Le vie di comunicazione, i tratturi e le taverne per la sosta

RICERCA, A CURA DEL Prof.Renato Rinaldi, EFFETTUATA DAL LIBRO “CAVALLI E CAVALIERI” a cura di Nicola Mastronardi -Palladino editore- Campobasso 2003
Da pag.163 a 175

Le vie di comunicazione, i tratturi e le taverne per la sosta
Biagio Del Matto

Questo breve scritto vuole inquadrare l’importanza che i tratturi, al pari delle grandi vie di comunicazione, hanno rivestito nei secoli come itinerari di spostamento di persone e animali e come luogo di relazioni commerciali, umane e culturali per le popolazioni che vivevano nei territori da essi attraversati.
I tratturi costituivano un sistema di direttrici viarie integrative alla grande viabilità di attraversamento e comunicazione come concepita dai romani, basilare per l’economia della transumanza e soprattutto per la mobilità delle popolazioni locali per le quali sono stati dei crocevia di relazioni essenziali per lo sviluppo delle terre del Sannio Pentro attraverso i secoli.
Non si può parlare in maniera esaustiva di vie di comunicazione e di tratturi senza fare un breve cenno alle figure fondamentali che si muovevano lungo questi itinerari e che erano i veri portatori di idee, di cultura e fonte di relazioni tra i popoli.

Il viaggiatore, eroe e profeta

I pellegrini e i viandanti, insieme alla maggior parte delle persone, viaggiavano a piedi. I viaggi erano molto faticosi e pieni di pericoli, dalle avversità delle vie poco confortevoli a quelle atmosferiche, alle insidie dovute all’incontro con i briganti, sempre presenti sugli itinerari più frequentati. Ecco perché al ritorno i viaggiatori raccontavano le avventure e i fatti occorsi lungo il cammino e, spesso, anche dei compagni che non erano usciti vivi dal viaggio intrapreso.
Molti viandanti che partivano per pellegrinaggi lunghi facevano addirittura testamento, temendo di non ritornare vivi nella propria terra.
I mercanti di rango erano accompagnati da sommeggiatori con cavalli, muli per il trasporto di mercanzie e spesso da una vera e proprio guardia del corpo.
I pastori transumanti portavano con sé gruppi di muli e asini da soma con le masserizie e tutto ciò che serviva per lavorare il latte, fare il formaggio, insieme all’occorrente per adempiere alle mansioni di servizio ai greggi in movimento.
I percorsi in genere erano vie mulattiere, spesso carrabili, ma accidentate e scarse di manutenzione, i tratturi erano vie più regolari e ben tenute, in virtù delle leggi ferree che li preservavano da abusi e invasioni di tracciato da parte dei proprietari frontisti.
Un viaggiatore singolo o in gruppo, in un giorno percorreva in pianura circa quaranta chilomeri, su percorsi di montagna circa venti chilometri, un gregge transumante sul tratturo poteva percorrere giornalmente circa quindici chilometri.
Spesso i viaggiatori tenevano un diario che riportava tutti gli eventi salienti avvenuti lungo il percorso, i pastori transumanti annotavano le nascite di agnelli, la morte di capi per accidenti o malattie, oltre a tutti gli eventi importanti che capitavano.

Gli eserciti e i notabili di stato

Prima e dopo l’avvento della civiltà romana le strade erano percorse da una moltitudine di viandanti in movimento per causa di guerre, di carestie o di malattie endemiche. Durante la dominazione romana le vie di comunicazione erano percorse soprattutto da eserciti di armati che procedevano alla conquista o al presidio dei territori conquistati, insieme agli uomini di stato, gli ambasciatori, i messi, i quali si muovevano continuamente nei territori dell’impero per presiedere alle funzioni civili e amministrative.
I pellegrini e i predicatori

I pellegrini si incamminavano in lunghi viaggi per visitare luoghi sacri, per pregare sulle reliquie di importanti santi o per espiare colpe ed adempiere a voti.
Numerosissimi nel tempo sono stati i movimenti di pellegrini che visitavano le terre dove visse Gesù, la Terrasanta, la città di Gerusalemme e in particolare il Santo Sepolcro. Al termine del pellegrinaggio portavano nelle terre di origine una palma, “la palma di Gerico”.
Altra meta ambita dai pellegrini era la città di Roma, ancora oggi la capitale del mondo cristiano. Qui giunsero per secoli moltitudini di pellegrini da ogni città europea, dando luogo ad itinerari illustri, quali la Via Francigena. Il flusso di pellegrini in movimento sulle strade d’Europa si incrementò con l’istituzione del primo giubileo, voluto dal Papa Bonifacio VIII, nel 1300.
I monaci predicatori, figure molto attive sopratutto dopo il Duecento, si ritrovavano normalmente sugli itinerari viarii tra convento e convento e tra città e città.

Mercanti cavalieri, pastori e viandanti

I mercanti si incamminavano, per motivi economici, per attivare commerci e scambi di materie prime e di ogni genere di mercanzia. La meta di solito era una città, un grande mercato, una fiera, da raggiungere sia per acquistare sia per vendere, talvolta in posti lontani, dove prelevavano le merci (spezie e mercanzie pregiate), altre volte con gli scambi nei porti più trafficati.
Portavano con sé sempre sommeggiatori, gruppi di muli carichi di mercanzie da scambiare, spesso forniti di scorta armata.
I cavalieri viaggiavano quasi sempre in gruppo, al servizio di questo o quel signore, e quando compivano funzioni di messaggeri andavano solitari in missione.
I comuni viandanti erano sempre motivati da un bisogno, da una calamità o da una guerre, e si spostavano sia da soli che in piccoli gruppi. Spesso si aggregavano a comitive per ragioni di sicurezza.
I pastori si muovevano nel territorio per motivi di lavoro; essi seguivano la ritualità stagionale dei bisogni alimentari delle greggi che custodivano, quasi sempre alle dipendenze di signori e massari che avevano come loro attività economica principale l’allevamento delle pecore. Recavano con loro sempre gruppi di muli o di asini e qualche cavallo per il trasporto di masserizie, derrate, attrezzature per lavorare il latte e per il trasporto del formaggio. Gli spostamenti avvenivano periodicamente al cambio delle stagioni, e utilizzavano prevalentemente le vie verdi dei tratturi, perché efficienti, ed adattissime alle greggi in transumanza.

I riti della partenza e l’abbigliamento dei viaggiatori

Le partenze del pellegrino, del cavaliere e del pastore erano in genere precedute da festeggiamenti, da cerimonie, da riti propiziatori e scaramantici (la vestizione rituale o l’incoronazione). Ogni singola cerimonia rappresentava un augurio per la buona riuscita del viaggio e costituiva, per le persone in partenza, una forma di richiamo al proprio luogo. Perciò questi riti, specialmente per il pastore, venivano replicati al ritorno.
L’abbigliamento dei viandanti era in generale semplice e molto pratico, adatto a camminare senza impaccio, a sopportare sia il caldo che il freddo, guarniti spesso di stemmi o distintivi con figure proprie dell’attività o della corporazione di appartenenza.
Il pellegrino indossava indumenti ordinari: un mantello di tessuto ruvido, un cappello e una bisaccia. I vestiti venivano benedetti davanti all’altare prima di essere indossati.

La cartografia stradale

La rappresentazione dei percorsi su carte stradali risale alla civiltà babilonese ed egiziana. Nel periodo greco, secondo Strabone, Alessandro da Mileto (VI sec. a. C.) eseguì la prima riproduzione del mondo conosciuto.
I romani produssero carte stradali sintetiche, svincolate da credenze e simboli, che si dimostrarono veramente molto pratiche per i mercanti, condottieri e viaggiatori in genere.
Già nel III secolo a. C. si produssero carte stradali con le indicazioni di distanze e notizie sui valichi, sui guadi dei fiumi, i ponti, le mansiones, le mutationes ecc.
La Tabula Peutingeriana, custodita nella Biblioteca Nazionale di Vienna, redatta nel XIII secolo come copia di originale romano e pubblicata in parte dall’umanista tedesco Corrado Peutinger, è un esempio di questo tipo di carte.
Nel periodo augusteo le conoscenze acquisite dettero corpo alla grande Forma Imperii, la carta geografica che rappresentava tutto l’impero romano, eseguita su una grande tavola di marmo ad opera di Marco V. Agrippa. La cartografia dell’epoca imperiale si materializzò in Grecia intorno al Il sec. d. C. con Marino di Tiro e Claudio Tolomeo.
L’opera geografica di Tolomeo si diffuse in occidente solo nel XV secolo; con il Rinascimento si dette inizio alla nuova storia della cartografia, svincolata completamente dalle definizioni delle sacre scritture che fino ad allora l’avevano condizionata, dando origine alla cartografia moderna.

Tributi e gabelle per i viaggiatori

Viaggiare da sempre ha comportato avere una certa possibilità economica, un rango politico o militare, in virtù di tributi e gabelle che lungo le vie di comunicazione bisognava pagare per l’attraversamento di un fiume o per il passaggio sui territori di signori diversi, o per mille altre ragioni.

Le vie di comunicazione nell’Italia meridionale

Il territorio dell’Italia meridionale è geomorfologicamente vario. La costa è caratterizzata da pianura, media e bassa collina; la parte centrale appenninica da media ed alta montagna, che talvolta si spinge fino al mare; la catena appenninica ha costituito spesso il confine naturale fra popolazioni dei territori che si affacciavano sul Tirreno e sull’Adriatico. Un simile territorio, con questo tipo di orografia, era percorso soprattutto secondo itinerari paralleli ai mari Adriatico e Tirreno, perché naturalmente facili e perché consentivano di congiungere la maggior parte degli insediamenti umani esistenti e le stesse relazioni tra popoli erano favorite da questa logica.
Gli attraversamenti della catena appenninica si svolgevano soprattutto lungo le valli, mediante itinerari che seguivano le naturali fenditure dell’orografia dei luoghi.
Gli attraversamenti su percorsi più strutturati e difficili avvenivano solamente in presenza di patti territoriali di libero transito, stipulati con alleanze stabili tra le popolazioni di due o più versanti, che davano luogo ai corridoi di intesa, nati proprio per congiungere punti di interesse religioso, economico o comunque strategici alla convivenza delle popolazioni locali.

La viabilità nel periodo preromano

I percorsi, specialmente nella fase preromana non erano univoci, ma variavano nel tempo e dipendevano da condizioni politiche territoriali, da rapporti temporanei tra le popolazioni. Gli stessi diari di viaggio e le guide stradali possono presentare varianti per questi itinerari, anche notevoli, rispetto ai percorsi caratteristici. Gli itinerari di comunicazione erano in gran parte delle vie mulattiere, utilizzabili a piedi, a cavallo o con animali da soma; raramente erano predisposte per il passaggio di carri trainati da cavalli o buoi.

La viabilità nel periodo romano

La capillarità e l’efficienza delle vie di comunicazione costituirono la base dell’economia e della potenza di Roma. Fu specialmente nel periodo romano il territorio fu percorso da vere e proprie arterie, regolarmente manutenute e utilizzate con continuità: strade per eserciti, uomini e merci.
Per una parte le vie di comunicazione della Roma imperiale si snodavano sugli itinerari della viabilità preesistente, ma per altrettanta parte vennero tracciate su direttrici completamente nuove, grazie alla tecnica costruttiva degli ingegneri che consentiva di superare forti asperità del terreno.
Molti percorsi precedenti, infatti, vennero abbandonati o relegati a movimenti secondari di popolazioni e merci, in quanto più lunghi, difficili e soprattutto pericolosi.
Si deve proprio alla civiltà romana quella imponente realizzazione viaria che avrà notevole importanza storica, sociale e culturale per lo sviluppo del¬l’economia e dei traffici in tutta l’Europa successiva.
In origine le vie romane erano concepite come percorsi militari per accelerare l’accesso ai territori di conquista e per garantire vie di rifornimento agli eserciti, nonché per esplicare l’azione di governo sui territori.
In seguito al consolidamento delle conquiste le strade furono l’elemento cardine per il raccordo operativo del potere centrale con i distretti amministrativi periferici, una rete di rapporti insostituibile per il governo e le funzioni amministrative dei territori.
Lungo la rete stradale romana erano presenti stationes, mutationes e mansiones: luoghi destinati al riposo, al cambio dei cavalli e a tutte quelle pratiche che potevano aiutare i viaggiatori a sentire in misura minore il peso della fatica imposta dai loro itinerari. Fu da questi luoghi di assistenza che avrebbero preso forma le locande, gli ospizi e le taverne: una indispensabile risorsa per tutti coloro che con modalità e scopi diversi, si sarebbero avventurati nelle epoche successive in impegnativi viaggi.

La viabilità nel periodo altomedievale

Fino al Trecento la scarsa manutenzione di queste vie di comunicazione fece di tali percorsi delle vie di avventura, pericolose per le troppe insidie strutturali ed umane, per la presenza di bande, di predoni e di ladri senza scrupoli.
Dal medioevo fino al Settecento, per quanto sotto la giurisdizione delle case regnanti, i percorsi rimasero identici, con scarsa manutenzione e soggetti a forti pedaggi, per cui erano utilizzati soprattutto da cavalieri, eserciti, mercanti, signori, e pochissimo dalla gente comune.
La situazione non muto’ fino alla unificazione dell’Italia, quando con la costruzione di numerose strade di collegamento interno, in special modo tra le due sponde del mare Adriatico e del Tirreno. I Borboni, agli inizi dell’Ottocento, per trasportare a Napoli il grano della pianura adriatica, avevano preferito la via del mare a quella di terra.
Lungo gli itinerari stradali rimangono tuttora i resti di antiche taverne e ospizi medioevali, spesso costruiti su precedenti mansiones romane, rilevabili, in qualche caso, anche sulla tavola peutingeriana.

Le vie della transumanza

Le vie della transumanza organizzata con l’istituzione dei tratturi, tratturelli e bracci, naquero sicuramente prima dell’avvento della civiltà romana. Si dimostrarono efficienti al pari delle stesse strade romane, per cui si possono spiegare le numerose preesistenze sannitiche sugli itinerari tratturali più importanti.
Le vie tratturali, al pari delle grandi arterie consolari romane, erano percorsi stabili, agevoli, di importanza basilare per l’economia della transumanza, perché pensate per questa finalità.
L’andamento dei tratturi si snodava di norma parallelamente al mare e alla catena appenninica, spesso attraversando gli itinerari della viabilità romana e in molti casi sostituendola in maniera egregia, creando così percorsi integrativi ed alternativi sul territorio.
Le vie della lana erano strade ideali per le greggi transumanti. Attraversavano senza difficoltà i corsi d’acqua con guadi poco profondi; coprivano vaste estensioni di territorio e costituivano l’elemento catalizzatore dell’economia della transumanza, in tutta l’Italia, specialmente nella parte meridionale, in particolare nel Molise, nell’Abruzzo e nella Puglia. Questi percorsi, utilizzati per secoli da greggi e da persone in movimento, e ancora oggi ben visibili solo nella nostra regione, vedevano il passaggio di mercanti, di pellegrini e di viandanti che sceglievano tali itinerari per recarsi nelle varie destinazioni, fino a Roma e oltre.
Le vie della transumanza nell’Italia erano vere e proprie strade alternative, che integravano la viabilità maggiore, un vero e proprio crocevia di risorse, di culture e di popoli.

Le vie di comunicazione e i punti di sosta del viaggiatore

I grandi itinerari di comunicazione, fin dall’antichità, non sarebbero potuti esistere senza un sistema di punti di accoglienza e ristoro per i viaggiatori. Queste strutture furono sempre collocate in posti dove, per motivi di percorso o di clima, maggiore era il bisogno di una fermata per riposare o rifocillarsi.
I luoghi dell’ospitalità sorgevano sempre in presenza di zone orograficamente difficili, o sul guado di un fiume, in zone paludose, presso valichi montani, in corrispondenza di città e castelli importanti per il territorio. Nel medioevo ospizi e conventi religiosi opportunamente attrezzati svolgevano servizio di ospitalità per i viaggiatori.
I monasteri servivano da luoghi di sosta, da ospizi, da ricovero temporaneo per malati.
Il pellegrino aveva diritto all’ospitalità gratuita, ma era uso che i viandanti ricchi facessero lasciti ed elemosine. A partire dall’XI secolo anche i laici diedero vita a strutture per l’ospitalità: nacquero le taverne e le locande a buon mercato per i viaggiatori meno abbienti.

La taverna punto di sosta e ristoro del viaggiatore

Gli itinerari di viabilità preromana, in genere, non comprendevano un sistema organizzato di servizi per la sosta e il ristoro dei viaggiatori, sopratutto quelli meno frequentati. I servizi al viaggiatore si svolgevano in maniera occasionale, per opera di persone che conducevano ordinariamente altre attività. La nascita dei punti di sosta e di ristoro fu più facile sui grandi itinerari successivi, molto più frequentati e sicuri.
Durante la civiltà romana il sistema di servizio ai viaggiatori era codificato e regolato dal governo, per cui esistevano diversi livelli di servizi, relazionati all’importanza delle strade e degli interessi che esse avevano per il collegamento fra le varie aree dell’impero.
In generale lungo i percorsi si trovavano due tipi di servizi al viaggiatore. Le Mutationes, disposte ogni 8-10 miglia che servivano al cambio dei cavalli o dei muli, alla cura e manutenzione spicciola per animali e carri. Erano formate da un recinto murario, ambienti coperti con funzione di stalle, fienili e dimora per gli operatori e le famiglie e comprendevano sempre un artigiano maniscalco-forgiatore.
Le Mansiones erano disposte ad ogni giornata di cammino, servivano al cambio dei cavalli e muli, alla manutenzione di carri, cura e riposo per gli animali oltre che all’ospitalità per i viaggiatori, il vitto e l’alloggio per la notte.
Erano formate da un recinto in muratura con uno o più portoni di ingresso sulla facciata principale, un ingresso per carri e animali posto su uno dei lati o sulla parte estrema della facciata principale.
Comprendeva ambienti coperti con funzione di locanda, magazzino, stalle, fienile e dimora per gli operatori e le famiglie degli artigiani. Intorno a queste strutture di servizio, sorsero nuclei di abitazioni dove alloggiavano inservienti e artigiani, ma anche luoghi di accoglienza per viandanti meno abbienti. Questi nuclei col tempo divennero dei veri e propri centri abitati.
Nel Medioevo la maggior parte dei punti di sosta e ristoro per i viaggiatori, taverne, ospizi e osterie coincisero con le Mutaziones e le Mansiones del periodo romano, o sorsero nelle immediate vicinanze.
La tipologia costruttiva e l’organizzazione del servizio nelle taverne rurali e quelle tratturali discesero direttamente dalle Mansiones romane, e il tipo di servizi forniti al viaggiatore prevedeva una conduzione sicuramente meno sistematica e organizzata.
Un discorso a parte va fatto per la taverna urbana che spesso deriva direttamente da una Mansiones romana. Conduceva servizi di accoglienza con vitto e alloggio, ma era anche posto di ritrovo per avventori e viandanti di ogni risma, generalmente condotta da privati, con vicende economiche non sempre floride per cui si registrarono frequenti avvicendamenti nelle conduzioni.

La taverna rurale, tratturale e privata

La tipologia costruttiva e funzionale della taverna rurale e di quella tratturale erano quasi identiche, spesso differivano soprattutto per le dimensioni degli spazi adiacenti e per i siti dove sorgevano: le prime in corrispondenza di passi o crocevia importanti, mentre le seconde al passaggio di fiumi o alla confluenza di tratturelli di collegamento di due tratturi.
I tratturi attraversavano i territori di diversi proprietari (signori e famiglie nobili) che praticavano direttamente la transumanza, perchè proprietari di greggi. Le taverne erano considerate dai signori un tipo di attività economica che nel contempo serviva a controllare discretamente i traffici che avvenivano lungo i tratturi.
Venivano costruite direttamente dai signori e servivano anche ad ospitare spesso i cavalli e le carrozze degli ospiti e degli amici mercanti di passaggio.
La tipologia della taverna tratturale, nella forma e nelle funzioni fornite, derivò direttamente dalle Mansiones romane: erano ricorrenti il recinto in muratura, con uno o più portoni di ingresso sulla facciata principale e un ingresso per carri e animali, posto su uno dei lati secondari.
Comprendeva ambienti coperti con funzione di locanda, magazzino, stalle, fienili e dimora per gli operatori e le famiglie. In corrispondenza della facciata di ingresso i piani erano due: quello superiore veniva utilizzato per l’alloggio dei viaggiatori.
Nel territorio del feudo di Pescolanciano fu costruito un sistema diffuso di taverne che assolvevano alle funzioni di ristoro e alloggio di quanti si spostavano sul territorio. Il feudatario ne forniva la continua manutenzione, erano date in fitto a privati cittadini i quali versavano al Duca un regolare canone annuo. È ragionevole supporre che nella prima fase esse fossero gestite direttamente da personale alle dipendenze della famiglia Carafa.
Le taverne di cui si hanno riferimenti documentali, nel ducato di Pescolanciano, sono le seguenti: le taverne di Civitanova, Civitavecchia, Pietrabbondante, Carovilli, Castiglione, Bagnoli Sprondasino.
La famiglia Carafa, signori del feudo di Pescolanciano fin dal 1450, aveva costruito la taverna tratturale appena fuori dalle mura del paese, al centro del tratturo che risulta, per tipologia e concezione, una vera particolarità nell’ambito dei luoghi di sosta e ristoro dei viaggiatori.

La taverna ducale di Pescolanciano

Sorge al centro del tratturo Lucera-Castel di Sangro, in prossimità della cinta di case-mura del borgo medioevale di Pescolanciano, costruita intorno al 1450 dai titolari del feudo, la famiglia Carafa, in occasione dell’istituzione della “dogana della mena delle pecore in Puglia” da parte di Alfonso I D’Aragona.
Per concezione, tipologia costruttiva, disposizione funzionale degli spazi interni e posizione, risulta del tutto originale, essendo uno dei pochissimi esempi di edificio costruito proprio con la funzione specifica di Taverna (centro di servizio ai viaggiatiori, merci e supporto alle greggi transumanti).
Posizionata sul tratturo, ha una forma quasi quadrata e si sviluppa intorno ad una corte a cielo aperto con ingresso carrabile a Nord, caratterizzato da un imponente portale in pietra locale lavorata.
L’impianto architettonico della taverna è quello della mansiones romana. Non è dato sapere se in questo luogo è esistita una tale struttura, ma dai resti diffusi nel territorio può essere molto probabile.
Costituita da tre lati ad un solo livello, coperti con tetto ad unico spiovente con capriate in legno e manto di coppi sopramessi (di questa parte si conservano ancora i pilastri di appoggio delle capriate), il quarto lato, in origine presumibilmente a due piani, ha il piano superiore destinato alle funzione alloggiative dei viaggiatori.
Non risulta, da atti di archivio, che questa taverna venisse condotta in fitto da privati, per cui si può desumere che la gestione fosse affidata a personale salariato alle dipendenze del Duca.

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La funzionalità della taverna è stata conservata dal XV secolo alla fine dell’Ottocento. Dalla fine del XIX secolo (in questo periodo fu acquistata da privati e ristrutturata specialmente sul lato degli alloggi e dell’osteria, secondo la configurazione attuale, con la creazione di un portale centrale e quattro portali minori affiancati sui lati) fino alla seconda guerra mondiale viene utilizzata come albergo-ristorante per i viaggiatori e ricovero di cavalli.
Nel 1952 la taverna fu acquistata dal Comune di Pescolanciano, con atto firmato dal sindaco Goffredo Lastoria, per destinarla a sede della casa municipale. Venuta meno la funzione di taverna, una parte fu ristrutturata e utilizzata come Municipio, una seconda parte come sala per proiezioni, la restante parte come scuola materna (asilo) gestita da un gruppo di suore fino agli anni settanta.
Dal 1980 è rimasta praticamente disabitata essendosi trasferito il comune nei locali dell’ex edificio scolastico. Nel 1992 con un intervento di ristrutturazione è stato sostituito il tetto esistente e distrutte le ultime tre capriate della tettoia-ricovero per cavalli. Nel 1999 è stato prodotto un altro scempio: difatti si è svolto un intervento per il quale il fabbricato in parte fu adibito ad alloggio per l’edilizia residenziale, intervento che ha snaturato gran parte della struttura dell’edificio, cambiandone i connotati tipologici nativi. Nel 2000, una parte dei ricoveri per cavalli è stata ristrutturata con funzioni di auditorium.
Risulta ancora possibile salvare il salvabile, con un corretto intervento che leghi la funzione dell’edificio al tratturo e alla valorizzazione futura della civiltà della transumanza. Ma il modo con cui si conducono gli affidamenti degli incarichi non fanno ben sperare nel futuro.