I delitti gioiosi della rivoluzione – G.De Sivo

vol 4 Storia

 

 

RICERCA EFFETTUATA TRAMITE GOOGLE LIBRI SUL TESTO ” Storia delle due sicilie “dal 1847 al 1861 di Giacinto de Sivo VOL IV -Trieste-1868
PAG 77-79 ;
§ 17. I Cannibali.
Ora m’è strazio a descrivere i delitti gioiosi della rivoluzione: ebbra della incredibile vittoria, quelle passioni, quelle meridionali fantasie sfuriavano. Avean goduto tant’anni libertà civile, dettala tirannia ; ora la libertà nuova tanto a gola gridata non sapevano, nè potevano intenderla altro che il poter far tutto e pigliar tutto. Però abbattevano, uccidevano, rapivano, rubavano in tutte parti, in ogni modo; e de’loro eccessi incolpavano i soldati: smentivali il rinnovato decreto dittatoriale contro gli assassini e i ladri; ma non avea esecuzione ; restava scritto per abbagliar l’Europa sulla giustizia di quel redentore.

Barbarie inaudite contro i poliziotti. Certo non eran fior di virtù; ve n’era ch’avean con l’uffizio velata l’ingordigia, ma v’era pur chi fido al giuro non avea voluto servire la setta; però contro questi più che contro quelli le vendette sfolgoravano.

Sendo cominciata la persecuzione al primo entrar delle camice rosse, i più frammischiandosi a’soldati si salvarono su’navigli; ma altri o non potessero, o sperassero perdono, o stimassero non meritar pena, o non avessero cuore di lasciare la patria, restarono, e s’andaron celando, sin per entro canali d’acqua e sepolture. Fermato l’armeslizio, si cominciò col saccheggiare tutte le case di quelli; poi le loro famiglie ed essi cercavano a morte: migliaia di coltelli sitibondi di sangue, migliaia d’occhi spiavanli in ogni dove: taglie, promesse, seduzioni, minaccie, tutto si tentava; nè fu sacro loco , o bugigattolo , o sozzo spazio, pur nelle viscere della terra, che non rovistassero. Non travestimenti, non mutar nomi, luoghi e condizione, bastavano. Chi si tagliava baffi e capelli, chi si mozzava un membro; taluno si cavò un occhio per travisarsi, non però sfuggiva. Perseguitavano figli e mogli, e torturavanli e uccidevano; madri co’ bambini al seno mazzicate e spente, bambini fatti a pezzi nelle braccia del padre; una moglie ebbe tagliata la mammella a’16 giugno; poi uccisole il marito, le posero in bocca il membro genitale del cadavere. In questo orrendo giorno, gridando morte a’ Borboni, in frotta manigoldi sulle strade, per ogni minimo sospetto ammazzavano; uno che da quindici anni non più serviva in polizia trucidarono; altri sette qua e la barbaramente spegnevano; uno trassero da un magazzino alla doganella, e pugnalavano sulla piazza Marina; altri sette presso la Badia nuova cadean morti per cento ferite. Nè tutti erano poliziotti: chi odiava uno, a incontrarlo gridava sbirro ed eccolo sbranato; nè solo sbirri, anche liberali non eran sicuri; s’assassinava per vendetta, per piacere, per un nulla. Un capo banda a Bagheria morì per mano de’suoi stessi seguaci. Vedevi quelle belve accaneggiarsi cercando e fiutando esseri umani. Scorti, eran presi da chi primo arrivasse; trovati, eran cavati fuori, quasi spettri pel digiuno e’l terrore, strascinati alla luce; e ferocemente urlando gioiose quelle turbe non più umane, tra imprecazioni fischi e percosse, cadevano a membro a membro mutilati. Non valea chiedere pietà, piangere, invocar madonne e santi: sanguinosi, laceri, vesti e carni, patian colpi di tutte armi, e strazii orrendi pria di spirare. Talvolta il misero con gli occhi cavati, abbacchiato le membra , nuotante nel sangue, disperatamente ne’ceppi, contro gli assassini si dibatteva, sinché tra sataniche risa a furia di lenti e mal destri colpi era finito. Nè morti riposavano, chè nudati i cadaveri, strascicati, smembrati, a pezzo a pezzo gittavanli in cloache fra le immondezze iu un canto, con proibizione di sepoltura, pasto di cani. Così ogni dì cadaveri nuovi per le vie ; sol dentro Palermo più che sessanta furon conci.
I mille liberatori vedevan fare; il redentore mirava, nè reprimeva quell’orgie da cannibali; forse pensava servissero per ispavento agli altri paesi da liberare. Ordinò i poliziotti si presentassero per essere giudicati; ma perchè in quei momenti ei poteva comandare solo il male, e non il bene, egli stesso ne fe’senza giudizio alquanti fucilare. La morte passeggiata lurida e famelica colle negre ali sulla misera Palermo. Ciò gridandosi Italia, civiltà, e Re Galantuomo!

Nella stessa provincia palermitana non meno orribili delitti. Il 2 giugno strage a Polizzi: sull’alba una feccia di plebe s’accozzò a suon di tamburo: assalirono la casa d’un Alberto Somma, e lui trucidarono; poi quella d’un Glorioso, prete ottuagenario arsero; e lui, la sorella, due fratelli, e un servo scannarono; de’ cadaveri fecero falò in piazza. Poi ammazzarono un Borgenzano; e finalmente un tal Rampolla comandante quella Guardia nazionale fucilò un Cirino, ancorchè rivoluzionario, accusandolo di pietà. cioè d’aver salvato ad altri innocenti la vita. Il 9 giugno ad acqua di Corsali presso Abate un Chimenti capo di manigoldi fece man bassa sui Borbonici; sgozzò tutta la famiglia Marino sino a una fanciulla, e i corpi entro una botte pose, ed arse. L’11 si fè qualcosa di simile a Montemaggiore. E il 17 a Contessa di là da Corleone, un Luca Cuccia ribaldo bandito messo su dalla rivoluzione, corse con luridi seguaci le vie, e trucidava qualunque sospetto borboniano incontrava. Tutta la famiglia Loiacono sterminò e gittò giù da’balconi, e nell’agro quattro pargoli innocenti perchè avean casato Loiacono, fe’scannare senza pietà.
Questi atrocissimi esempli valsero nelle province: gli uomini di polizia pria del tempo fuggivano, o per paura si facevano traditori, e primi a percuotere i gigli. Dovunque la rivoluzione trionfava rinnovava simiglianti eccessi, nè solo contro la polizia; ogni uffiziale regio , ogni uomo onesto poteva esser degno di morte, se pria tradito non avesse. Quindi facile appagamento d’ire private, morti, offese, rappresaglie; e l’un superava l’altro, facendo a chi più fosse liberale; quindi a’buoni l’esilio parve felicità.

 

Ricerca a cura del Prof.Renato Rinaldi