Jettatura sui fiori d’arancio

Jettatura sui fiori d’arancio
Un’impressionante catena di sciagure durante il mtrimonio del duca d’Aosta il 30 maggio 1867: fra i sette morti il conte di Castiglione stritolato sa una carrozza-
L’ultimo sogno politico dell’ambiziosa e bella contessa.

IV-Di disse e si dice che la contessa di Castiglione fu una donna dai cento amori.
Non ci pronunciamo sulla cifra troppo impegnativa, nella quale da ultimo, secondo il diario autografo della parte interessata, rientra anche il cocchiere. Ma colla parola amore preferiamo andar cauti.. Nicchia di Castiglione probabilmente non amò che se stessa, o meglio, no amò che la prpria bellezza. Ci apita sott’occhio una sua lettera che in parte trascriviamo traducendo fedelmente:
” Ed ecco come rimasi vedova, a diciassette anni, con un figlio da allevare, all’estero, senza denaro, per poi vederlo morire”. In altre sue lettere confidenziali narrerà che il figlio, che ella “tanto amava” , è morto avvelenato. Da queste sue lettere , come al solito la verità esce malconcia. Il conte Francesco Versais di Castiglione morì, e tnarreremo come, il 23 marzo dell’anno 1835. All’anima della vedova a dicissette anni. Il figlio, da lei “tanto amato”, visse con lei a PParigi; ed ella lo teneva in anticamra, grroom fra i domestici, nè voleva si dicessa ch’era suo figlio, perchè il giovanetto undicenne avrebbe scombussolato il suo calendario personale e concesso a chiunque di far di conto sulla sua età, almeno approssimativamente. Il figlio, tanto amato, ridotto alla disperazione, nell’anticamera materna fuggì dalla casa della madre e si riparò a Costgliole d’ Asti presso lo zio paterno che ebbe cura di lui. Morì diciottenne di vaiolo.

Sfogliando la “Gazzetta Piemontese” del primo, giugno dell’anno 1867 abbiamo letto un paio di righe in corpo sei colle quali si dava notizia della morte, avvenuta in servizio di Sua Maestà, del conte Francesco Verasis di Castiglione, aiutante di campo di Vittorio Emanuele II. Non fosse che per la singolarità del quadro in cui la morte si era messa in agguato, la scomparsa di codesto gentiluomo di Corte merita più delle due righe accordate dalla censura del tempo. Dal racconto confidenziale fatto dalla vedova, e del quale lasciamo a lei la paternità letteraria senza indagare sulla veridicità dei fatti, rileviamo che una catena di sciagure si snodò improvvisa tra i mazzetti di fiori d’arancio offerti per le auguste nozze del principe Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, duca d’Aosta, colla principessa Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna, celebrate in Torino il mattino del 30 maggio del 1867.

Verso Stupinigi
La sposa attende che la dama di corte sovrintendente all’abbigliamento le rechi il velo nuziale. La dama tarda a comparire; la si ricerca, e la si trova impiccata in guardaroba. Tra le mani rattrappite stringe il velo bianco al quale aveva ella stessa annodato pochi minuti prima la corona di fiori d’arancio. La sposa rifiuta quel velo sbarrando gli occhi terrorizzati. Si corre a ricercarne un secondo.
Nel frattempo il corteo si è riunito nel cortile del palazzo, ma ancora non compare l’ufficiale superiore che secondo il protocollo, deve dare ordine di precedenze e guidare il corteo. Lo si ricerca. E’ caduto da cavallo a trecento metri dal palazzo mentre vi accorreva per assumere servizio. Morto.
Il corteo, riordinato alla meglio, si snoda frettolosamente raggiunge i cancelli: ma questi sono chiusi. Qualcuno corre a ricercarsi il portiere: lo si trova immerso nel suo sangue, morto. Accortosi della sua mancanza si era trafitto il cuore collo spadino di gala. È la morte raddoppia ancora i suoi colpi sinistri; il funzionario ministeriale ohe ha redatto l’atto di matrimonio, invitato a presentarsi agli augusti sposi col documento, si raddrizza sulla poltróna e fa l’atto di alzarsi; ma straluna gli occhi e stramazza al suolo,’fulminato da paralisi cardiaca. Mentre si provvede a sostituirlo si ode un colpo di rivoltella: uno dei testimoni si e fatto saltare le cervella. La folla nella strada e nella piazza va gridando i suoi evviva ed applaudendo la splendida cerimonia, e intanto il corteo prosegue verso la stazione, ove gli invitati, al seguito della Corte, prenderanno posto nel treno reale. Il convoglio non è ancora sul binario ed il corteo sosta sotto la pensilina li duca d’Aumale, uno del pochi amici degli ultimi anni della Castiglione oora sul binarlo ed il corteo sosta sotto la pensilina, mentre il capostazione s’affanna correndo da un binario all’altro collo zelo delle grandi occasioni: sopraggiunge a tutta velocità il treno reale che lo investe e lo sfracella sulle rotaie. Vittorio Emanuele II dice nervosamente: — Asses des morte! Castion, a cavallo —. E risale per primo nella vettura di gala. Il corteo, è ormai stabilito, raggiungerà Stupinigi colle carrozze, affiancato dalle scorte d’onore.
Il conte di Castiglione, aiutante di campo di Vittorio Emanuele II che il sovrano chiama confidenzialmente Castion, caracolla accanto alla berlina degli sposi, capo della scorta d’onore. Ad un tratto vacilla, cade da cavallo. La carrozza che segue lo investe, le ruote sobbalzano sul suo corpo. Francesco Verasis conte di Castiglione non è più che un cadavere nella polvere della strad.: Le ruote della carrozza gli hanno maciullato la testa e il collo nel quale si sono conficcate le decorazioni dell’ordine di Malta. Il principe Umberto ed il principe Amedeo scendono dalle carrozze e accorrono verso di lui. Ma non vi è più nulla da fare per il gentiluomo fedelissimo. La contessa di Castiglione, pochi istanti dopo, ricevuto l’annuncio della iciagura, sviene.
— Dov’è Castiont — domanda Vittorio Emanuele Ii, stupito di non trovarselo accanto come vorrebbe il protocollo.
-Morto- rispone laconicamente il principe Umberto co voce cupa.
-per Dio. esclama il Re.
-Bette-dice il principe Umberto abbassando il capo e stringendo nervosamente i pugni. Da quel giorno avrà in orrore tutte le cerimonie nuziali.

amedeo

Bellezza scontata
Per quanto vada giocando a suo capriccio colle date, Nicchia dt Castiglione quando, dopo la sciagura che la rende vedova di un marito dal quale viveva separata da oltre dieci anni, ritorna al suo domicilio in via Volney a Parigi è, per il gran mondo di quella città nella quale ella ha bruciato giovanissima le tappe dei grandi successi, da troppo tempo bella. Non conta amicizie nel campo femminile dacché ella ha sempre puntato le sue carte sull’altro sesso, e, colla sua alterezza, che ha alle radici il più appassionato narcisismo, si è alienata le possibili simpatie femminili. Come rivelazione di bellezza a quel tempo è già ampiamente scontata nei salotti del duca di Morny, fratellastro, dell’imperatore, ove ella, poco più che ventenne, si è largamente esibita senza veli nel gioco dei quadri plastici, o dei vari Rothschild o Laffitte. Le prime amarezze e i primi sconforti l’assalgono, come ci rivela la sua corrispondenza privata, durante questi due anni che precedono il crollo del Secondo Impero. I più nobili sentimenti, amore ed abnegazione, non hanno mai fatto presa sul suo animno invasato dall’ambizione. Delusa questa, il pensiero di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato la tortura, dacché va rimuginando che, ove fosse giunta a Parigi un paio d’anni prima, sua avrebbe potuto essere la corona imperiale di Francia.
Nel complesso lavorio di corridoio che precede la dichiarazione di guerra alla Prussia la Castiglione, pure a Parigi, è fuori gioco. Prima che la guerra scoppi e il disastro si profili all’orizzonte ella ripara a Firenze ove risiede la Corte italiana. E’ qui, a Firenze, ch’ella riceverà la visita del Thiers, non beneviso alla Corte italiana, al quale offrirà il suo appoggio fondato sui rapporti personali coi membri di Casa savoia e colla regina Augusta di Prussia.
L’opera sua diplomatica è però irrilevante, in questa occasione, e la si può definire un accorciamento di anticamere e nulla più. Ma ella haa ha giù buttato a mare, prima di Sédan, la causa di Napoleone III. A un solo Napoleone rimarrà legata di buona amicizia, fino ad offrirgli per residenza la casa Oldoini alla Spezia. Ed è, questi, Gerolamo Napoleone, che accetterà per breve tempo l’ospitalità offerta.

duca
Infine, non appena gli avvenimenti internazionali glielo consentono, la contessa di Castiglione ritorna a Parigi per riallacciare i rapporti cogli Orléans, il duca D’Aumale ed il duca di Chartres, da lei conosciuti durante i suoi soggiorni in Inghilterra presso gli Holland.
Il duca D’Aumale, figlio di Luigi Filippo e capostipite della casa, era un fiero gentiluomo di una rettitudine spiccatissima e di nobilissimi sentimenti. La Castiglione lo avrebbe voluto sul trono di Francia ed a ciò brigava, secondo il suo temperamento e le sue possibilità, tempestandolo di lettere nelle quali lo incitava a cogliere i fiordalisi della Corona di Francia.
Una donna come la Castiglione, imbevuta della teoria che il successo basta ad assolvere dai peccati che si commettono per conseguirlo, non era in grado di comprendere le esitanze nobilissime di questo principe che avrebbe accettato di salire al trono soltanto quando un plebiscito del popolo di Francia glielo avesse richiesto.
Non poteva comprendere questo soldato diritto come la sua spada, che alla vigilia di poter essere nominato presidente della repubblica, dichiarava apertamente di poter essere l’uomo della transazione, ma non un uomo di transizione, e con siffatta lealtà di propositi si alienava il consenso dei Bonapartisti. Tanto meno poteva comprendere questo franco gentiluomo quando egli, sollecitato da numerose correnti politiche, rifiutava di ricorrere agli espedienti di rapida soluzione messi in atto dal Morny pel colpo di stato del 2 dicembre, e rispondeva ai sollecitatori non essere egli di coloro che snudavano la spada contro i borghesi di Parigi per poi gettarla, spezzata, ai piedi del re di Prussia.
Questo è stato l’ultimo sogno politico della contessa di Castiglione. Le ha dato forza per qualche anno e l’ha sorretta quasi fosse la spina dorsale della sua protratta ambizione.
Rupignié (Continua).
StampaSera 29/03/1951 – numero 75 pagina 4

A causa delle condizioni e della qualità di conservazione delle pagine originali, il testo di questo articolo processato con OCR automatico può contenere degli errori.
© La Stampa – Tutti i diritti riservati