Marco Monnier -Volete ancora udire una istoria atroce?

COPDAL LIBRO “NOTIZIE STORICHE SUL BRIGANTAGGIO NELLE PROVINCIE NAPOLETANE” DI MARCO MONNIER -FIRENZE 1862
DA PAG.95 A PAG.101

…omissis…Cialdini tesseva il proprio elogio. Molta arte e molta audacia, con un’aria di franchezza e di buonomia ; ecco qual era tal uomo.
Ei piacque a Napoli e, per piacere ancora di più passò la Guardia nazionale in rivista, a malgrado del caldo, tutte le domeniche. Fu acclamato come Garibaldi.
In tal guisa egli divenne padrone nel tempo stesso de’borbonici repressi, de’patriotti accarezzati, e del popolo.
Restavano i briganti. In Francia ha recato sorpresa che egli non li distruggesse completamente in due mesi: pare che siensi dimenticate le guerre di Algeria e del Caucaso. E come prendere un nemico sempre nascosto, sempre fuggiasco, che si chiude ne’boschi, si ferma sulle alture, e vi sparisce dalle mani quando credete di averlo afferrato?
L’uomo che meglio di ogni altro ha fatto questa guerra di montagne, il generale Manhès, annientò alcune bande in pochi giorni, ma aspettò L’inverno per attaccarle. La neve caccia i lupi dalle alture, le foreste cui cadono le foglie non li nascondono più, il freddo e la fame li uccidono. Dovevasi imitare il rigoroso esempio, e attendendo le brezze lasciare le mèssi e le vendemmie in balia di queste tribù di banditi ?
Cialdini cominciò dal dividere le bande. Prima occupò il territorio fra Avellino e Foggia, ristabilì le comunicazioni con L’Adriatico, e isolò i briganti -del mezzogiorno. Quindi in Calabria e segnatamente nel distretto di Cotrone, ove eransi rifugiati, fu facile distruggerli. I proprietarii stessi si posero alla testa dei loro contadini e delle loro guardie armate, dacchè là specialmente la guerra civile era un pretesto alla guerra sociale, era una sollevazione de’ poveri contro i ricchi.
Tutti quelli che sono vestiti con un po’ di decenza si chiamano in quelle provincia galantuomini: e da ciò ne resultava una confusione d’idee favorevolissima ai ladri. Il galantuomo, Vittorio Emanuele, era il re delle classi ben vestite: Francesco, il re de’proletarii e degli indigenti. Dunque Viva Francesco Il, e si rubava senza scrupolo.
I briganti delle Calabrie furono battuti dai proprietari e chiusi ne’boschi impenetrabili della Sila, ove rimarranno forse fino all’inverno. Ma nel centro e a settentrione il brigantaggio politico era più pericoloso, a causa della vicinanza di Roma. I ladri di Avellino eransi gettati nella provincia di Benevento, ove caddero un giorno su una quindicina di borgate derelitte. Il colonnello Negri si adoperò a tutt’uomo per sottometterli. Fuggirono finalmente verso il settentrione, nelle montagne del Matese. Il generale Pinelli spazzava nel medesimo tempo le pianure intorno a Nola, cacciando i falsi Vandeesi, che tiravano sui convogli e toglievano le guide delle strade ferrate.
Poi un giorno imbarcandosi, senza dir cosa alcuna, fece il giro della penisola, e cadde a un tratto in Puglia, a Viesti. Là con pochi bersaglieri mise in fuga quattrocento briganti, i quali avevano commesso ogni sorta di orrori, scannando, fucilando, bruciando senza pietà. « Furono uccisi nella mischia Tropiccioni e suo figlio, Giovannicola Spina, e di quest’ultimo mangiarono un pezzo di carne ! » È un prete che ha scritto tali parole : ho letto la sua lettera, e altre te- , stimonianze hanno confermato il fatto, aggiungendovi ragguagli mostruosi.
Volete ancora udire una istoria atroce? Ascoltatela, e sarà l’ultima: giova narrarla per giustificare le punizioni.
Il 7 agosto i briganti chiamati da cinque canonici e da un arciprete, invasero Pontelandolfo, Comune sulla destra di Cerreto, nelle montagne. Accolti con gridi di gioia dalla plebe, al ritorno di una processione, saccheggiarono l’ufficio municipale, la polizia, il corpo di guardia, le botteghe, e ferirono Filippo Lombardi, settuagenario, che fu strappato dalle loro mani da sua moglie : entrarono di viva forza in casa del percettore Michelangelo Perugino, e dopo averlo ucciso, mutilato, spogliato, bruciarono la casa di lui e gettarono il suo cadavere nudo nelle fiamme.
Ma questo è nulla. Pontelandolfo rimase nelle mani della plebe; 3000 mascalzoni costituirono il governo: due villaggi vicini, Casalduni e Campolattaro, insorsero.
Quattro giorni appresso, l’11 agosto, quaranta soldati italiani e quattro carabinieri furono inviati a Pontelandolfo per arrestare i briganti nella loro fuga. Non ebbero la pazienza di attendere, vollero attaccarli. Tutto Pontelandolfo fu sotto le armi. L’ufficiale italiano (Luigi Augusto Bracci, luogotenente del 36°) e i suoi 42 uomini (gli altri due erano rimasti indietro) furono assaliti e doverono rifugiarsi in una torre. Dopo una vigorosa resistenza, ripiegarono sopra Casalduni : un prete avea lor detto che questo villaggio era occupato dalle truppe. Per la via furono stretti e attaccati ai fianchi dalla gente di Pontelandolfo, poi arrestati da quelli di Casalduni, che eransi imboscati per attenderli. Circondati allora, sopraffatti dal numero, furono scannati tutti, eccetto un solo, che ebbe il tempo di gettarsi in una siepe e narrò poi questa orribile istoria. Non fu una carneficina, ma un eccidio. I contadini erano cento contro uno, e volevano tutti il loro pezzo di carne. – Non invento nulla, anzi cerco di attenuare.

La mattina del 13 giunse il colonnello Negri cogli Italiani : chiesero de’loro compagni; fu loro risposto che avevano cessato di vivere: domandarono i loro cadaveri: non furono trovati: essi stessi li cercarono, e sorpresero membra tagliate, brani sanguinosi, trofei orribili appesi alle case, e esposti alla luce del sole. Appresero che avevano impiegato otto ore a dar la morte a poco a poco al luogotenente ferito soltanto nel combattimento. Allora bruciarono i due villaggi.
« Giustizia è fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. » Tale fu il dispaccio del luogotenente colonnello Negri.
Si è gridato molto contro questi rigori, si è lamentata la fucilazione di alcuni individui a Somma, convinti di aver prestato mano ai briganti. Il partito che glorifica gli assassinii commessi dai borbonici, non ammette le punizioni inflitte dalla giustizia militare. Io nulla oppongo a questa generosa pietà.
Soltanto vo’ricordare le repressioni di Manhès, il quale bruciò anche alcuni villaggi, e le traggo non dal Colletta, l’autorità del quale è stata rifiutata, ma dallo storico Carlo Botta, che al generale francese fu legato di amicizia. È un bel brano che cito e che completerà questo studio. « Per arrivare al suo fine quattro mezzi mise (Manhès) in opera: notizia esatta del numero dei facinorosi, comune per comune, intiera loro segregazione dai buoni, armamento de’ buoni, giudizi inflessibili ……………Fe’ritirare bestiami e contadini ai borghi più grossi che erano guardati da truppe regolari, fe’ sospendere tutti i lavori di agricoltura, dichiarò caso di morte a chiunque, che, ai corpi armati da lui non essendo ascritto, fosse trovato con viveri alla campagna, mandò fuori a correrla i corpi dei proprietari armati da lui comune per comune, intimando loro, fossero tenuti a tornarsene co’ facinorosi o vivi o morti. Non si vide più altro nelle selve, nelle montagne, nei campi, che
truppe urbane, che andavano a caccia di briganti; e briganti che erano cacciati. Quello che rigidamente aveva Manhès ordinato, rigidamente ancora si effettuava. I suoi subalterni il secondavano, e forse non con quella retta inflessibilità, che egli usava, ma con crudeltà fantastica e parziale. Accadevano fatti nefandi : una madre che ignara degLI ordini, portava il solito vitto ad un suo figliuolo che stava lavorando sui campi, fu impiccata (A Quest’ antica storia è stata riprodotta dai giornali clericali, i quali l’hanno narrata come un delitto recente, commesso dai soldati di Cialdini).
. Fu crudelmente tormentata una fanciulla, alla quale furon trovate lettere indirette ad uomini sospetti……………….
I facinorosi intanto, o di fame, per essere il paese tutto deserto e privo di vettovaglie, perivano, o nei combattimenti che contro gli urbani ferocemente sostenevano, morivano, o preferendo una morte pronta alle lunghe angosce, o da sè medesimi si uccidevano, o si davano volontariamente in preda a chi voleva il sangue loro. I dati o presi condotti innanzi a tribunali straordinari, composti d’intendenti delle provincie e di procuratori regii, erano partiti in varie classi ; quindi mandati a giudicare dai consigli militari creati a posta da Manhès. Erano o strangolati sui patiboli o soffocati dalla puzza in orribili prigioni : gente feroce e barbara che meritava supplizio, non pietà. Nè solo si mandavano a morte i malfattori, ma ancora chi li favoriva, o poveri o ricchi, o quali fossero o con qual nome si chiamassero perocchè, se fu Manhès inesorabile, fu anche incorruttibile. »
Seguono narrazioni atroci di gastighi che renunzio a recare. Invio,il lettore al libro del Botta : vi troverà processione di suppliziati, vittime strappate al boia dai contadini che le laceravano vive colle loro unghie, torri spaventose ove i prigionieri erano gettati confusi con i cadaveri, e dove i moribondi rodevano i morti; infine (così chiude lo scrittore il libro XXIV della sua Storia)’« le teste e le membra degli appiccati appese sui pali di luogo in luogo rendettero lungo tempo orrenda la strada da Reggio a Napoli.
Mostrò il Crati cadaveri mutilati a mucchi; biancheggiarono e forse biancheggiano ancora le sue sponde di abbominevoli ossa. Così un terrore maggiore sopravanzò un terrore grande. Doventò la Calabria sicura, cosa più vera che credibile, sì agli abitatori che ai viandanti ; si apersero le strade al commercio, tornarono i lavori all’agricoltura; vestì il paese sembianza di civile, da barbaro ch’egli era.
Di questa purgazione avevano bisogno le Calabrie.
Manhès la fece : il suo nome saravvi e maledetto e benedetto per sempre.
Ricordo ora che il generale conte Manhès, che erasi battuto per Murat, visse dipoi in Francia, ove gli fu conservato il suo grado e il suo titolo e fu particolarmente tenuto in onore da Luigi XVIII. Il re Ferdinando II, che gli fece più tardi la migliore accoglienza, più volte ha detto di lui : “Dobbiamo a Manhès la presente tranquillità delle Calabrie”.
Per ultimo trascrivo questa frase da un rapporto recente ed officiale di un governatore: « Manhès distrusse il brigantaggio delle Catabrie in pochi giorni. Quando noi leggevamo la storia di quest’uomo, lo chiamavamo tiranno sanguinario, oggi lo sospiriamo. »
Alla pari di quelle di Manhès, le punizioni assai più miti del generale Pinelli riuscirono contro gli insorti dell’anno in cui siamo. Si è esagerato il rigore di questo generale: all’incontro i briganti si lodano della clemenza di lui. Egli non ordina una esecuzione càpitale, se non quando la grazia è impossibile. Non lascia fucilare (e non avviene sempre) che i delinquenti volgari presi colle armi alla mano. Coloro che si arrendono, hanno salva la vita : coloro che non hanno commesso nè furti, nè assassinii, sono posti in libertà. Così i briganti cacciati dapprima nelle pianure, poi respinti sulle alture del Gargano, del Matese, di Nola, di Somma, del Taburno, della Sila, si son resi in frotte, in specie i soldati sbandati, i disertori, i refrattari, dei quali 30 mila almeno son già partiti alla volta dell’Italia settentrionale.
Ecco dunque repressa la reazione. Essa procedeva a caso, senza un sistema, senza un concetto. Si potè credere un giorno che essa volesse gettarsi sopra Napoli ; un colpo di mano sulla capitale sarebbe stata infatti la sola cosa da tentarsi. In questo piccolo stato sormontato da un capo enorme, basta comandare nel forte Sant’ Elmo e risiedere nel palazzo reale per dirsi padrone del paese. Alcuni moti simultanei verso la fine di luglio e ai primi giorni di agosto, nelle provincia di Bari, di Foggia, di Salerno, le turbolenze di Gioia, di Viesti, d’Auletta, l’apparizione d’alcune piccolissime bande ne’dintorni di Napoli, alcune lettere anonime al luogotenente, che lo minacciavano di una pugnalata, una recrudescenza di furfanterie nei borbonici e ne’ fogli clericali, gli imbarchi a Civitavecchial di zuavi pontifici vestiti colle camicie rosse, i conciliaboli di Roma e di Marsiglia, senza contare quelli di Napoli e di Portici, i proclami, gli eccitamenti, le minacce loro, tutto ciò fece credere ad un gran colpo che fortunatamente mancò.
Cialdini fece armare i forti, per rassicurar Napoli, non per bombardarla (come dissero certi fogli rabbiosi), ordinò delle crociere sul littorale, raddoppiò di vigilanza e di vigore. Non vi furono sbarchi di zuavi, nè colpi di mano su Napoli, e neppure una dimostrazione in favore di Francesco II. In alcune borgate insorte la reazione fu schiacciata prima che conosciuta.