I Fatti di Pontelandolfo nel 1861: responsabile il Sindaco o l’Arciprete?

ARTICOLO 1861

MESSAGGIO D’OGGI : RITORNA LA POLEMICA DOPO UNA RECENTE PUBBLICAZIONE
I Fatti di Pontelandolfo nel 1861: responsabile il Sindaco o l’Arciprete?

Molte pagine sono state scritte sui luttuosi fatti di Pontelandolfo del 7 e del 14 agosto 1861, ma la verità è ancora molto lontana sia per la complessità deglimeventi, sia per lo spirito di parte e la faziosità che spesso hanno condizionato e continuano a condizionare gli storici e coloro che si sono occu¬
pati di tali eventi.
Ma nessuno poteva sospettare che la partigianeria, accompagnata da scarsa ricerca storica, superficialità ed inesattezze potesse giungere ad uno stato di deformazione dei fatti stessi quanto abbiamo potuto constatare nel recente lavoro di Ferdinando Melchiorre: «Pontelandolfo, 1861».
L’autore, animato dalla tesi di salvaguardare la fama del suo antenato D. Lorenzo Melchiorre, sindaco di Pontelanclolfo alla epoca dei tristi eventi del 1861, mette in, cattivaa luce la figura dell’Arciprete D. Epifanio D’ Gregorio, scaricando su di lui la responsabilità dell’eccidio del sette agosto.
Ma come dicevamo, il discorso del Melchiorre è quanto mai superficiale.
E’ superficiale in quanto che l’autore dalla prima all’uìtima pagina si limita a citare da opere già pubblicate sull’argomento: il lettore ha proprio l’impressione di trovarsi di fronte ad un centone di citazioni prive di ogni valutazione critica e neanche ordinate secondo un filo logico.
Manca del tutto la documentazione d’archivio convincente, come richiederebhe un’opera scritta con intenti seri e col proposito di portare un contributo valido per la ricerca della verità.
Ma non basta! Molte citazioni sono errate. Il Melchiorre, per esempio, non sa che il manoscritto attribuito da lui a Vincenzo Mazzacane è proprio quello di Antonio Pistacchio, studiato per la prima volta dal Mazzacane e pubblicato con il titolo “I fatti di Pontelandolfo nel manoscritto di un contemporaneo sulla Rivista sto¬
rica del Sannio, n. 3 anno IX,1923. Il Melchiorre,invece, parla di due manoscrítti: uno di Vincenzo Mazzacane e l’altro di Antonio Pistacchio, quando scrive: «Vincenzo Mazzacane nel suo manoscritto » (p. 16); anzi osa scrivere che «il manoscritto del Mazzacane è giacente presso l’Archivio storico del Sannio»; (p. 13).
Tale notizia è solo frutto della sua fantasia della estrema superfícialità con la quale ha condotto il lavoro.
Il Melchiarre cita dal De Jaco e non si accorge che il brano di De Jaco lo ha desunto da Vincenzo Mazzacane.
L’autore cita le dne relazioni: quella del vice sindaco D. Saverio Golino da Pontelandolfo al dicastero dell’Interno e di Polizia e quella del sindaco D. Lorenzo Melchiorre, da Napoli, senza fare i dovuti confronti.
D. Saveri.o Golino, testimone oculare, perchè rimasto a Pontelandolfo durante i luttuosi giornie quindi più degno di fede (a lui vanno molti meritiper essersi ben de¬
streggiato per salvare Pontelandolfo) non lancia le accuse contro l’Arciprete. L’unico rilievo fatto da Golino per l’Arciprete è che « la prima casa che bruciò fu quella dell’Arciprete Epifanio Di Gregorio in voce di reazionario».
D. Lorenzo Melchiorre, invece, che si era rifugiato a Napoli, abbandonando la cittadinanza, lancia accuse, forse per discolpare la sua condotta, contro D. Epifanio Di Gregorio.
La figura dell’arciprete Di Gregorio non meritava tanto dileggio. Egli infatti godeva grande prestigio) presso i suoi contemporanei di essere un teologo,un letterato, un uomo di vasta cultura, come avremo occasíone di testimoniare nel nostro lavoro di prossima pubblicazione.
Per ora ci limitiamo a citare solo quanto scriveva “La Gazzetta di Benevento”, diretta dallo storico Enrico Isernia nel dare la notizia della morte del Di Gregorio: «In S. Croce di Morcone trapassò di vivere pochi giorni or sono il sacerdote Epifanio Di Gregorio uomo reputato assai dotto nelle lettere e nelle scienze ecclesiasti¬
che».
Certamente la fede politica di D. Epifanio era borbonica ma non va a suo disonore se egli fu coerente con se stesso fino alla morte.

ENRICO NARCISO