Repressione della Chiesa

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RICERCA EFFETTUATA TRAMITE GOOGLE LIBRI SUL TESTO “La civiltà cattolica -anno duodecimo VOL:IX serie quarta ” ROMA 1861-

pag 358-363

5. Eccessi niente minori furono commessi contro gli Ordini religiosi ed i diritti di santa Chiesa nel Ducato di Benevento; sicché E.mo Cardinale Arcivescovo credette di non poter ispingere più oltre la mansuetudine del silenzio, ma di dover levare alto la voce a richiamarsi delle brutte violenze ed iniquità che si venivano moltiplicando con tanto maggiore audacia, quanto più manifeste sono le ragioni di Santa Chiesa in quella città e diocesi. Indirizzò pertanto una sua fortissima lettera a chi ricevette dalla rivoluzione il titolo e 1’ufficio di Governatore di Benevento; e non potendo qui recare per intero questo importante documento, che leggesi nel giornale di Roma del 12 Gennaio, ommesse quelle parti in cui si la la sposizione dei principii di diritto e si protesta partitamente contro le commesse violazioni, riferiremo quella in cui si chiarisee colla narrazione de’fatti la scelleratezza degli usurpatori.
« Vorrei dimenticare gli orrori de’ primi giorni dell’ultimo Settembre(1860 nota del correttore) quando, al convenuto segnale, raccolte costà numerose bande di faziosi delle circostanti province del Regno, fra i clamorosi baccanali di una plebe stipendiata e corrotta s’inalberò la bandiera della rivolta, e furono abbassati gli Stemmi Pontificii perfin dalle Chiese e dagli Ecclesiastici stabilimenti, come se coloro che nel Romano Pontefice voleano esautorato il Sovrano, disconoscessero ad un tempo la spirituale autorità del Capo augusto della Cattolica Religione. Con l’usurpazione de’temporali diritti procedea di conserva la violazione de’diritti spirituali della Chiesa. Un decreto dichiarava decaduto il Governo Pontificio; un altro aboliva il foro ecclesiastico per le cause civili e criminali, ed ordinava alla mia Curia la consegna degli atti relativi. Che dirò poi degli oltraggi a cui soggiacquero i Padri della Compagnia di Gesù? Irreprensibili nella condotta; indefessi nell’educare ed istruire la gioventù, nell’amministrare la divina parola, nel dirigere le coscienze; sempre intesi all’esercizio delle più belle opere di cristiana carità ; in qual modo avean potuto essi mai provocar la fiera persecuzione di cui furono le prime vittime? Eppure a Lei, signor Governatore, non è ignoto come, non per volere del popolo che in que’religiosi riconosceva i suoi benefattori, ma solo dei pochi intrusi al potere, venivano essi aggrediti improvvisamente neilla loro dimora, oltraggiati in molte guise, spogliati di tutto, e come se perduto avessero in un tempo ogni diritto non pur di cittadini ma di uomini ancora, scacciati dalle loro case, e costretti a mendicare un momentaneo alloggio ed un qualche sussidio per recarsi in meno inospitali contrade. Nella loro ammirabile rassegnazione a un così barbaro trattamento abbiamo un illustre esempio di cristiana virtù : ma ciò non giustifica la illegalità dell’atto che li colpiva, nè assolve i loro persecutori dalla colpa della più manifesta ingiustizia, della più nera ingratitudine, del sacrilegio più incontrastabile.
Poscia per correre più spediti nella tracciata via, si pensò al}ontanarmi dalla mia residenza con modi che io vorrei tacere, se fosse stata soltanto una violenza fatta alla mia persona, e non piuttosto un sacrilego insulto al sacro carattere onde sono rivestito. Già da più giorni numerose guardie avevano circondato il mio palazzo e la Chiesa Metropolitana, facendone gelosa custodia; quando il mattino del 27 furono aperte con violenza le porte di quella chiesa, sforzato l’uscio del campanile, e al suono festivo delle campane invitato il popolo ad ascoltare le virulenti ed empie parole d’un apostata sciagurato, che, sprezzando ogni mio divieto, volle dare più volte l’infelice spettacolo delle sue aberrazioni. Sul cadere del dì 28 fu invaso il mio palazzo, e mi si intimava la istantanea partenza da codesta città per ordine del Dittatore, che, mi si disse, doveva parlarmi. Rassegnato cedetti alla forza, viaggiai quasi tutta la notte scortato sempre da alcuni officiali; e condotto in Napoli fui tenuto alquanti di prigioniero, senza mai vedere il Dittatore, e trattato nei modi che sarà meglio preferire in silenzio. Finalmente, perchè non facessi ritorno alla mia Diocesi, fui consegnato al comandante di un piroscafo che partiva per Genova, e lasciato libero nel porto di Civitavecchia. La mia colpa, non è ormai chi nol sappia, era il rifiuto alla richiestami adesione. Venne intanto suggellata una parte del mio palazzo, né fu aperta che per darvi alloggio ad officiali delle truppe rivoluzionarie.
« Lo confesso innanzi al Signore, nessun rancore io serbo per quelli che offesero la mia persona, e prego dall’intimo del mio cuore il Padre delle misericordie, perchè si degni illuminarli e ricondurli, al sentiero della salute. Non posso però non sentire il più profondo dolore per la ostinata guerra che si fa alla nostra santa Religione, calpestandone i diritti, violandone le leggi, perseguitandone i ministri. Pure a vista di tanti disordini, io non perdeva ogni `speranza che, dato giù quei primi bollori, non tardasse il ravvedimento; e che altri forse, in cui non fosse estinto ogni sentimento di onestà e di Religione, avrebbe fatta un giorno una giusta riparazione degli errori commessi, e lasciata alla Chiesa tutta la libertà nel suo spiritual ministero. E già la potente eloquenza dei fatti sì evidentemente contrarii alla ragione e alla coscienza, bastata per avventura sarebbe all’altrui disinganno, ove le menti non fossero ormai tanto cieche non saprei se più da uno stolto fanatismo politico; ovvero da un mal simulato odio alla Chiesa.
Gli eventi non han corrisposto alle mie speranze. Un decreto infatti dichiarava i beni della Mensa arcivescovile proprietà dello Stato, e il mio amministratore veniva obbligato alla consegna dei titoli e dei registri ; che se poscia l’amministrazione tornava nelle mani del mio agente, ciò, come si annunziava, non fu che un precario provvedimento e non senza un ratizzamento di frutti che si vollero ritenere dovuti al nuovo Governo. Si dà mano al Monte di Pietà, istituito dalla munificenza dell’immortale Pontefice, Benedetto XIII, e, senza pur farne motto alla ecclesiastica autorità da cui per fondazione esclusivamente dipende, si restituisce un numero di pegni del valore di oltre ai ducati quattromila, per cattivarsi la benevolenza e il suffragio della popolazione. Al depositario delle somme dei Luoghi Pii destinate a rinvestimento o a libero uso, si ingiunge di esibirne esatto registro e tener pronte le dette somme a qualunque richiesta del Governo. Da ultimo agli amministratori de’Monti frumentarii del Ducato Beneventano s’intima di preparare un general rendiconto da esibirsi alle autorità governative.
« Su questi fatti, signor Governatore, vorrei chiamare le sue riflessioni, se la illegalità e la ingiustizia dei medesimi non apparisse à primo sguardo. Mi permetto soltanto domandarle: Su qual diritto, sopra qual legge si appoggiano cotali atti di usurpazione e di spoglio? Come giustificarne i modi ? Come legittimarne le conseguenze? Eppure tutto ciò si è operato in nome della libertà; si è praticato in un tempo in cui si proclama caduto il dispotismo, si è eseguito da quei che portano il titolo di cattolici. Ma chi non vede in queste opere la vera libertà manomessa dall’arbitrio e dalla violenza? Chi non vi scorge l’impronta del più detestabile dispotismo? Qual de’cattolici ignora il divino precetto di rispettare l’altrui proprietà, e le pene fulminate contro i sacrileghi usurpatori degli spirituali e temporali diritti della Chiesa? Altri però più dolorosi avvenimenti vennero non guari dopo ad accrescere l’amarezza del mio cuore. Nel breve giro di pochi giorni cotesta città fu privata delle Religiose famiglie dei PP. Agostiniani, Domenicani, Conventuali, Ministri degli infermi e Missionari del preziosissimo Sangue, colpiti dalla sorte medesima che toccava ai PP. della Compagnia di Gesù. Risparmiate non furono le persone, ignominiosamente sbandite senza riguardi di sorte alcuna ; non risparmiate le sostanze, sequestrate tutte e ritenute a disposizione di chi ne bandiva i legittimi possessori!
« Io non trovo parole per deplorare abbastanza sì abbominevoli eccessi, di cui sono incalcolabili le conseguenze! II pubblico insegnamento decaduto; le coscienze prive di tanti abili direttori; una Parrocchia vedovata del suo Curato; la pubblica morale minacciata nei suoi più vitali principii; il divin culto avversato; la Religione conservata solo nel nome; il popolo defraudato di tanti spirituali ed anche materiali vantaggi, ecco i lagrimevoli effetti dell’iniziato sistema, la cui tremenda responsabilità si vorrà indarno sfuggire da chi ne ha posto le cause. Chiarito adunque essere ormai vano, se non forse nocivo, ogni altro indugio, io mi dirigo a Lei ecc. ».

[…]paragrafi 6 e 7

8. Ma troppo più orrendo, sotto qualche rispetto; fu ciò cbe si commise dai Cialdiniani alla Badia di Casamari. Devastazione, incendio e sacrilegio segnarono quivi il passaggio di truppe regolari piemontesi. Eccone il racconto sommario, quale si reca dal Giornale di Roma del 24 Gennaio. « Diverse corrispondenze della provincia di Frosinone, in data di ieri 23 corrente, ci recano i particolari di una invasione aggressiva commessa da un corpo di truppe piemontesi, nelle ore pomeridiane del precedente giorno 22 contro il Monastero di Casamari, posto sul territorio pontificio ,nel distretto di Veroli, accompagnata da circostanze vandaliche e sacrileghe. Poco dopo le 4 pomeridiane dell’indicato giorno, circa mille soldati piemontesi, con artiglieria e cavalleria, divisi in forti distaccamenti, dalla parte della montagna superiore, dello stradale e da diverse bande si riunirono a circondare il Monastero. Molti dei religiosi, e fra gli altri i novizi, cedendo alle vaghe voci che erano Precorse sul proposito, avevano abbandonato poco prima quell’asilo di pace: intorno a dieci monaci laici ed un Sacerdote ne erano rimasti a costodia. Ai primi soldati, che entrarono a fucili spianati, fecesi incontro quel Reverendo; che, sentito come essi cercavano una banda di reazionarii quivi appiattata e non i monaci, ebbeli assicurati quivi non ritrovarsi alcuno di coloro dei quali andavano in traccia. Ma all’udirsi di fucilate, sopraggiunsero uffiziali, che imprecando, con cipiglio feroce minacciarono fucilazione a quanti religiosi non avessero disgomhro il luogo. Allora il Monaco, correndo la casa, procurò di raccogliere i rimasti, dando loro per luogo di convegno la Chiesa, all’altare del Santissimo Sagramento. Quando però gli assembrati religiosi erano coi torchi in mano per trasportare il Venerabile, la Chiesa stessa è invasa dalla milizia, e i religiosi dispersi alle grida che intimavano fucilazione a chi non si partisse sull’istante. Rimasto solo il Monaco sacerdote, potè tornare nella casa, e vedere che a quella soldatesca era bastato poco tempo per abbattere le porte di tutte le celle, manomettere le officine, ridurre a pezzi e frantumare la mobilia, e involare quanti oggetti si poteano asportare. Sull’uscire del sacro recinta, il Maggiore delle truppe lo richiamò, e replicando le minacce, tornò a dimandargli conto di coloro di cui andavano in cerca. E il Monaco a protestare di sè e dei suoi sul non averne contezza di sorta. A notte alta, gli invasori abbandonarono il solitario luogo, trasportando seco, oltre agli oggetti suindicati, ancora quelli che servono aI culto : sagrilegamente involarono e calici e pissidi, non rispettando neppur quella che chiudeva le Particole consacrate. Nel ritirarsi che quelle truppe fecero a suono di tromba, appiccarono il fuoco alla spezieria, ricchissima officina destinata a fornire i medicinali ai poveri contadini del circondario; e al molino, e ai fienili. Fu ventura che il fuoco di questi si potesse spegnere dagli accorsi del luogo: chè altrimenti di quello Stupendo e interessante monumento della storia artistica e religiosa che è la celebre Badia di Casamari, non sarebbe rimasto cbe un mucchio di calcinate ruine .