La caduta dei Borbone nella testimonianza di un Garibaldino…

LA CADUTA DEI BORBONI NELLA TESTIMONIANZA DI UN GARIBALDINO DALL’UCRAINA
Marcello Garzaniti

Prima di presentare la testimonianza di un personaggio finora misconosciuto che ha legato per sempre l’impero russo all’impresa garibaldina e alla caduta dei Borboni, vorrei offrire un breve quadro, come è stato fatto per le altre grandi potenze dell’Europa, sulle relazioni della Russia con la penisola italiana. San Pietroburgo guardava con enorme attenzione a quello che accadeva in Italia, per le stesse ragioni per cui vi guardava l’Inghilterra, in primo luogo per la posizione geopolitica e strategica del nostro paese nel mezzo del Mediterraneo. Naturalmente cambiava il punto di vista: la grande potenza continentale, che si estendeva dal Mar Nero all’Oceano pacifico, era impegnata nel “grande gioco” non solo nel continente asiatico, ma anche nei fragili equilibri del Mediterraneo orientale, in cui si trovava coinvolta anche la penisola italiana. Si deve ricordare che nel 1854-1855 il Regno di Sardegna era intervenuto nella guerra di Crimea, e in una maniera molto incisiva. Dobbiamo immaginarci che se paragoniamo l’impegno del Regno di Sardegna in Crimea con quello odierno dell’Italia in Afghanistan, è come se in Afghanistan oggi avessimo mandato in missione circa duecentomila soldati italiani. Questo testimonia l’enorme sforzo del Regno Sabaudo per entrare effettivamente nello scacchiere geopolitico internazionale, quando con Cavour dichiara guerra all’impero russo: l’intervento in Crimea a sostegno dell’impero ottomano contro la Russia implicava un intervento diretto nella delicata questione orientale che toccava il mondo mediterraneo orientale e la penisola balcanica.
In quegli anni la Russia continuava con indefettibile costanza una strategia politica – già cominciata con Pietro il Grande – di penetrazione nei Balcani, cui era legata per antichi sodalizi religiosi e culturali, e che ai tempi di Caterina II di Russia si era trasformata in un progetto politico, cui le potenze occidentali non potevano consentire. L’imperatrice tedesca, sul trono russo, aveva sognato di rovesciare il potere ottomano e di far salire suo nipote Costantino sul trono di Costantinopoli, rinnovando i fasti dell’impero. L’opposizione ferma degli Asburgo e le rivolte contadine le impedirono di porre in atto le sue mire. La Russia riuscì comunque a imporsi come alfiere delle comunità ortodosse nei Balcani, e nel 1782 si annesse la Crimea.
Le grandi potenze, la Francia e l’Inghilterra, a cui si era aggiunto il Regno Sabaudo, con il Trattato di Parigi (1856) di fatto misero un argine alle mire espansionistiche russe e misero in crisi l’impero russo, costringendolo ad adeguare la sua politica allo stallo a cui erano stati ridotti anche gli Asburgo, in competizione con l’impero russo nell’area balcanica. La crisi dei rapporti fra la Russia e l’Occidente si stava radicalizzando anche a livello culturale e si manifestava in un atteggiamento di critica radicale nei confronti del mondo occidentale, che cominciava ad assumere atteggiamenti di ostilità come si può vedere nel movimento slavofilo e più tardi nel panslavismo russo.
Quanto accadeva nella penisola italiana con il movimento risorgimentale, tuttavia, poteva contribuire a mutare gli equilibri geopolitici dell’area mediterranea e alla fine favorire l’uscita dallo stallo, determinato dalla guerra di Crimea. Lo dimostra il nuovo interesse per l’Italia quando lo zar Alessandro II salì al trono nel marzo 1859. Uno dei primi atti del nuovo zar fu di proporre una conferenza sulla “questione italiana”, in cui la Russia si propose come mediatrice tornando a giocare nello scacchiere del Mediterraneo non più da un punto di vista conservativo, ma direi da un punto di vista liberale. Lo stesso Alessandro II si propose come uno “zar liberale”, come cercherà di dimostrare con le sue riforme, a cominciare dall’abolizione della servitù della gleba.
Questo tentativo di fare una conferenza inter- nazionale sull’Italia proponeva un’agenda che fu poi riscritta dai britannici in un senso più restrittivo, meno liberale rispetto alle proposte di confederazione che proponeva l’impero russo. Si trattava sicuramente di un grimaldello usato per destabilizzare il Mediterraneo, ma che mostrava il grande interesse dell’impero russo verso la penisola italiana e non solo verso i Balcani, in cui si guardava alla Serbia, come a una sorte di Piemonte slavo(Nevler 1976). Sappiamo che la condizione posta dall’Austria era però la smobilitazione e il disarmo del Piemonte, cosa che non avvenne. Al contrario si giunse in pochi mesi allo scoppio della Seconda guerra di indipendenza (26 aprile 1859).

Quando si preparò la spedizione dei Mille l’interesse della Russia non era diminuito, anzi aumentava proprio perché la vicenda riguardava non più solo il Piemonte e il Lombardo-veneto, ma il meridione al centro del Mediterraneo e in specie lo Stato borbonico.
È noto che all’impresa garibaldina presero parte diversi cittadini dell’impero russo, soprattutto polacchi, legati al movimento risorgimentale italiano, ma a lungo è rimasta nell’ombra la figura di un garibaldino, proveniente da San Pietroburgo, cui si deve una straordinaria cronaca della spedizione dei Mille, riscoperta e tradotta recentemente da R. Risaliti(Il testo “Memorie di un garibaldino” è stato tradotto per la prima volta in italiano a cura di R. Risaliti, che ha insegnato per lunghi anni a Firenze Storia dell’Europa Orientale ed al quale sono riconoscente per avermi fatto conoscere questo straordinario personaggio su cui varrebbe la pena di scrivere una biografia (Mecnikov 2011a).
Levll’ic Mecnikov (1838-1888) proveniva da una famiglia di antica origine ebraico-moldava giunta in Russia nel corso dell’ottocento, che apparteneva all’elité intellettuale russa. Il fratello minore, rimasto in Russia, fu insignito del premio nobel per la medicina (1908)(Così Mecnikov si definiva nel suo diario sulla spedizione dei Mille: “Sono slavo e disegnatore” (Mecnikov 2011a).
A ventidue anni Levll’ic è in Italia e insieme al generale Alessandro Milbitz, di origine polacche, progetta una “legione slava” che partecipi alla spedizione dei Mille. Anche se questa idea non si realizzò sappiamo che, come affermò l’ambasciatore russo che aveva seguito il sovrano borbonico, rifugiatosi a Gaeta, “ci sono almeno cinquanta cittadini dell’impero russo fra i garibaldini”. Tra questi c’era anche Mecnikov che, arrivato in Sicilia più tardi del primo contigente, insieme al gruppo dei fiorentini, partecipò alla conquista di Palermo per proseguire fino alla battaglia del Volturno, dove svolgendo un ruolo importante grazie alle sue conoscenze sul piano militare, rimase ferito.
Alla fine dell’impresa garibaldina già nel 1861 Mecnikov scrisse un lungo resoconto che pubblicò in Russia, nel «Russkij Vestnik», un giornale diretto da un ex-liberale, M.N. Katkov, che andava assumendo posizioni sempre più vicine allo zarismo. Questo giovane con idee rivoluzionarie trovò dunque posto per il suo resoconto in un giornale che in qualche modo era appoggiato dallo zar.
Si tratta di un racconto straordinario, mai ripubblicato in Russia e rimasto sconosciuto in Italia. Mi limito solo a introdurre, commentandoli, solo un paio di passi perché estremamente interessanti per capire la situazione del Meridione in quegli anni. Fra le prime testimonianze vorrei riportare il dialogo del garibaldino con il prete palermitano da cui si trovava a pigione, che ci aiuta a capire il ruolo del basso clero nella diffusione degli ideali risorgimentali in Sicilia e nell’Italia meridionale in genere.
Così scrive Mecnikov:“Io vorrei conoscere l’opinione del clero, ma non quella dell’alto clero che io conosco benissimo, quella dei vescovi, ma voglio conoscere quella del basso clero…Io gli chiesi quale fosse l’opinione del clero sugli ultimi avvenimenti. Risponde: L’alto clero pensa, s’intende, come voi sapete; per quello che riguarda noi, preti di parrocchia (disse con orgoglio) vi assicuro che noi tutti siamo stati la testa del movimento… Il popolo da molto tempo – dice padre Cuccurullo – è stato preparato a questo da noi e crede a noi, cioè, credeva; ma quello che ora si fa, noi ce ne laviamo le mani. Noi per primi volevamo l’adesione della Sicilia alla nostra patria comune, ma non pensavamo di perdere la nostra autonomia amministrativa; non è colpa nostra se si arriva a questo. Le ultime sue parole mi meravigliarono e io non le capivo affatto. Riprende Padre Cuccurullo: Anche con il precedente governo quando tutte le disposizioni venivano da Napoli, e laggiù si mandavano le cose più importanti per la conferma, i cittadini erano insoddisfatti: a loro anche questo pareva troppo lontano, e così era, a Napoli si conosceva poco Palermo, e poco se ne occupavano, di questo ne godevano, anche noi lo sapevamo, non il re ma i ladri del re che nascondendosi dietro le leggi facevano quel che volevano e non esisteva luogo dove cercare una difesa. Ma a Torino ci conoscono ancora meno che a Napoli. Le leggi, supponiamo, saranno migliori, e saranno osservate ancor più rigorosamente, ma le nostre esigenze non possono soddisfarle” (Mecnikov 2011a).
In queste parole di padre Cuccurullo, pronunciate centocinquanta anni fa a Palermo, si manifesta in tutta la sua attualità la questione delle autonomie locali e si viene a sfatare l’idea di un clero estraneo agli avvenimenti.
Nel suo racconto emergono altre figure di religiosi, come per esempio padre Gavazzi, un prete calabro che andava in giro con la sciabola e faceva parte dell’esercito garibaldino(Non manca un cenno interessante anche a padre Pantaleo, padre spirituale di Garibaldi). Dopo esser stato scomunicato fece una predica sulla pubblica piazza in cui disse “mi sono mangiato la scomunica papale insieme a un bel piatto di spaghetti”. Lo racconta Mecnikov, quando si trovava ormai a Napoli, liberata dai Borboni. Il suo racconto prosegue con la notizia del suo arresto da parte delle autorità per vilipendio dell’autorità papale, a dimostrazione che nella capitale borbonica, anche se già sotto le autorità piemontesi, rimaneva al potere quella vecchia burocrazia che insieme al ministro Liborio Romano era passata al nuovo regime.
Sul ruolo di Liborio Romano si può leggere nel diario russo una riflessione assai interessante a proposito della trionfale accoglienza di Garibaldi a Napoli (7 settembre 1860), che rappresentò una grande sorpresa per gli osservatori. Secondo Mecnikov la camorra avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel sedare la popolazione perché non si ribellasse all’ingresso di Garibaldi. Queste pagine contengono una descrizione del capo della camorra – la famigerata Sangiovannara (Marianna De Crescenzio) – e del pericoloso tentativo del protagonista di conoscerla anche a rischio della vita. Nella sua riflessione finale così scrive l’autore:“la Sangiovannara non ha contribuito meno dello stesso Liborio Romano all’ingresso di Garibaldi a Napoli” (Mecnikov 2011a).
Sempre a Napoli, dopo essere stato curato dopo la battaglia al Volturno, l’autore del diario incontrò A. Dumas, che di fatto gli fece scoprire la sua vocazione di giornalista e di saggista. Dumas che si trovava a Napoli e vi aveva fondato un giornale, l’«Indipendente», un giorno gli chiese di scrivere qualche articolo e così cominciò la sua nuova carriera. Da quel momento si dedicò con passione a raccontare l’Italia, cominciando nel 1861 col «Russkij Vestnik» e poi continuando fino a tutti gli anni settanta e ottanta quando ormai era impegnato a fondo con gruppi attivi a Firenze e in Toscana, in contatto con Garibaldi a Caprera, e con Mazzini. In quegli anni Mecnikov deve ormai scrivere sotto lo pseudonimo di Leone Brandi, traduzione del russo Lev Mecnikov, narrando fra l’altro al lettore russo l’avventurosa vicenda dell’Aspromonte. Sul «Sovremennik» (Il contemporaneo), mese dopo mese, descrisse chiaramente quanto era successo sull’Aspromonte (1863)(Cf. Mecnikov 2011b, pp.55­82. Sull’immagine di Garibaldi in Russia si veda ancora Venturi 1960).

Nel suo diario sulla spedizione dei Mille non manca di riportare le critiche che venivano rivolte a Dumas: i napoletani si indignavano con Garibaldi per la sua amicizia con lo straniero (così viene chiamato Dumas),“venuto a insegnargli a disporre a casa loro”. Erano insorti infatti perché lo scrittore francese era stato nominato direttore dei lavori e dei musei a Pompei ed Ercolano. La pagina più gustosa è certamente quella in cui Mecnikov cerca di spiegare al lettore russo cosa sia la jettatura, ritenendolo indispensabile per comprendere la cultura a Napoli. A suo parere:“la jettatura a Napoli non è solo la superstizione della classe incolta del popolo, è quasi un punto religioso; conoscevo molta gente che si era liberata della superstizione, dai pregiudizi di ogni genere ma che tuttavia nella catena dell’orologio conservava un corno di corallo”. E così spiega ai russi il fenomeno: “La jettatura a Napoli rappresenta l’inizio del Male come San Gennaro è il rappresentante dell’inizio del bene, ed essi sono in continua tenzone fra loro”.
Molto interessanti sono anche alcune osservazioni sulle vicende belliche. Uno dei motivi della reazione positiva della popolazione meridionale nei confronti dei garibaldini, e del tutto negativa nei confronti dei Borboni, è stata probabilmente la presenza preponderante di truppe mercenarie di lingua tedesca all’interno dell’esercito borbonico, un elemento messo ben evidenza dall’autore, e non so quanto rilevato dalla storiografia. Ci sono quindi tutta una serie di altre riflessioni che riguardano l’organizzazione dell’esercito garibaldino e il suo finanziamento che sono estremamente interessanti per chi si occupa della materia e non può ricorrere alle fonti in lingua russa.
Fra le descrizioni dei protagonisti troviamo un ritratto tutt’altro che lusinghiero del generale Bixio, mentre estremamente positiva è l’immagine del generale Milbitz. Oltre che alla comune origine slava che lo legava al generale polacco, l’antipatia per Bixio derivava probabilmente dal suo atteggiamento molto arrogante.
Assolutamente avvincente è la biografia di Mecnikov negli anni seguenti, che lo vedono ancora legato all’Italia. Dal 1861 vive a Firenze, poi a Siena, tiene i contatti con i rivoluzionari russi e organizza l’incontro fra Herzen e Garibaldi (1863).
Nel 1864, durante la guerra di indipendenza polacca, progetta, insieme ad alcuni fuoriusciti polacchi, con l’aiuto di Garibaldi e Mazzini, una straordinaria spedizione garibaldina, che sarebbe dovuta arrivare a Odessa sul Mar Nero e da lì attraversando tutta l’Ucraina doveva raggiungere la Polonia e sostenere gli insorti contro l’esercito zarista. Il progetto, che ovviamente non andò al di là delle buone intenzioni dei loro promotori, testimonia comunque l’esistenza di una “internazionale” dei rivoluzionari e dei garibaldini. Non a caso Mecnikov continuava intanto a firmarsi “Garibaldino”. Nella sua attività pubblicistica, la più importante sugli anni sessanta in Russia, ci ha lasciato memorie e articoli dedicati a esponenti del Risorgimento come Mazzini, Garibaldi, Guerrazzi, ma anche alla questione del brigantaggio, che rappresentano una fonte di grande interesse sia per ricostruire la caduta del regno borbonico, sia per comprendere gli anni che seguono alla unificazione dell’Italia(Per la sua attività di pubblicista si veda in particolare Mecnikov 2011b).
Costretto a fuggire dall’Italia (1864), Mecnikov trovò rifugio in Svizzera dove iniziò a sviluppare nuovi interessi in ambito geografico ed etnografico che lo condussero a un lungo soggiorno in Giappone (1874-1876).Al suo ritorno divenne professore all’Accademia di Neuchâtel. Dopo la sua morte, ad appena 51 anni, usciva postuma la sua opera fondamentale nell’ambito della storia della geografia, un saggio storico-filosofico intitolato “La civilisation et les grandes fleuves historiques (Paris 1889)”.

Questo personaggio ha dato molto all’Italia; oltre ad avere combattuto per l’indipendenza, ci ha lasciato articoli e saggi che illustrano la storia del nostro paese e possono dare un contributo originale alla storia del Risorgimento italiano e quindi anche alla storia della caduta del regno borbonico. Credo che sia giusto farlo uscire dall’ombra e dare alla sua opera e al suo inedito sguardo sull’Italia lo spazio che merita.

Bibliografia
Mecnikov 2011a: L.I. Mecnikov, Memorie di un garibaldino. La spedizione dei Mille, a cura di R. Risaliti, Moncalieri, 2011. Mec?nikov 2011b: L.I. Mecnikov, Sull’Italia risorgimentale, a cura di R. Risaliti, Moncalieri, 2011.
Misiano 1962: C. F. Misiano, La spedizione dei mille nel giudizio dei contemporanei in Russia, in La Sicilia e l’unità d’Italia. Atti del congresso Internazionale di studi storici sul Risorgimento italiano. Palermo 15-20 aprile 1961, a cura di M. Ganci, R. Guccione Scaglione, Milano, 1962, II, pp. 502-511.
Nevler 1976: V. Nevler, La Russia e il Risorgimento, Catania, 1976.
Risaliti 2011: R. Risaliti, Lev Mecnikov e il suo saggio su Francesco Domenico Guerrazzi, in Odeporica e dintorni. Cento studi per Emanuele Kanceff, a cura di P. Menzio, C. Kanceff, Moncalieri, 2011, voll. 2, pp. 865-872.
Venturi 1960: F.Venturi, L’immagine di Garibaldi in Russia all’epoca della liberazione dei servi, in «Rassegna storica toscana» VI, 4 (1960), pp. 307-323.