FILIPPO E VITTORIA.

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 25° episodio FILIPPO E VITTORIA.
di Valentino Romano (*)

Casalbordino, luglio 1869
Già lo immagino, la storia di oggi susciterà reazioni contrapposte: “strappalacrime” secondo alcuni, “struggente quant’altra mai” secondo altri. Ma non vuole essere né l’una né l’altra: è semplicemente una storia reale e, come tale, merita di essere raccontata, anche a costo di vedermi appioppata l’accusa di narrazione “tardo romantica”. Insomma, siete tutti avvertiti, è una storia d’amore, anzi la storia di un amore al tempo dei briganti.
Filippo è un brigante di Paglieta che scorre la campagna. Al suo fianco Vittoria, sua cugina che, per seguirlo, ha abbandonato il legittimo marito. Da qualche tempo vivono alla macchia, rifugiandosi in nascondigli di fortuna, si procurano di che sopravvivere con furtarelli e qualche piccolo ricatto. Intendiamoci, la loro non è una storia “eroica”, è una delle tante storie di poveracci inseguiti dal destino prima ancora che dai carabinieri. E io la racconto proprio per questo, perché spesso si dimentica (o si ignora del tutto) che il “grande brigantaggio” è anche l’insieme di mille storie di poveracci inseguiti da un destino “cinico e baro”.
I soldati del 64° Reggimento Fanteria di stanza nel chietino ricevono alla fine di luglio del 1869 una soffiata: i due stanno preparando un “forte ricatto” e per metterlo in atto sono rifugiati nei cespugli ai margini di un bosco nei pressi di Casalbordino. La spia conosce perfettamente il posto e quindi vi accompagna agevolmente soldati e carabinieri: il rifugio è “una capanna di spine del diametro di circa 15 metri e tre di altezza”, costruita sfruttando un folto cespuglio situato nel bel mezzo di un seminativo. Il ricovero è stato costruito nel terreno e “sovrastato da folti rovi”. Il delatore è un certo Egidio, un compare dei familiari di Vittoria. Proprio a lui vengono affidati i viveri da portare ai fuggiaschi, ma il nome deve rimanere coperto perché, rimanendo nell’ombra potrà sempre prendere altri importanti servizi. E qui mi pare necessario aprire una breve parentesi: spesso nella lotta al brigantaggio più che il valore e la professionalità delle forze dell’ordine risultarono efficaci la delazione, il tradimento, lo spionaggio, le taglie. Qualche esempio illustre? Il generale catalano José Borges fu tradito quasi certamente da Leon Rotrou, viceconsole francese e agente doppiogiochista; Michelina Di Cesare sarebbe stata tradita dal fratello e Michele Caruso da Filomena Ciccaglione. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Torniamo alla nostra storia.
Il posto – scrive il tronfio ufficiale comandante il drappello dei cacciatori “con destro agguato” è presto e “felicemente circondato”. Filippo e Vittoria sono all’interno, accovacciati sotto il fogliame. Si intima loro la resa. Inutilmente! I Reali Carabinieri provano a “trafiggere le spine con tutte le loro baionette”. E si osserva “un dimenarsi di qualcosa dal di dentro”, ma non viene fuori nessuno. Si intima ancora la resa. Dall’interno si grida ai soldati di andarsene. Tutti sono “in atteggiamento ed impazienti di vedere chi fosse là accovacciato, quando una voce dall’interno risponde di essere un uomo armato”. Gli si chiede di venir fuori, senza indugi, ma l’individuo è “sordo”.
Che fare allora. Si prende la “determinazione dal Comandante la forza di appiccare il fuoco alla capanna”. Vediamo se adesso non escono. Detto fatto!
Dall’interno, sempre secondo il rapporto, parte un colpo di fucile. I militi rispondono con una gragnuola di colpi. A questo punto i rovi del rifugio prendono fuoco. Il comandante giustificherà poi l’accaduto ai superiori sostenendo essere stato il colpo proveniente dall’interno del rifugio ad appiccare il fuoco. Peccato che, qualche rigo avanti, nello stesso rapporto ha dichiarato di essere giunto alla “determinazione” di incendiare l’improvvisata capanna. Ma questi sono … dettagli!
Vittoria, che è una dei due occupanti “onde fuggire dal fuoco si spinge per un foro fin d’allora nascosto e semi viva, poiché ferita gravemente”. I soldati l’aiutano a venir fuori. Filippo, l’altro occupante, che “segue la donna cade morto ed è tratto fuori cadavere”. E Vittoria? “la druda non volle palesare chi essa fosse”. E’ agonizzante, forse i militi tentano anche di soccorrerla in qualche modo, tentando di portarla via, ma “abbenchè ferita mortalmente nel viso e nel corpo non volle svincolarsi dal suo amante in quella mezzora che gli rimase ancora di vita”.
Insieme sì, fino alla fine.
La capanna viene completamente distrutta dal fuoco e quando è possibile ispezionarla vi si scorgono un fucile, un coltello, tre pani e un pollo (che l’estensore del rapporto, sicuramente un Carabiniere, scalando vette di insuperabile e incontrollabile ironia, non esita a descrivere come “… un pollo arrosto”).
Nel fascicolo dal quale ho ricavato questa storia sono contenuti i rapporti dei due comandanti della forza mista: quello della pattuglia del 64° ascrive a sé tutto il merito dell’operazione. E quello dei Reali Carabinieri si sfoga con i superiori: non può fornire una diversa versione dei fatti perché “brucerebbe” il suo informatore, quel Filippo al quale ho fatto già cenno. Gli tocca inghiottire il rospo; per definizione, in quanto Reale Carabiniere, è … “uso obbedir, tacendo”. Però, almeno la soddisfazione di uno sfogo riservato al suo superiore se lo può permettere. E difatti conclude il suo rapporto con un velenoso “i militari si appuntano una medaglia”. Un’altra, una delle tante. E, ci aggiungo io, una più bella dell’altra.
La fine della storia è un deja vu: arriva sul posto il Pretore di Casalbordino, procede alla ricognizione dei cadaveri e ne ordina il trasporto in paese. Qui vengono riconosciuti dai familiari ed esposti nella piazza del paese.
E – poiché l’accusa di tardo romanticismo, spesso rivolta ai “revisionisti” impenitenti come il sottoscritto, almeno questa volta, vorrei meritarmela anche io – ci aggiungo, di mio, una considerazione finale: mi piace pensare che Filippo e Vittoria siano stati poi sepolti in una fossa comune. Insieme, così come, nei giacigli di rovo della ribellione contadina, hanno vissuto la loro breve storia d’amore. Sempre e per sempre, come dice qualcuno a cui dedico questo “domenicale”.
Buona domenica a tutti.

(*) Promotore Carta di Venosa

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