I primi abitatori d’Italia-Arii e Italici

ARII italici

 

G. SERGI – ARII E ITALICI ATTORNO ALL’ITALIA PREISTORICA

CAP. I.

TRADIZIONI, FILOLOGIA, ARCHEOLOGIA.

Per conoscere chi sieno stati i primi abitatori d’Italia, servirono prima e per lungo tempo le tradizioni in gran parte favolose, unite alle credenze religiose, alle genealogie di eponimi, a dati storici più o meno alterati.
Molto di vero trovasi in queste tradizioni, ma il difficile è distrigarlo; da che è seguito che le interpretazioni sono state differenti e varissime, per quante sono state le persone dotte che se ne occuparono. Forse come dati storici di avvenimenti, come origini religiose, è meno problematico il risultato delle ricerche sulle tradizioni; ma quando si tratta di etnologia, trovasi un labirinto più inestricabile di quello di Dedalo, tante sono le alterazioni dei nomi etnici, anzi tanto è il loro numero, che si può risolvere ad una serie diversa di popoli e di stirpi che abbiano colonizzato l’ Italia, mentre spessissimo un nome si riferisce ad una frazione, ad una tribù d’un popolo identico. Basterebbe ricordare i nomi etnici di Siculi e Liguri, di Siculi e Sicani, per dimostrare come solo queste tre denominazioni avessero reso difficile un accordo fra storici ed archeologi, fra etnologi ed antropologi.

Alle tradizioni si è aggiunta la linguistica per l’interpretazione dei nomi di città, di fiumi, di monti, di regioni, e degli stessi nomi etnici antichi d’Italia.
Qui il campo è stato largo e facile al corso della fantasia ; e non vi ha mutazione di vocale o di consonante che non sia stata ammessa per rifare un nome secondo un preconcetto che accarezzasse un’induzione o un risultato che fosse nel desiderio dell’erudito. Nè soltanto questo concorre ad alterare od a costringere i nomi a dare i risultati voluti ; ma anche un diverso ordine d’idee in linguistica o in filologia. L’entusiasmo per l’unità delle lingue indoeuropee, o arie, travolse nella corrente delle ricerche, sotto questo unico aspetto, tutte le interpretazioni primitive e anteriori alla creduta unità etnica e linguistica dei popoli che parlarono e parlano lingue a flessione aria.
La reazione a quell’entusiasmo e l’analisi più calma han fatto rimutare molte conclusioni e quindi anche molte interpretazioni etniche sui popoli detti arii.
Frattanto i risultati linguistici comparativi sul tipo di lingue dette arie avevano d’origine stabilito che gl’ Indoeuropei fossero originari dell’Asia centrale, i quali ad epoca difficile a determinare migrarono, alcuni gruppi verso il mezzogiorno dell’Asia stessa e crearono la civiltà indiana e quella iranica, l’ indo-persiana; altri, e più numerosi, vennero versol’occidente, in Europa, dove poi si suddivisero in vari popoli e per varie regioni. I gruppi sarebbero stati costituiti presso a poco come segue : Italogreci, i quali si sarebbero prima fermati a settentrione dei Balcani, Slavogermani, Celti. Gruppi secondari si troverebbero aggregati a questi, secondo le risultanze linguistiche. Lasciamo da parte gli Armeni, gli Sciti e altri ancora, che dai linguisti si fanno entrare nella grande famiglia aria, e diciamo subito che tutti questi gruppi, i quali forse dall’aspetto linguistico farebbero un’unità, per alcuni caratteri fondamentali linguistici, non possono dall’aspetto antropologico formare nè una stirpe nè un popolo. Ma dalla induzione linguistica si fece un salto all’etnologia e immediatamente si affermò l’unità etnica degli Indoeuropei.
Com’era naturale, si oppose a questa affermazione l’antropologia, mostrando quanto fossero diversi i popoli uniti per l’unità linguistica, e come pei loro caratteri fisici più apparenti mostrassero origini differenti gli uni dagli altri. Passarono molti anni prima che si ricercasse il popolo originario ario il quale doveva avere trasformato la lingua degli altri popoli differenti per caratteri fisici e perciò etnici. Finalmente è venuto queste momento, e secondo vari moventi e secondo vari preconcetti e studi incompleti, si stabilirono ora i biondi Germani come veri arii, ora i bruni e brachicefali Celti, ora i Lituani, e con un’altra variante non meno importante, che i veri Arii, cioè, fossero a considerarsi originari d’Europa, non d’Asia, come prima si era ammesso.

Il problema è rimasto insoluto, ma un piccolo progresso si è fatto. Benché non esplicitamente, implicitamente si doveva ammettere che non esistessero più i gruppi già stabiliti ne’ primi tempi dalla linguistica indoeuropea; la teoria, cioè, stabilita con tanta simmetria di gruppi arii che invasero le regioni con lingue già formate e civiltà stabilite, non poteva più reggersi davanti alla nuova ricerca del popolo ario che avesse importato questi elementi ad altri popoli diventati arii per lingua e per civiltà.
Ma per l’etnologia e per la civiltà d’ Italia questa seconda fase della teoria indogermanica non ha fatto alcun mutamento, pare, da quel che dirò. Ancora da noi si sostiene che un gruppo grecoitalico fosse vissuto qualche tempo nei Balcani, poi si fosse diviso; ed il sottogruppo greco fosse andato ad occupare la penisola greca, l’italico l’Italia, portando seco loro la lingua e la civiltà formate. Tutte queste deduzioni sono state fatte da linguisti e da archeologi, e senza minimamente interrogare l’antropologia, se per avventura questa potesse dare qualche lume sull’ardua questione. Il difetto capitale degli uni e degli altri, come dei tradizionalisti, è stato di voler stabilire cànoni etnologici senza antropologia, fenomeno molto curioso , ma vero indizio dell’unilateralità di coloro che si occupano di una ricerca e credono che solamente i loro metodi siano buoni, e disprezzano gli altri, che poi spesso ignorano nei fondamenti e nelle applicazioni.
Per la linguistica, quindi, fu stabilito che un popolo arioitalico d’origine comune col greco, con lo slavo, col germanico, col celtico, fosse venuto in Italia dalle Alpi orientali, e avesse occupato la penisola, introducendo la lingua coi caratteri arii e la civiltà omonima. Si crede di determinarlo mercè l’analisi del latino, prisco e classico, dell’umbro, del sabellico e di altri dialetti ; ed eccetto qualche dialetto finora incompreso, come il messapico, l’Italia ebbe da quell’invasione linguaggio ario dal settentrione al mar Ionio. I popoli che prima di questa invasione abitavano nella penisola, sparirono, o furono trasformati ? Si possono distinguere i vecchi dai nuovi coloni ? La linguistica non dice ; la storia solamente può istruirci, ma la storia antichissima è fondata sulle tradizioni e poi manipolata coi nuovi argomenti linguistici, e perciò altrettanto incerta per l’etnologia primitiva.

Interroghiamo l’archeologia.
È quasi mezzo secolo che la scoperta del sepolcreto di Villanova, presso Bologna, apriva l’èra degli studi archeologici italiani, i quali dovevano servire a riprendere i problemi etnologici dei popoli primitivi d’Italia.
Quel celebre sepolcreto, che in seguito diventò il tipo d’una civiltà denominata di Villanova, fu dal suo scopritore e illustratore, conte G. Gozzadini, attribuito agli Etruschi. Ma quanto esso sia differente da altri sepolcri, ritenuti etruschi e scoperti nell’Etruria propria, od occidentale, lo sanno tutti coloro che per diversi motivi hanno preso conoscenza o fatto indagini. Perchè i sepolcri etruschi generalmente sono ad inumazione e costruiti a camera, mentre quelli di Villanova sono ordinariamente a pozzo che contiene un’urna cineraria con ossa combuste e cenere, residui del cadavere bruciato : due riti funerari diversi, i quali a primo aspetto accennano a due diversi popoli e a due civiltà eterogenee.

Le susseguenti e vaste scoperte di Bologna diedero alla luce nuovi fatti, cioè sepolcreti come quello di Villanova e di epoche successive, ma sempre antichissime, solo differenti per maggiore sviluppo di arte civile. Inoltre, sepolcreti ad inumazione a fossa, e con nuovi elementi di arte, posteriori ai sepolcri dei combusti ; poi tombe ancor più recenti attribuite ai Galli, invasori della valle del Po e di Roma verso il 4° secolo prima dell’èra nostra; e infine sepolcri romani, ultimi, in antico, che occuparono il suolo bolognese.

Chi fossero i combusti e chi gli inumati posteriori ai primi, un chiaro archeologo di Bologna, prof. Brizio, credette di definire per mezzo degli oggetti contenuti nei sepolcri degli uni e degli altri. Denominò Umbri i combusti, Etruschi gl’ inumati, Galli e Romani i successivi inumati, chiaramente riconoscibili per gli oggetti e la loro fattura. A stabilire questa successione e a dare i nomi etnici, egli si lasciò guidare, in gran parte, dalla tradizione storica, dalla quale si ha che gli Umbri avevano occupato da tempi immemorabili la regione, e che gli Etruschi, traversati gli Appennini, avevano invaso Felsina e distratto la potenza umbra, importando nuovi elementi di civiltà e con essa il rito funerario dell’ inumazione loro proprio. Gli Etruschi si servirono dello stesso sepolcreto umbro pei loro morti, come di Felsina per loro abitato: curioso fenomeno questo, costante anche, che gì’ invasori di una regione accettano gli stessi luoghi occupati già dai vinti e gli stessi cimiteri.

Ma non solo nel Bolognese si fecero simili scoperte ; altri sepolcreti apparvero nella valle del Po e al di qua degli Apennini nella valle dell’Arno fino alla valle Tiberina. Tarquinia è memorabile per le grandi scoperte, che provano esservi stata un’epoca antichissima con eguale civiltà e con eguale costume come a Villanova ed alla Certosa di Bologna, e poi una serie
di tombe ad inumazione, a fossa e a camera, più ricche, più recenti, con segni indubbi di civiltà che ricorda l’oriente del Mediterraneo. Cere, Vulci, Chiusi, Volterra, Vetulonia, hanno tombe consimili con eguali mutamenti di rito funerario con variazioni spesso di carattere locale. Ed è celebre per la sua scoperta antica il sepolcro di Albano, ove fu Albalonga, già illustrato dal Visconti; il qual sepolcro dimostra l’origine comune coi sepolcreti di Villanova, Bologna, Tarquinia e simili. Anche nel Riminese, negli ultimi tempi, Brizio scopriva sepolcri con gli stessi caratteri di quelli trovati a Villanova.
Anche a settentrione del Bolognese, nel territorio veneto, a Este propriamente, altri sepolcri ricordano la civiltà di Villanova ; Este, come Bologna, apparisce di essere stata un centro di popolo molto avanzato nell’arte civile. Quivi la successione con la sovrapposizione delle tombe di diverso tipo e di diverse epoche dimostra la successione di genti o di civiltà che scomparvero.
Mentre Brizio sagacemente attribuiva agli Umbri non solo il sepolcreto di Villanova e quei di Bologna col medesimo rito funerario, ma anche quelli della regione occidentale o tirrenica cisapenninica , e constatava esatta la tradizione erodotea di un’ Umbria estesa dall’Adriatico al Tirreno ; Gozzadini continuava a considerare Etruschi anche quelli che avevano lasciato le ceneri nelle tombe a pozzo, modificando un poco la sua primitiva affermazione, espressa quando si occupò del sepolcreto di Villanova, denominò, cioè, Paleo-etrusche le tombe a combustione a Villanova e nel Bolognese, e Protoetruschi le genti che avevano fatto quel cimitero, e considerando gl’ inumati come i morti degli Etruschi storicamente noti.
Contraddissero l’ opinione del Gozzadini due altri ricercatori di antichità italiche, Strobel e Pigorini.
Costoro, in quel tempo, verso il 1861, avevano fatto ricerche nelle Terramare, e avevano rinvenuto oggetti di bronzo, di cui alcuni portavano caratteri tecnici che ricordavano i bronzi di Villanova. Strobel stimò preromane le stazioni nelle Terramare; Pigorini, più deciso, le attribuiva ai Galli. L’uno e l’altro però, volevano diminuire il carattere dell’alta antichità al sepolcreto di Villanova e attribuirgli la stessa epoca da loro data alle Terramare. Era facile al Gozzadini di confutare una tale opinione, anche dal solo lato cronologico dell’invasione gallica, e la confutò.
Oltre, dunque, ai sepolcreti ricordati, la cui epoca è stata ben determinata come propria della prima età del ferro, vennero a frugarsi le Terramare, e Strobel, professore dell’Università di Parma, fin dal 1861 investigò quella di Castione dei Marchesi, nella quale più tardi il Pigorini fece nuove esplorazioni e più complete. Il numero delle Terramare nella valle del Po, da Piacenza ai confini della provincia di Bologna, a Castelfranco, è grande; la loro esplorazione ha dato alla luce molti fatti interessanti per la storia delle civiltà primitive e delle popolazioni che l’avevano occupate; anche gli esploratori sono stati molti, e più di tutti si deve la chiara e completa cognizione di tali antiche stazioni umane, a Chierici, a Strobel, a Pigorini, i quali fondarono anche un periodico, il Bollettino di Paletnologia Italiana, per la pubblicazione delle scoperte e per tener vivo il sentimento della ricerca.

Le Terramare contengono avanzi di abitazioni su palafitte; e secondo l’opinione del Chierici sono genuine quelle orientate e che contengono oggetti della pura età del bronzo, nulla che accenni all’ età del ferro o alla sua prima introduzione. Pigorini, che ha esplorato parecchie di tali stazioni, pare confermi questo concetto del Chierici. Si contese se le palafitte avessero un bacino con acqua permanente o temporanea, o semplicemente un suolo asciutto, e poi anche se avessero argini e fosse e altri fatti particolari di costruzione; ma più di ogni altro si contese sulla gente che le aveva costrutte.legno-3-12-638

Ma oltre le palafitte a destra ed a sinistra del Po, le quali dovevano sorgere su suolo asciutto, o almeno senz’acqua lacustre, in Italia si sono trovate palafitte sui laghi, come sui laghi della Svizzera e di altri dell’Europa centrale. Queste palafitte non sembrano, però, della stessa epoca, poiché alcune sono dell’ età della pietra, altre hanno strati riferibili all’ età della pietra e strati a quella del bronzo. Invero anche nelle Terramare pare siano stati trovati strati primitivi con indizi sicuri dell’ età della pietra. Importante, però, a notare è il fatto che i sepolcreti delle Terramare e di alcune palafitte lacustri siano di combusti, nella maggior parte almeno, non di inumati.

I sepolcri delle Terramare, scoperti da Pigorini, sono singolari per la loro costruzione. Vasi di terra cotta al fuoco lavorati a mano , rozzissimi , piccoli piuttosto, contengono le ossa bruciate miste a ceneri, coperte da una ciotola egualmente rozza; sono collocati sulla superficie del suolo l’uno appresso all’altro, e poi tutti coperti da poca terra superficialmente, e sono poverissimi.

sepolcreto  Sepolcretosepolcri terramareSepolcro di Terramare
sepolcroSepolcro

Come già ho detto, Strobel e Pigorini, e specialmente quest’ultimo, non davano un’alta antichità alle Terramare; Pigorini le stimava stazioni galliche, errore facile a confutare. Chierici credeva di vedervi gli Umbri, stimati italici da lui e da altri. Era riserbato ad Helbig lo studio comparativo e l’affermazione decisa d’un’opinione che ancor oggi si conserva e si sostiene dallo stesso Pigorini, cioè che i Terramaricoli fossero Italici, i quali, non si sa per quale catastrofe, abbandonarono le loro sedi e discesero per l’Italia centrale fino alla valle tiberina. Pigorini, oggi, sostiene con grande persistenza che la civiltà di Villanova è una continuazione di quella delle Terramare, che Roma è stata fondata da cotesti Terramaricoli, stabilitisi prima nella valle dell’Arno, fondando città, e poi nella valle del Tevere, dove sorse la città di Soma.
Brizio, invece, ha sostenuto che le Terramare non hanno una continuità con la civiltà di Villanova, la quale è umbra; quelle sarebbero state abitate dai Liguri, popolazione primitiva -d’ Italia, sarebbero uno sviluppo delle capanne, forma delle abitazioni primitive liguri, per influenze subite dagli Italici o Umbri.
Sostenni anch’io la stessa tesi molti anni addietro; ora, come dirò, la mia opinione è molto modificata.

Così il campo fu diviso, fra archeologi che sostengono essere la civiltà di Villanova opera dei Protoetruschi, come pensava Gozzadini, ovvero umbra e quindi italica per eccellenza, come pensano Brizio e Pigorini con Chierici ; però una nuova scissura era aperta fra Brizio e Pigorini, perchè l’uno attribuisce ai Liguri le Terramare, l’altro agli stessi Italici, come Helbig ha sostenuto.
Ma una maggiore divergenza doveva nascere sulla civiltà e sul popolo degli Etruschi, poiché Helbig ha voluto sostenere che la civiltà detta etnisca non è che la continuazione di quella detta di Villanova, e vi trova quel popolo che Gozzadini aveva denominato protoetrusco, disceso, secondo Helbig, dalle Alpi, come un secondo popolo che avesse occupato la valle del Po accanto agl’Italici (Terramaricoli) e si fosse poi stanziato nell’Etruria passando g]i Apennini; opinione, a cui Pigorini fa acquiescenza, come all’altra di Helbig, che egli accettava pienamente. Chi ha oppugnato in Italia e validamente l’opinione dell’origine settentrionale degli Etruschi, è il prof. Brizio ; e vedremo quanto esso sia nel vero.

L’esplorazione del sepolcreto di Golasecca sul Ticino, per opera specialmente del Castelfranco, che lo dichiarava diviso in due periodi, dei quali uno più antico,
proprio della prima età del ferro, analogo al sepolcreto di Villanova, e l’altro più tardivo, metteva il campo degli archeologi a rumore e creava nuove divergenze fra loro.
In tutto questo è a notare ed a far rilevare un fatto, cioè che gli archeologi, senza occuparsi dei caratteri fisici delle popolazioni a cui avrebbero potuto attribuirsi i dati archeologici, fanno dell’etnologia, o meglio dell’antropologia, attribuendo a popoli con caratteri definiti di etnicità i prodotti di quelle antichissime civiltà esplorate ed esaminate. Stabilirono che gli autori delle Terramare (Pigorini, Helbig, Chierici) fossero Italici per eccellenza; che gli autori della civiltà di Villanova, tanto nel Bolognese che nel Veneto, quanto nell’Etruria e nel Lazio (Brizio, Pigorini, Helbig, Chierici) fossero Italici per eccellenza; che gli Etruschi (Pigorini) non fossero un popolo diverso dal gruppo italico, ovvero (Helbig) che fossero bensì popoli diversi, ma che avessero eguale civiltà degli Italici coi quali soggiornarono nella valle Padana.

Il lettore potrebbe dire che ciò è un caos, e se non è caos, è un labirinto inestricabile senza il filo di Arianna per uscirne. Quali i metodi per venire a tali conclusioni? Le analogie, più che altro, fra oggetti di arte e costumi ; ma neppure costantemente queste analogie sono state rispettate, perchè, che analogia può trovarsi fra tombe a rito funerario a combustione e tombe di inumati? E pure si è ammesso che le seconde sono una continuazione delle prime, e perciò dello stesso popolo, che mutava costume.
Ma un’obbiezione gravissima io ho avanzato da pa- recchi anni ed espressa in una memoria: ” Chi erano gl’Italici ?„. Se gl’Italici sono quelli da Este a Bologna, da Bologna al Tevere col costume crematorio dei cadaveri, per alcuni come Brizio, col susseguente costume d’inumazione per altri, Helbig e Pigorini; che popoli sono quegli altri che l’antichità ha riconosciuti come Italici, i Sabelli e tutti gli affini dell’Italia peninsulare? Perchè questi non ebbero mai tali costumi e tali foggie di civiltà come a Villanova od a Tarquinia, e nelle Terramare.

Eppure dall’aspetto linguistico gli uni e gli altri dovrebbero essere Italici egualmente. Curioso fenomeno ! mentre i nostri archeologi avevano accettato la vecchia teoria aria o indoeuropea del gruppo italogreco passato per la valle danubiana e colà separato, e quindi l’immigrazione italica con una lingua già formata ; oggi dimostrano la teoria e trovano e stabiliscono l’italicità soltanto per una parte degli abitatori d’ Italia. È vero che Pigorini avesse scritto, senza veruna dimostrazione, neppure con un minimo accenno di dimostrazione, che dopo avere invaso la valle del Tevere, in seguito gli Italici si portarono fino alle sponde del mar Ionio; ma nessuno l’ha seguito, nè egli ha presunto di provare questa lunga e distesa migrazione fino a Taranto.
Evidentemente gli veniva il sospetto che le induzioni archeologiche non avevano nè potevano avere la stessa estensione delle linguistiche. E questo io ho obbiettato e non mi è stato risposto che con le solite affermazioni.

Perchè, è bene sapere, al sud delle regioni dove finora sono state trovate le sepolture tipo Villanova fino alle più meridionali d’ Italia, in epoca antichissima, anteriore a qualsiasi colonizzazione greca, o fenicia, o altra, gli abitatori della penisola hanno sempre avuto il rito funerario dell’ inumazione ; se per avventura si trovi sepolcro con ossa bruciate, è posteriore, o tardivo, e deve ad altra origine che alla nordica, l’introduzione, o l’interpolazione. Ciò è riconosciuto senza dubbi dagli archeologi di qualsiasi opinione sulle origini italiche.
E principalmente su questo fatto, dal punto di vista archeologico, io faceva l’obbiezione, e manifestava il dubbio che quel costume con quella civiltà non fosse italica, come si ammette, ma straniero.
Coloro poi che ammettono essere gli Etruschi soggiornati nella valle del Po accanto agl’Italici, dopo di esser discesi dalle Alpi retiche, e poi esser venuti a fondare le città etnische sul Tirreno, non si avvedono che anche loro fa obbiezione la lingua che gli Etruschi parlavano. La lingua non è documento sicuro per definire una stirpe; spesso, però, se è trasformata, lascia tracce così profonde della sua trasformazione subita per influenza di altra lingua, che il filologo le scorge e può pronunciare un giudizio. Nel caso nostro il fenomeno è diverso, ma più evidente, per dimostrare che gli Etruschi furono un popolo straniero agli Italici, perchè la loro lingua è perfettamente straniera, e così che non s’intese e non s’intende, malgrado i numerosi studi fatti. Se fosse un ramo affine all’ italica, s’intenderebbe; ma è rimasta indecifrata: quindi è straniera. Come conciliare, dunque, questi due fatti ?
Dicano gli archeologi, se possono; e confesso che di Helbig mi meraviglio, non di altri, perchè Helbig è in grado di conoscere il valore di queste difficoltà.
Ma un’altra considerazione è importante a fare. Ormai i nostri archeologi sanno che civiltà simili a quelle delle Terramare e di Villanova si trovano al di là delle Alpi e al di là del mare. La Bosnia e l’Erzegovina, tutta la valle del Danubio, l’Europa centrale e la settentrionale, e anche l’occidentale, posseggono residui numerosi di questa civiltà che ha preso nome di aria. Nulla ha insegnato loro questa comparazione con le regioni nominate? dico riguardo all’etnologia degli autori di tale civiltà, detta aria. Come si possano denominare Italici coloro che hanno importato in Italia la civiltà che trovasi nelle regioni europee che oggi sono slave, germaniche, celtiche, io non saprei ; come si possano denominare Proto-Italici quelli che lasciarono i loro sepolcri a Villanova e a Golasecca, o nelle Terramare, io non comprendo, anche dal punto di vista archeologico.

Il motivo principale che porta alla confusione e quindi agli errori nella sintesi che si suol fare sui risultati archeologici, è facile a intenderlo : una scienza non può dare più di quello che ricerca, e voler far sorpassare i limiti dentro cui naturalmente deve restare, è indurla a conclusioni erronee. La linguistica non può far l’etnologia nè l’antropologia dei popoli e sistemare classificazioni di razze, perchè le lingue si perdono, s’imparano e si trasformano; l’archeologia non può trattare di nazionalità nè di antropologia, perchè v’è un mezzo facile e comune che trasporta le arti e i suoi prodotti, il commercio cioè ; a cui bisogna aggiungere le invasioni, le colonizzazioni, il dominio straniero. L’antropologia non può parlare di arte o di lingua, perchè essa non studia che i caratteri fisici dei popoli e la loro distribuzione geografica.

Ma se ciascuna di queste scienze si servisse, in ciò che le è utile, dei risultati delle altre, se in una ricerca complessa, nella quale si richiedono gii studi e le osservazioni linguistiche, archeologiche e antropologiche, le tre scienze andassero d’accordo e si associassero, allora i risultati potrebbero avvicinarsi alla verità ed essere accettabili. Disgraziatamente molti archeologi non vogliono saperne di altri studi e specialmente degli antropologici, come sussidio utile alle loro ricerche ed alle loro conclusioni; anzi, spesso, li disprezzano, e si chiudono nelle esclusive loro osservazioni, che devono necessariamente riescire difettose e incomplete e dare conclusioni erronee.

Io, quindi, non dubito di affermare che in Italia gli studi di archeologia preistorica sono molto sviluppati, ma l’etnologia è in ritardo; ma, quel che è peggio, le risultanze date dall’ archeologia sulle popolazioni primitive d’ Italia, e sulle civiltà considerate nelle loro origini e nei loro autori, sono in gran parte inesatte e spesso erronee; come avrò occasione di dimostrare nel corso di questo lavoro.