UN AMORE AL TEMPO DEI BRIGANTI

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 28° episodio UN AMORE AL TEMPO DEI BRIGANTI.
di Valentino Romano (*)

Atessa, maggio del 1866.
Il rischio che si corre nel proporre la storia di Maria Suriani è quello di una narrazione melensa. E allora l’accusa di “tardo romanticismo” che taluni accademici rivolgono a chi si preoccupa di scavare nelle storie minime degli uomini e delle donne del brigantaggio per cogliervi qualche frammento di umanità sarebbe anche giustificata. Però, si sa, il pericolo è il mio mestiere di scrivere … e questa storia la ripropongo ugualmente.
Maria, nacque nel 1846 ad Atessa ed ebbe una contrastata storia d’amore con il capobrigante Domenico Valerio, detto Cannone; la liaison dangereuse avrebbe subito un’imprevista battuta d’arresto allorché il brigante, convinto che il padre della ragazza fosse un informatore delle forze di polizia, lo avrebbe malmenato di brutto. Ma, dal momento che al cuor quasi mai si comanda, la povera Maria, pur dibattuta tra l’amore paterno e quello per il suo uomo, non smise di coltivare – anche se di nascosto – il secondo. Anche a costo per la poveretta di subire, oltre all’inevitabile e decisa opposizione paterna, la persecuzione poliziesca che, nel 1864, la mandò a domicilio coatto per nove mesi in Sardegna. Eh, pazienza! Non a caso il mio amato (ma esageratamente ottimista) Virgilio sosteneva che “amor omnia vincit et nos cedamus amori”.
Una volta scontata la pena Maria se ne tornò in paese. I documenti d’archivio non dicono se, come e quando la ragazza continuasse a frequentare Cannone. Si sa solo che il 14 maggio del 1866 accadde un episodio che avrebbe portato Maria in carcere per manutengolismo: quel giorno diciassette militi della Guardia nazionale di Bomba si “recavano ai consigli di leva in Vasto”; sul drappello piombò Cannone con cinquanta uomini e ne sequestrò tredici. Arrivata la notizia ad Atessa venne riunita una piccola forza che si mise all’inseguimento dei malfattori. La banda, poco dopo, venne intercettata e ne seguì un conflitto a fuoco. Nel frattempo sopraggiunsero altri soldati e la banda, a stento, riuscì a sfuggire all’accerchiamento. Nella confusione i sequestrati riuscirono a liberarsi e i briganti nella fuga abbandonarono “armi e molti generi di vestiario e una tunica di Capitano della Guardia Nazionale ricamata in oro che apparteneva al capobanda Cannone”. I Reali Carabinieri, esaminati gli effetti personali abbandonati dai briganti, ebbero così la possibilità dello “scovrimento e dell’arresto della druda del Cannone a nome Suriani Maria, di anni 19 di Atessa, in seguito al rinvenimento di una lettera di costei in una saccoccia della tunica del bandito”.
Maria, secondo l’informativa subito inviata dai Reali Carabinieri agli inquirenti, sarebbe stata “una cattiva donna tornata dall’Isola di Sardegna, ov’era stata a domicilio coatto per ostinato commercio co’ briganti”: mandata a processo presso la Corte d’Appello di Chieti, fu da questa prosciolta per insufficienza di prove. La ragazza, infatti, riuscì a dimostrare di essere analfabeta e, quindi, di non essere stata a lei a scrivere quella benedetta lettera. Beh, ad essere onesti, lo sbandierato analfabetismo non provava proprio nulla, se si considera come tutti gli analfabeti ricorressero spesso agli scrivani a pagamento per comunicare. Però, dal momento che non si riuscì a provare la diretta responsabilità di Maria nella stesura della misura, ben appropriata fu l’assoluzione. Non posso astenermi qui dal fare una considerazione: la legislazione eccezionale d’emergenza (cioè le tristemente famose “legge Pica” e “legge Peruzzi”) avevano cessato i loro effetti al 31 dicembre del ’65; successivamente a quella data i reati di brigantaggio e di manutengolismo erano stati restituiti al loro giudice naturale: così, se in vigenza della legislazione d’emergenza, il mero dubbio e il solo sospetto avevano costituito inoppugnabile prova di colpevolezza, una volta cessata quella normativa liberticida, si era ritornati finalmente alla buona regola del diritto penale secondo la quale “in dubio pro reo”.
Torniamo a Maria, o per meglio dire, alla famosa lettera che avrebbe scritto o fatto scrivere. Qui l’accusa di tardo romanticismo alla quale accennavo prima ci sta proprio tutta e me l’accollo volentieri. Ma, vivaddio, potrebbe essere diversamente?
Amici, leggiamola insieme e poi lascio a voi il giudizio finale. L’antefatto (per come si evince dal contenuto della lettera stessa): Cannone avrebbe scritto una missiva a Maria, lamentando la sua decisione di partecipare ad un pellegrinaggio a Bari, presso la Basilica di S. Nicola e, probabilmente, annunciandole la sua decisione di troncare la relazione. Ed ecco la risposta della ragazza:
“Mio caro amico questa cosa che mi avete scritto mi avete fatto mettere a piangere mentre io non voleva andarci a S. Nicola, ma la famiglia e i parenti hanno voluto portarci per forza e mi dicevano che se non adempivo mi succedevano disgrazie. Ecco vedete che cosa doveva fare e io non poteva sapere che vi dispiaceva perciò se volete seguitare ad amarmi io vi prometto di fare sempre quello che voi mi dicete. Se poi vi avete trovato un’altra sposa come mi diceste altra volta allora pazienza, faccia la Madonna del Carmine, ed io mi farò sempre un pianto, vi mando quattro fazzoletti che tenete per mia memoria, altri sei ve li manderò in appresso, intanto vi dico se voi non mi amate più me ne andrò da Atessa e non mi vedrete più.
Non vi dico la vostra amante ma la vostra serva. Maria Suriani.
Vi dico un’altra cosa se sono andata a S. Nicola a Bari sono andata più per pregare per voi per farvi dare la salute e ho pagato per farvi fratello aggregato alla Congregazione di S. Nicola, ecco vedete che o cercato per bene per voi e per me e demandato i vostri amici cari quanto bene vi voglio, e voi tutto al contrario per me del resto fate quello che volete, pensate di star bene in saluto voi, ed io mi metterò da adesso al letto. Vi saluto”.
Vi confesso che quando in Archivio ho letto e trascritto questa lettera riflettevo sui suoi contenuti, l’amore, la sottomissione, la tenerezza, la fede semplice, la rassegnazione. E mi divertiva, lo ammetto, anche l’idea di un brigante confratello di una congrega religiosa: una chicca per chi, come me, adora l’ironia. Ieri, scegliendo tra le tante questa storia per riproporla oggi a voi, sulle prime, avevo pensato di analizzare questi contenuti più compiutamente, uno per uno. Ma questa notte ci ho ripensato: questa lettera è scritta con l’inchiostro delle lacrime di una “cattiva donna” e l’unica chiosa possibile è la carezza del silenzio. E così, nuda e cruda (e tenera assai), l’affido alle vostre riflessioni e al vostro silenzio. Sto invecchiando, accidenti!. E non solo per l’insonnia incalzante.
Buona domenica, alla prossima.

(*) Promotore Carta di Venosa

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