CICCILLA

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 23° episodio CICCILLA, UNA DONNA DI VENTIDUE ANNI.
di Valentino Romano (*)

Catanzaro, maggio del 1864.
Riprendo, dopo la digressione della puntata precedente, il consueto canovaccio della nostra rubrica; riprendo, però, nel segno della continuità con uno dei principali temi trattati nel bel convegno di Pontelandolfo: la “normalità” delle donne del brigantaggio; e, dal momento che a me piace il paradosso, lo faccio con la vicenda umana della donna che – per molti aspetti – rappresenta proprio l’icona della loro presunta “eccezionalità.
Mi riferisco a Maria Oliverio, moglie del brigante Pietro Monaco, più conosciuta come Ciccilla!
Il suo nome e la sua immagine campeggiano in tutti i testi di brigantaggio. Di lei se ne sono occupati storici, giornalisti e perfino narratori: con Michelina Di Cesare, Filomena Pennacchio (e qualche altra) rappresenta l’icona del brigantaggio postunitario al femminile. E tanta notorietà le ha pure nociuto, dal momento che – pur di inserirne la storia nei propri lavori – molti scrittori di cose brigantesche le hanno incollato sulla pelle la propria interpretazione del personaggio, adattandola e restituendocela di volta in volta come paradigma, ora di crudeltà, ora di coraggio. Un recente romanzo, per esempio, ne ha veicolato l’immagine di emblema della libertà. Padronissimo ognuno, s’intende, di dare libero sfogo alla propria creatività artistica, ci mancherebbe! Molto meno “padrone”, come purtroppo spesso avviene, di contrabbandare il proprio estro narrativo per “verità” storica. Ma questo è tema già sufficientemente trattato nel precedente numero della rubrica e non è il caso di tornaci ancora. Come che sia, tutte le diverse “letture” del personaggio hanno indotto il lettore a ritagliarsi una propria idea di questa calabrese dai lunghi capelli neri e dei grandi occhi corvini che posa per il fotografo dopo la cattura, col braccio ferito, vestita da uomo, con il cappello a pan di zucchero e con il fucile tra le gambe. Ma è possibile oggi accostarsi alla vicenda umana di Ciccilla con maggior rispetto della verità dei fatti e coglierne qualche aspetto che si discosti dai tanti luoghi comuni che ne hanno accompagnato la narrazione. Lo ha fatto sicuramente con completezza e competenza il suo maggior e più puntuale biografo, Peppino Curcio, al cui lavoro si rimanda; qui cerchiamo, semmai, di introdurre qualche ulteriore riflessione.
Maria Oliverio, come si sa, fu condannata a morte. E su questo si è detto che fu l’unica donna del brigantaggio ad esserlo. Già nei numeri precedenti della nostra rubrica ho dimostrato come tale assunto, al massimo (e allo stato delle ricerche), debba essere più correttamente inteso come l’unica donna condannata a morte da un Tribunale regolare. Risparmio, perciò, al lettore una noiosa ripetizione. Torniamo ai fatti, riassumendoli quanto possibile: Pietro Monaco con la sua banda e con Maria imperversano, si tenta di catturarli in ogni modo. Si ricorre anche alle taglie, si fornisce pure la stricnina per avvelenarli. E il tradimento, che nella storia dei fatti briganteschi è sempre dietro l’angolo, fa il resto. Una volta eliminato Monaco, la moglie prende il comando dei superstiti e non fa certo rimpiangere il marito. La sua prima decisione è quella di bruciare il cadavere del marito in un tronco cavo d’albero. Può apparire raccapricciante questo particolare, e forse tale è tale pure è, ma va capito e contestualizzato. Ci aiuta il Prefetto di Calabria Cireriore con una sua nota al ministro dell’Interno: “…è per metà carbonizzato il cadavere di Monaco, cosa che certamente venne fatta dalla moglie … innanzi di partire, oltre impedire come è d’uso dei briganti che la testa potesse essere staccata e portata in trionfo. Barbara usanza che io non volli permettere mai, ad onta che contrastasse un desiderio delle popolazioni meno colte di questa provincia”.
Cioè sarebbe “d’uso dei briganti” impedire che le loro teste mozzate fossero portate in trionfo. Sic. E brava Sua Eccellenza! Un vero capolavoro di diplomazia e di stravolgimento della realtà: sarebbero le popolazioni “meno colte” a godere della vista del macabro trofeo di caccia. Verrebbe da dire che, al contrario, le popolazioni “più colte” se ne servivano per scopi “scientifici (come quel giovane e promettente studioso al seguito dell’esercito sabaudo) ma non è il caso di rinverdire una polemica annosa. Almeno qui. A me preme sottolineare la determinazione di questa donna. E poco importano i motivi per i quali si sia data alla macchia, accompagnandosi a suo marito. È una donna che prende in mano il suo destino, lo affronta a viso aperto, non si piega ad esso, lo combatte. Forse sta qui, solo qui, la sua “eroicità”. Certamente non nella sua presunta (e affatto dimostrata) adesione ideologica all’opposizione contro la “conquista regia”.
Maria, catturata, viene processata e condannata a morte con gran clamore nell’opinione pubblica. La pena viene però, immediatamente, sospesa dal generale Sirtori che, con apparente umanità, chiede per lei la grazia sovrana: “Chiedo grazia sovrana commutazione pena capitale in lavori forzati a vita perché donna trascinata al male dalla malvagità del marito…” Ci sarebbe da obiettare al generale che, a dirla tutta, Maria è stata trascinata dalla sua gelosia (aveva infatti ammazzato a colpi di scure sua sorella, colpevole di una tresca con il marito), ma non importa. Ciò che interessa sono le reali motivazioni poste alla base dell’invocato provvedimento di clemenza. E scopriamole nel prosieguo del dispaccio dell’ufficiale “…e perché altra sentenza capitale eseguita in questa città son quindici giorni contra brigante disertore Coppola. Dopo esempio di rigore esempio clemenza farà buon effetto”.
Ecco qua il motivo della carità pelosa richiesta: è meglio trattare questa gente con il bastone e con la carota. E, dal momento che il bastone è stato abbondantemente utilizzato, proviamo adesso con una carota… In aggiunta, poi, vi è l’opinione pubblica anche non solo nazionale. Fucilare una donna non sembra un buon affare dal punto di vista mediatico. Fa sicuramente più effetto un provvedimento di clemenza.
E la proposta di grazia, per le usuali vie gerarchiche arriva nelle altre sfere.
Qui – grazie alla profonda umanità e all’acume giuridico dell’Avvocato Generale Fiscale presso il Tribunale Supremo di Guerra a Torino, comm. Trombetta – vi è il rarissimo riconoscimento del valore del nemico, del coraggio della donna. Vi è, direi anche, una malcelata ammirazione. “La vedova Monaco, per quanto la si voglia scellerata e feroce, mostrò tuttavia un mirabile coraggio, vestì gli abiti del brigante, ne divise tutti i pericoli, si cimentò con la truppa, sparò contro di essa la sua carabina e fu presa prigioniera. Altronde poi le circostanze del di lei arresto costituiscono di per sé una pagina troppo sanguinosa del suo brutto dramma per non dover essere l’ultima scena di sangue a di lei riguardo”.
È, come si vede, l’onore delle armi, il cavalleresco rispetto del nemico. Ed è anche, a leggere tra le righe, una velata condanna della brutalità della repressione in atto.
Ma vi è di più, vi è il riconoscimento di ciò che tanti, da una parte e dall’altra, ancora oggi si ostinano a negare. Ed è il tema al quale ho accennato in premessa: la “normalità” dei protagonisti della guerra cafona, messa in discussione da questa guerra che li porta a vestire i panni posticci della “eccezionalità”, dell’eroicità:
“Tanto basta – conclude Trombetta nel rilasciare il suo consenso al provvedimento di grazia – perché la si debba lasciare la vita, ora che tra le mura del carcere è ridiventata una donna di ventidue anni”.
Adesso, cioè, che è ritornata alla sua, pur tragica, normalità. Quella di una donna di ventidue anni … Su questo, ancora una volta, vi invito alla riflessone e al dibattito.
Tralascio volutamente di addentrarmi nella polemica sulla inesistente carcerazione di Ciccilla (e delle altre donne del brigantaggio) nella fortezza di Fenestrelle. Lo faccio non perché non mi ritenga, pur presuntuosamente, in grado di sostenere il peso della polemica, ma unicamente perché ne tratto ampiamente altrove (di prossima pubblicazione).
Buona domenica a tutti.

(*) Promotore Carta di Venosa

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