Quei borbonici rinchiusi e torturati a Fenestrelle

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LETTERE AL CORRIERE risponde Paolo Mieli

Quei borbonici rinchiusi e torturati a Fenestrelle Finiamola una buona volta con lo scandalo della censura che sarebbe stata apportata allo scopo di tenere nascosta la conversione alla fede cristiana di Silvio Pellico. «Le mie prigioni» fu un libro di devozione e alcune delle pagine di quel libro furono addirittura tacciate di bigottismo. Il Risorgimento ha scheletri nell’ armadio da doversi denunciare? Si denuncino quelli giusti! Per esempio, quello che vide vittime poveri fantaccini borbonici sbattuti a crepare nel gelo invernale di un fortezza sabauda a 1800 metri d’ altezza, con l’ unico equipaggiamento costituito dalle proprie divise di soldati d’ un esercito meridionale. Perché non ci si occupa e quasi mai si nomina il caso di Fenestrelle? Bruno Faccini Milano Caro signor Faccini, mi sono visto costretto a sintetizzare questa sua lettera (nella quale gentilmente cita per esteso i passaggi de «Le mie prigioni» che dimostrano come Silvio Pellico disse a chiare lettere che «la religione aveva trionfato nel suo cuore») esclusivamente, mi creda, per ragioni di spazio. Per parte mia continuo a considerare sospetta la censura del brano denunciata da Aldo Mola. Ma, ha ragione lei, chiudiamola qui. Quanto al caso del carcere di Fenestrelle in cui nel 1861 furono rinchiusi i prigionieri dell’ esercito borbonico, ad esso ha dedicato pagine assai interessanti Gigi Di Fiore nel libro «I vinti del Risorgimento» pubblicato di recente dalla Utet. Di Fiore riporta un articolo dell’ epoca pubblicato da La Civiltà cattolica in cui era scritto che «per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad uno spediente crudele e disumano che fa fremere. Quei meschinelli (i militari borbonici, ndr), appena ricoperti di cenci di tela e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane e acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e di altri luoghi posti nei più aspri siti delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento tra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re!». Il 22 agosto del 1861, prosegue Di Fiore, pur provati e affamati, i soldati napoletani tenuti a Fenestrelle tentarono una rivolta. Prepararono un piano d’ azione, ma vennero scoperti, subendo una dura repressione. Ai rivoltosi venne sequestrata anche una bandiera borbonica. In quel periodo, i napoletani detenuti nella fortezza erano mille, mentre altri seimila erano ammassati a San Maurizio, sotto la vigilanza di due battaglioni di fanteria. Il ministro piemontese della Rovere – riferisce ancora «I vinti del Risorgimento» – diede notizia in Senato che ben ottantamila soldati dell’ ex esercito borbonico si rifiutarono di servire sotto la bandiera Italiana. Liberati dai campi di prigionia, i napoletani si allontanavano, fuggendo nello Stato Pontificio, o dandosi alla macchia e ingrossando le bande di briganti nelle loro terre di origine. A centinaia però non riuscirono a tornare dai campi del Nord, dove trovarono la morte. A Fenestrelle, la calce viva distruggeva i cadaveri di chi non ce l’ aveva fatta a superare il rigore del freddo e a sopportare la fame. I più deboli, abituati al clima delle Due Sicilie, per la prima volta nella loro vita così lontani dalle loro terre di origine, crollavano. L’ ospedale della fortezza era sempre affollato. E, nei registri parrocchiali, vennero annotati i nomi dei soldati meridionali deceduti dopo il ricovero in quella struttura sanitaria, per malanni dovuti alla rigidità delle condizioni carcerarie e per varie malattie contratte. Ma i nomi registrati non corrispondevano a tutti i prigionieri morti in quegli anni. Per motivi igienici ed essendoci difficoltà a seppellire i cadaveri, molti corpi vennero gettati nella calce viva in una grande vasca, ancora visibile, dietro la chiesa all’ ingresso principale del forte. Nessuna censura su Fenestrelle, caro Faccini. È solo un’ altra storia. Un’ altra terribile storia. Mieli Paolo] LETTERE AL CORRIERE risponde Paolo Mieli
Quei borbonici rinchiusi e torturati a Fenestrelle

Finiamola una buona volta con lo scandalo della censura che sarebbe stata apportata allo scopo di tenere nascosta la conversione alla fede cristiana di Silvio Pellico. «Le mie prigioni» fu un libro di devozione e alcune delle pagine di quel libro furono addirittura tacciate di bigottismo. Il Risorgimento ha scheletri nell’ armadio da doversi denunciare? Si denuncino quelli giusti! Per esempio, quello che vide vittime poveri fantaccini borbonici sbattuti a crepare nel gelo invernale di un fortezza sabauda a 1800 metri d’ altezza, con l’ unico equipaggiamento costituito dalle proprie divise di soldati d’ un esercito meridionale. Perché non ci si occupa e quasi mai si nomina il caso di Fenestrelle? Bruno Faccini Milano Caro signor Faccini, mi sono visto costretto a sintetizzare questa sua lettera (nella quale gentilmente cita per esteso i passaggi de «Le mie prigioni» che dimostrano come Silvio Pellico disse a chiare lettere che «la religione aveva trionfato nel suo cuore») esclusivamente, mi creda, per ragioni di spazio. Per parte mia continuo a considerare sospetta la censura del brano denunciata da Aldo Mola. Ma, ha ragione lei, chiudiamola qui. Quanto al caso del carcere di Fenestrelle in cui nel 1861 furono rinchiusi i prigionieri dell’ esercito borbonico, ad esso ha dedicato pagine assai interessanti Gigi Di Fiore nel libro «I vinti del Risorgimento» pubblicato di recente dalla Utet. Di Fiore riporta un articolo dell’ epoca pubblicato da La Civiltà cattolica in cui era scritto che «per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad uno spediente crudele e disumano che fa fremere. Quei meschinelli (i militari borbonici, ndr), appena ricoperti di cenci di tela e rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane e acqua e una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e di altri luoghi posti nei più aspri siti delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimar di fame e di stento tra le ghiacciaie! E ciò perché fedeli al loro giuramento militare ed al legittimo Re!». Il 22 agosto del 1861, prosegue Di Fiore, pur provati e affamati, i soldati napoletani tenuti a Fenestrelle tentarono una rivolta. Prepararono un piano d’ azione, ma vennero scoperti, subendo una dura repressione. Ai rivoltosi venne sequestrata anche una bandiera borbonica. In quel periodo, i napoletani detenuti nella fortezza erano mille, mentre altri seimila erano ammassati a San Maurizio, sotto la vigilanza di due battaglioni di fanteria. Il ministro piemontese della Rovere – riferisce ancora «I vinti del Risorgimento» – diede notizia in Senato che ben ottantamila soldati dell’ ex esercito borbonico si rifiutarono di servire sotto la bandiera Italiana. Liberati dai campi di prigionia, i napoletani si allontanavano, fuggendo nello Stato Pontificio, o dandosi alla macchia e ingrossando le bande di briganti nelle loro terre di origine. A centinaia però non riuscirono a tornare dai campi del Nord, dove trovarono la morte. A Fenestrelle, la calce viva distruggeva i cadaveri di chi non ce l’ aveva fatta a superare il rigore del freddo e a sopportare la fame. I più deboli, abituati al clima delle Due Sicilie, per la prima volta nella loro vita così lontani dalle loro terre di origine, crollavano. L’ ospedale della fortezza era sempre affollato. E, nei registri parrocchiali, vennero annotati i nomi dei soldati meridionali deceduti dopo il ricovero in quella struttura sanitaria, per malanni dovuti alla rigidità delle condizioni carcerarie e per varie malattie contratte. Ma i nomi registrati non corrispondevano a tutti i prigionieri morti in quegli anni. Per motivi igienici ed essendoci difficoltà a seppellire i cadaveri, molti corpi vennero gettati nella calce viva in una grande vasca, ancora visibile, dietro la chiesa all’ ingresso principale del forte. Nessuna censura su Fenestrelle, caro Faccini. È solo un’ altra storia. Un’ altra terribile storia.

Mieli Paolo