CIVITELLA DEL TRONTO

fortezzaCivitella del Tronto-L’Assedio del 1860-1861

Il governo borbonico aveva contato molto sulle possibilità di difesa di Civitella del Tronto e per la natura quasi imprendibile della sua fortezza e per l’apporto dei suoi abitanti Sì, Civitella resisterà anche questa volta, ma non per volontà di popolo ormai stanco e deluso dai Borboni, bensì per irrazionale fanatismo di pochi che – esautorato il comandante – si sono asserragliati nel forte, respingendo ogni ragionevole invito di resa, fino a quando il 20 marzo 1861 si giunge all’epilogo per l’inesorabile incalzare degli eventi. Alla notizia che Garibaldi da Marsala avanza decisamente verso la capitale del regno, vengono concentrati a Teramo, dai vari centri della provincia, 300 gendarmi. Avendo ciò fortemente indignato i patrioti teramani, ne viene ordinato il trasferimento al forte di Civitella, dove l’accoglienza è tutt’altro che favorevole. Aveva ben ragione anche Civitella di indignarsene. Sarà, infatti, soprattutto opera loro la resistenza ad oltranza del forte. Con i 300 gendarmi era andato a Civitella il capitano Giuseppe Giovine, uomo astuto e discretamente colto, il quale accentra subito nelle sue mani ogni potere, lasciando solo apparentemente il comando al maggiore Luigi Ascione. A capo della polizia viene posto un sottoufficiale della gendarmeria, Angelo Messinelli, che poi sarà il capo della resistenza ad oltranza. Civitella è sottoposta ad un regime di terrore. Ma ciò non ostante il 23 settembre 1860, il Decurionato, riunitosi sotto la presidenza di Francesco Attorre, secondo eletto, facente funzione da Sindaco, adotta questa coraggiosa deliberazione: “L’anno 1860, il 23 settembre, non ostante lo stato d’assedio, onde i sostenitori della borbonica tirannide, dal giorno 9 corrente mese non cessava di opprimere gli abitanti di questo capoluogo e dell’intero comune, il secondo eletto, in assenza del Sindaco, interprete dell’opinione generale intorno alla bene augurata ricostituzione dell’italiana famiglia, ha convocati nella solita sala di deliberazione i decurioni e tutti gli impiegati comunali, e li ha invitati a riconoscere legittimamente e sottomettersi al glorioso governo di Vittorio Emanuele con la dittatura del Gran generale Garibaldi”. I padroni del forte non solo angariano Civitella, ma anche i paesi vicini. Campli il 23 ottobre subisce un saccheggio ferocissimo. A capo dei gendarmi e dei briganti ci sono il capitano Giovine, il sergente Messinelli, padre Zilli, detto Campotosto dal suo paese d’origine, e Zopito di Bonaventura, capo brigante, detto Zopinone. Nell’intento di stroncare la resistenza il governo di Torino dispone che Civitella venga cinta d’assedio, con la ragionevole speranza che entro breve tempo avrebbe scelto la via della resa. Purtroppo non è così. All’assedio dimostrativo deve far seguito una normale azione di guerra. Molti battaglioni di fanteria e molte compagnie di bersaglieri e di artigliera impiegati senza esito dal generale Pinelli. Il generale Mezzacapo, successo al Pinelli, il 18 gennaio informa il comando del forte che Gaeta si è arresa il giorno 13 e che Francesco II ha lasciato il regno: quindi ogni ulteriore resistenza sarebbe stata inutile e vana. Rimasto inascoltato anche questo appello, Mezzacapo decide di sferrare un serrato attacco contro gli assediati, ostinatamente irriducibili. Schierate le artiglierie sulle colline circostanti, il fuoco è aperto la mattina del 24 febbraio e dura vigoroso per tutta la giornata. All’alba del giorno successivo i bersaglieri tentano di scalare le mura, ma non vi riescono perché gli assediati, favoriti dalla singolare posizione di difesa, li respingono con baldanzoso accanimento. Citiamo il Pittaluga: “il generale Mezzacapo pensa di far aprire una trincea fin sotto la piazza, onde collocare in vicinanza di Porta Napoli una batteria per breccia”. Da Ancona veniva perciò avviata sotto Civitella una altra compagnia del 2° reggimento zappatori: la 12 a che giungeva il 3 marzo al convento di S. Maria dei Lumi, quando la trincea misurava già una lunghezza di circa 100 metri. Le due compagnie zappatori, rinforzate da alcuni fanti, con un’opera assidua di 6 ore di giorno e 4 di notte, condussero tanto, alacremente i lavori di trincea che quando il 16 marzo, dopo un bombardamento di due giorni, furono iniziate le trattative coi difensori della piazza, la testa della trincea non distava più di 250 metri dalle mura. Le trattative vennero iniziate per l’intervento di una commissione di ufficiali che la sera del 14 marzo (giorno di festa nel campo, ricorrendo il genetliaco di S. M. Vittorio Emanuele II) si fece annunziare in Ponzano al generale Mezzacapo. Detta commissione composta dal generale borbonico Della Rocca, di due ufficiali dei cacciatori, dei quali un figlio del generale, e di un capitano dello Stato Maggiore francese, veniva da Roma inviata da Francesco II coll’incarico di consigliare la resa alla guarnigione di Civitella. Non ostante l’arrivo della commissione le artigliere assedianti continuarono a tuonare gagliardamente fino a tarda notte del giorno 14. Nel successivo 15 il fuoco veniva ripreso all’alba e continuato, con brevi interruzioni, fino alle tre pomeridiane dei giorno 16. Fu in quest’opera che fu spiegata bandiera bianca da ambo le parti e che venne dato ai parlamentari di abboccarsi. Si convenne che il generale Della Rocca sarebbe stato ammesso in Civitella per comunicare le istruzioni di Francesco II alla condizione però che fosse salito sulle mura col mezzo di una scala a pioli. Aderì il generale e, dopo essersi trattenuto in Civitella più di quattro ore, tornò al quartiere generale, assicurando che aveva persuaso la guarnigione alla resa nel dì successivo. Il mattino del 17 marzo, quando la resa era già calcolata come un fatto certo, e quando non si aspettava altro che le porte della città venissero aperte, si vide calare con una corda dalle mura un monello (1) che, giunto a terra, presentò ad un ufficiale un biglietto, senza firma e senza indirizzo, sul quale era scritto: ” Non vi avanzate perché sarete respinti a cannonate” (2). Nel forte intanto qualche cosa è cambiata. Il maggiore Ascione, vista ormai l’inutilità della resistenza, si è messo da parte tra l’indignazione degli intransigenti capeggiati dal Messinelli, e attende l’esito degli eventi. Il capitano Giovine, fin dal 18 febbraio, fatti i suoi calcoli, clandestinamente, è riuscito a fuggire dal forte all’insaputa del Messinelli, e a presentarsi al comando degli assedianti di stanza a Ponzano. Messinelli, rimasto incontrastatamente solo ad imporre la sua volontà, smentisce la notizia della resa di Gaeta e mostra un falso brevetto di Francesco II che lo promuove al grado di 2′ tenente, onde consolidare la sua autorità. Perseguita chiunque mostri in qualche modo di favori- re la resa. Ma giunge il fatale 20 marzo 1861. Al mattino, com’era solito, scende in città. Però grande è la sua indignazione quando nel rientrare trova l’ingresso del forte sbarrato. La sentinella e il corpo di guardia stanchi e ansiosi di arrendersi, compiono il gesto audace. E’ il segnale della ribellione. Le sparute opposizioni alla resa sono facilmente infrante da quella stessa insubordinazione che da qualche tempo è norma di vita nel forte. Negli spalti più elevati del castello è issato il bianco segnale della resa. Un grido che fa eco nelle valli invita gli avamposti dei Nazionali ad avanzare. Sulle punte delle baionette si agita- no senza posa e in misura sempre crescente pezze di panno bianco: asciugamani, camicie, fazzoletti. Tutto in quel momento è buono per manifestare un sentimento lungamente represso. Diffusasi nel campo assediante l’inattesa notizia, una compagnia di bersaglieri si lancia in avanti, scalando le mura, e, al grido di Viva Vittorio Emanule, Re d’Italia, occupa la rocca. Seguono subito gli artiglieri. In breve il numero degli assedianti supera quello degli assediati. In tutto il forte vi è un’animazione insolita, fatta di trepidazione e di gioia, di terrore e di vittoria. Messinelli, arrestato dai bersaglieri, è posto sotto sorveglianza in attesa di giudizio. Intanto parte degli assedianti si incarica di disarmare il presidio e parte di scendere in città per arrestare i resistenti che sono fuori del forte. Il generale Luigi Mezzacapo, dopo essere entrato anche lui a Civitella e salito con solennità sulla fortezza, comunica a Cavour, Presidente del Consiglio: ” Dopo quattro giorni di fuoco vivissimo la Piazza di Civitella del Tronto si è arresa”. E Cavour alle rappresentanze diplomatiche di Parigi e di Londra, perché ne informino i rispettivi governi: “Aprés quatre jours d’un feu trés vif, la place de Civitella del Tronto s’est rendue au général Mezzacapo”. Nello stesso giorno del 20 marzo è catturato Zopito di Bonaventura e messo in carcere con Messinelli. Il giorno successivo un Consiglio di guerra li condanna entrambi per direttissimo alla fucilazione. Zopito cerca di tenere un contegno, mentre Messineili si abbandona al pianto e chiede invano al colonnello Pallavicini di essere perdonato. Il 24 anche Padre Zilli è arrestato e fucilato il 3 aprile nello stesso luogo in cui erano stati giustiziati gli altri due animatori della ormai inutile resistenza, perché – scrive il Rosati – di essi partigiano. Scende così il sipario della storia militare sull’ultima forteza del regno borbonico, dopo la capitolazione di Gaeta, il 13 febbraio e la caduta di Messina, il 12 marzo