Mariannina Della Bella, detta Zimunella

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 9° episodio
UNA LETTERA PER MARIANNINA.
di Valentino Romano (*)

Mariannina Della Bella, detta Zimunella, nacque intorno al 1847 a Monteforte Irpino: la sua storia s’intreccia con quella del brigante Antonio Manfra, del quale – ancora minorenne – divenne l’amante.
Scorrendo il fascicolo processuale della donna balza agli occhi il bigotto accanimento degli organi di P. S. nei suoi confronti. Dice di lei, infatti, il delegato di Monteforte:
“giovanetta ancora nel 1862 era l’amante favorita dal brigante Manfra, sicché calda del di lui appassionatissimo amore, lo ricercava nei boscareggi giacigli; ne è improbabile che l’accensione dell’impudica fiamma avrebbe fatto direi una brigantessa […] il Mantra cieco e idolatro della morte di lei cominciò a rientrare nell’abitato di Monteforte per il bacio lascivo di questa donna perduta …”
Mariannina fu arrestata una prima volta nell’agosto del 1864: sarebbe stata lei, spesso con la complicità della madre Maria Teresa Valentino, ad indicare al Manfra i nomi delle vittime delle sue azioni briganteschi, cosicché alcuni autori locali si spingono oggi ad indicarla addirittura come la mandante di svariati omicidi. Di questo, però, non vi è traccia nel fascicolo: al contrario è provato come la Corte d’Assise – pur punendola con la misura del confino – la prosciolse dall’accusa di complicità in un assassinio perpetrato dalla banda Manfra. La donna, scontata la pena, ritornò a Monteforte nel gennaio del 1865: qui cercò, invano, di poter spostare il suo domicilio a Napoli, ma il permesso le fu negato.
Il 15 giugno dello stesso anno, evidentemente su segnalazione del solito delegato di PS, fu nuovamente arrestata e a questo punto le dovettero saltare i nervi dal momento che, durante la traduzione in carcere, proruppe in minacce contro di lui: “ebbra di collera e di sdegno si lasciò a trasportare, ad erompere nelle seguenti minacce che esprimono – scrisse il solito Delegato nel rapporto – la confessione della sua mala arte: io aveva premurato quel fesso (alludendo al brigante Manfra) di levare [uccidere] fin da un mese dietro il Delegato, e lui non mi ha voluto sentire; però mi ha inteso in tutte le altre cose, e da qui vedremo se ci riesco, e dallo essere messa in carcere saprò vendicarmi”.
La giunta comunale di Monteforte, l’aveva dichiarata, assieme alla madre, “di condotta pessima, connivenza con i briganti, condannate al domicilio coatto e responsabili della morte di alcuni individui”. A presiedere la Giunta vi era il Sindaco Giovanni Amodeo, il quale sarebbe stato sempre invaghito della donna. E Mariannina, che al momento dell’arresto risultava gravida al sesto mese, si difese indicando proprio nel sindaco il padre del nascituro. Quest’accusa non le valse certamente il riconoscimento di qualche attenuante, considerato che fu condannata il 23 dicembre del ’65 a quindici anni di lavori forzati.
A questo punto, come per tante altre donne del brigantaggio, la storia diviene confusa. Di certo non vi è più nulla. Probabilmente anche a lei fu condonata parte della pena, ma non vi sono notizie sicure. Di certo resta solo un figlio: qui entra in ballo la famosa lettera della quale è cenno nel titolo. Prima di addentrarci nella faccenda, però, mi si consentirà una digressione personale: sono decenni che giro e scavo negli archivi sulle tracce dei briganti, sfogliando documenti impolverati e spesso mai riaperti. Così può capitare che nei fascicoli processuali siano ancora conservati e reperti e prove: ho trovato centinaia di “biglietti di ricatto”, i lacciuoli con i quali erano legati i sequestrati, “lettere di devozione”, santini, … perfino due fazzoletti nei quali i briganti avevano avvolto le orecchie dei malcapitati dei quali si chiedeva il riscatto. Di tutto, insomma! E, ogni volta, ho avvertito l’emozione del toccare con mano la Storia. Il lasso temporale che separa il documento dalla sua scoperta si annulla ogni volta: individui che prima erano solo nomi, oggetti di studio … diventano persone reali, vive: sembra, insomma, di averli di fronte e, come accade quando s’incontra una persona sconosciuta, cerchi di scrutare la persona, per saperne e capirne qualcosa in più. Ma di questo avrò modo di parlare in seguito. Torniamo a Mariannina: nel suo fascicolo processuale trovai una lettera che mi colpì subito per la sua fattura: è una lettera merlettata, di quelle che una volta si usavano per messaggi all’innamorata o che servivano per il rituale dell’enunciazione natalizia dei buoni propositi dei figli (con relativa richiesta di regalie varie). Era una lettera che il brigante Manfra aveva inviato in carcere a Mariannina, una lettera in cui si parlava del figlio che Manfra rivendica come suo. È grande il disappunto del brigante che – sapute le dichiarazione della donna – teme di essere stato tradito; ma ancor più grande è la certezza della paternità e l’attenzione del padre nei confronti della sua creatura. La riproduco per intero e letteralmente, perché ognuno possa rifletterci sopra:

“Aggraziatissima moglie
Dopo averti ringraziata ti farò conoscere l’ottimo stato della mia buona salute così spero sentire lo stesso di voi. Tanto vi sono scritto ho saputo che avete fatta una grande signora. come hai avuto coraggio di farmi tanti inganni, forse sei stata qualche volta abbandonata da me? Dicono i detti antichi chi paga avanti e male servito perche io mi era preso il tuo honori e ti abbandonava e non ti dava niente tutto questo non mi succedeva quando tu tenevi questa intenzione di incannarmi mi dicevi a me che ti volevi ammogliare e io ti dava qualunque consento finchè non era trattato da messero [misero] prima da te e poi da tanta nemici miei.
Aggraziata Mariannina
se Iddio permette che io ritorno a la nostra patria con tanto honore tu come hai coraggio di guardarmi con tanti gusti e piaceri che mi hai dato a me e questa era la scuola che io ti faceva notte e giorno meglio mi intossicavi e non mi facevi questa mancanza Aggraziata Mariannina Tutto l’intero Paese sapendo che facevi l’amore con me eri molto rispettato e nessuno ti riguardava per paura di me ma mo [adesso] che mi hai fatta questa mancanza perderai il rispetto e sarai progiuricata da tutti ma e meglio che e prevenuto da te che non da me finchè non dirai che io sono qualche traditore io non pianco per nessuna cosa ma pianco che voi avete a piacere che io passo qualche disgrazia. Questo e il bene che te ho voluto e te ho fatto rispettare da tutti si e vero che io mi ho richalato qualche piacere ma pure era fatto il giuramento avanti la Vergine del Carmine che non prendeva moglie se non mi sposava a te. Ma poi tu mi hai ingannato a S. Antonio, io non me ne era innamorato per nessuna cosa solo per gli occhi e perche grandissimo onore e non me ne posso sposare. un giorno e l’altro avrai una novità che sono morto dalla collera per pensare a te. Tu non lhai fatto che stai afflitta ma lavrai fatto pel tuo rivertimento.
Basta io ti giuro sopra la Vergine del Carmine non ti mettere paura quando vuoi venire a parlare con me vieni senza timore perché io non ti do nessun tradimento perché io tengo a memoria il tuo onore.
Vi raccomando a questo fanciullo che voi fate perché lo voglio conoscere a chi aresemiglia. Datelo a una persona sicura non lo mandate a nessuna parte e prega Iddio che io ritorno accioccè io ti do la mensata fine a quanto li richiama Iddio.
Ti salutano i miei compagni che non sanno questa riuscita. fatemi risposta e mandatemi a dire qualunque inpropreria che io non mi prendo collera. Ho perso la mia sorte e non la trovo più.
Bacio la mano a tua madre non mi dica di non farmi fare questo a me Ti saluto e ti abbraccio e ti do mille baci Per sempre mi segno”

Ogni commento è superfluo, ma uno mi sembra inevitabile: Manfra, il feroce Manfra, in questo momento è solo un padre preoccupato del futuro del figlio al punto da promettere, se Iddio lo farà “tornare” (nel consorzio civile), di erogare regolarmente la “mensata”, cioè una sorta di assegno di mantenimento, a chi sarà affidato questo “frutto della colpa”.
E un’ultima richiesta, la più significativa: “lo voglio conoscere a cchi aresemiglia”. Perché, nel caso in cui qualche tratto somatico del bambino richiamerà qualcuno di quelli del padre, questi avrà la certezza che qualcosa di sé sopravviverà alla guerra cafona, che non tutto è perduto.
Anni dopo questa scoperta ho trovato in un altro fascicolo altri biglietti di ricatto di Manfra, sempre scritti su lettere merlettate E con qualche delusione, lo confesso, ho capito che Manfra scriveva sui fogli che trovava. Nessuna cura particolare impiegata nella prima lettera, quindi. Ma poi ci ho riflettuto sopra: d’accordo la carta usata (lettere d’amore o di ricatto che siano) è sempre la stessa; ma il contenuto è diverso! Perbacco se è diverso!
Queste lettere sono, allora, un insegnamento, assai più utile di cento lezioni accademiche ai fini del corretto approccio storiografico ai contadini-briganti: mai condannare e mai osannare “a prescindere”; semmai, sforzarsi di “comprendere”, partendo dal presupposto che non tutto il bianco è sempre bianco e non tutto il nero è sempre nero. A volte … è grigio!
Non so se quel bambino sia stato figlio di Manfra o del Sindaco. Una sola cosa è certa: quella maledetta guerra cafona, gli ha impedito un padre vero!
E Mariannina? Chissà, forse anche lei avrebbe desiderato una famiglia normale.
Amici, Buona Pasqua a tutti. Ci risentiamo tra quindici giorni.

(*) Promotore Carta di Venosa

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