle elezioni presidenziali del 2024.

Non contenti di incriminare il principale candidato alle primarie del GOP, il Grand Old Psrty (il Partito Repubblicano, N.d.T.) per aver truccato le elezioni, i Democratici stanno criminalizzando l’opposizione politica e in seguito criminalizzeranno le prossime elezioni.

L’accusa, per inciso, sembra più un editoriale del Washington Post in cui si afferma che Trump era “deciso a rimanere al potere” e pertanto “ha diffuso menzogne” in merito al fatto che c’erano stati brogli onde “creare un’intensa atmosfera nazionale di sfiducia e rabbia, ed erodere la fede pubblica nella gestione delle elezioni”.

Se sostenere che un’elezione presidenziale è stata falsata è illegale, dov’è l’incriminazione a carico di Al Gore? Nessun democratico è mai stato citato in giudizio per aver affermato che George W. Bush è stato eletto grazie a delle schede malpunzonate, per aver contestato al Congresso la sua elezione entrambe le volte, o per aver diffuso menzogne e per aver avviato indagini intese a dimostrare che Trump era stato eletto dai russi, anche quando lo hanno fatto per “creare un’intensa atmosfera nazionale di sfiducia e rabbia”.

Quando i Democratici diffondono menzogne in merito a un’elezione, ottengono contratti editoriali e ospitate in fasce serali su MSNBC, e talvolta, come Al Gore, ricevono persino Oscar e premi Nobel per la Pace.

Contestare l’esito elettorale è una pratica tradizionale che risale a più di due secoli fa, alle elezioni presidenziali del 1800. Le nazioni libere con elezioni aperte non hanno paura delle contestazioni e i Democratici hanno speso una fortuna per i loro tentativi di contestare il risultato delle elezioni presidenziali. La campagna di Biden ha speso 20 milioni di dollari in oltre 60 cause legali post-elettorali, nel 2020.

Smith, un amico dei Democratici di lunga data, non incriminerà Biden né Marc Elias. Piuttosto, ha messo sotto accusa Trump per reati inventati come “ostacolo e intralcio al funzionamento del Congresso del 6 gennaio [2021]”, “cospirazione contro il diritto di voto” e cospirazione per “ostacolare” la “legittima funzione del governo federale mediante la quale i risultati delle elezioni presidenziali vengono raccolti, conteggiati e certificati dal governo federale”.

Definire pubblicamente le contestazioni del voto come un tentativo di “frodare” il governo degli Stati Uniti trasforma la Sezione 371 del Titolo 18 del Codice degli Stati Uniti. (U.S.C.) in uno strumento modificabile per sopprimere un’ampia gamma di dissenso politico. Trattare il lobbismo o qualsiasi tipo di advocacy come l’equivalente della corruzione di testimoni trasforma in un’arma la Sezione 1512 del Titolo 18 dell’U.S.C. contro chiunque cerchi di condizionare una funzione del governo. Vale a dire, di fatto, tutti coloro che sono interessati alla politica. E infine, l’utilizzo della Sezione 241 del Titolo 18 del Codice degli Stati Uniti – originariamente concepita per combattere il KKK – contro Trump e contro chiunque cerchi di verificare i risultati elettorali legittimi rende la frode elettorale un diritto civile.

Al di là di questo uso improprio della legge federale per colpire un avversario politico, l’atto d’accusa così com’è stato concepito da Smith pone le basi per una repressione senza precedenti dell’opposizione politica che non finirà con Trump né con le elezioni presidenziali del 2024. Smith non ha fatto altro che prendere parti della legge e usarle per creare un’infrastruttura criminale in grado di bandire la maggior parte dei partiti politici e delle attività alla stregua della Cina comunista o della Russia.

Questa era la situazione totalitaria abbozzata nel Russiagate, ma che sta culminando in un’incriminazione che non è soltanto incostituzionale, ma cerca di rimpiazzare ogni tipo di sistema politico aperto con uno stato di sorveglianza paranoica che stronca spietatamente ogni minaccia alla “democrazia” abusando delle leggi esistenti per colpire e mandare in galera gli oppositori politici.

E questo è ciò che è davvero in gioco qui.

L’atto d’accusa per i fatti del 6 gennaio 2021 si richiama agli editoriali sulle minacce alla democrazia, accusando l’ex presidente di “bugie destabilizzanti in merito alla frode elettorale” che “prendono di mira una funzione fondamentale del governo federale” non riuscendo però a stabilire il motivo per cui mettere in dubbio o contestare le funzioni federali dovrebbe essere un reato. Se fare pressioni sui legislatori statali e cercare elettori alternativi è un crimine, allora ogni singolo presidente prima del 1900 sarebbe stato incarcerato. Per non parlare di aspiranti personaggi politici come Alexander Hamilton. E ogni volta che i Democratici perdono un’elezione, iniziano a complottare per eliminare il Collegio Elettorale e hanno cercato di farlo attraverso la porta di servizio utilizzando vaste misure come il National Popular Vote Interstate Compact (NPVIC).

L’NPVIC e gli Stati che vi partecipano dovrebbero essere considerati come una cospirazione criminale contro una “funzione fondamentale del governo federale?” L’atto di incriminazione formulato da Smith ha creato un precedente.

L’incriminazione accusa ripetutamente il magnate e i suoi collaboratori di “frode” sul presupposto, palese per i Democratici, che Biden abbia vinto le elezioni e quindi contestarne l’esito è fraudolento. Jack Smith basa le sue accuse di frode sulle asserzioni del suo stesso partito, usando retoriche come “infondate affermazioni di frode”, “false indagini elettorali” e “false affermazioni di frode elettorale”. Tutte queste sono le opinioni di parte del procuratore piuttosto che a legge.

Ed è a questo che si riduce l’incriminazione. È illegale non essere d’accordo con i Democratici? Se lo è, come afferma Smith nel suo atto d’accusa, allora anche tutte le forme di opposizione politica sono illegali.

I Democratici e i loro media sostengono che l’incriminazione è apolitica quando non è soltanto il prodotto di pregiudizi politici, ma può anche esistere solo come documento politico democratico che non ha rilevanza per un ordinamento giuridico indipendentemente dai suoi pregiudizi. In una visione del mondo democratica, Trump ha fatto “false affermazioni” su un’elezione che ha perso.

Ma, come molte cose in politica, questa è un’opinione, non un dato di fatto.

Si possono incriminare le persone per quello che fanno, non per quello in cui credono, eppure Smith si accanisce ossessivamente su ciò in cui Trump credeva perché in mancanza di ciò, non c’è reato. E se non c’è reato senza credenza, allora non c’è mai stato un reato da cui cominciare.

Smith afferma che Trump ha reso “false dichiarazioni” perché, tra le altre cose, il Segretario di Stato del Nevada ha pubblicato un documento intitolato “Fatti contro Miti”. Secondo l’incriminazione, non è possibile che il Presidente degli Stati Uniti e il Segretario di Stato del Nevada siano in disaccordo ed è illegale che il primo non si pieghi all’autorità del secondo.

I Democratici che nel 2000 respinsero le conclusioni del segretario di Stato della Florida Katherine Harris, che fu poi biasimata, minacciata e derisa, non vennero processati. Il problema non sono le posizioni relative, ma la politica relativa di Repubblicani e Democratici.

I Democratici hanno trascorso le ultime due generazioni a criminalizzare il dissenso politico. Gli attivisti ambientalisti chiedono che le compagnie petrolifere e del gas siano accusate di frode perché “negano” il riscaldamento globale. I dipartimenti di polizia aprono indagini sulla violazione dei diritti civili quando mettono in dubbio le accuse di razzismo sistemico. L’incriminazione per i fatti del 6 gennaio 2021 fa parte di un programma totalitario che rigetta l’idea del dissenso politico e la centralità del dibattito in seno al mercato delle idee nel nostro sistema.

Questo atto d’accusa non costituisce soltanto una minaccia per un ex presidente, ma anche per il Bill of Right (la Dichiarazione dei Diritti).

Se l’atto d’incriminazione formulato da Smith avesse successo, la libertà morirebbe e il dissenso diventerebbe illegale. Non essere d’accordo con la Sinistra non porterà più soltanto alla perdita del lavoro o a discussioni sui social media, ma anche ad arresti, processi giudiziari e a pene detentive. Ciò che è in gioco qui è la sopravvivenza dell’America.

Daniel Greenfield è Shillman Journalism Fellow presso il David Horowitz Freedom Center. Quest’articolo è stato precedentemente pubblicato su Front Page Magazine.