I fatti di Pontelandolfo del 1861

 

I FATTI DI PONTELANDOLFO DEL 1861

Ho letto l’articolo sulla infelice vicenda di Pontelandolfo e Casalduni del 1861 di Sergio Boschiero su “Storia in Rete” di novembre scorso e la replica del sig.Gaetano Marabello sul numero di dicembre della rivista.
Mi è parso, per un verso, che la ricostruzione di quei tragici eventi sia storicamente e documentalmente imprecisa, dall’altro che gli interlocutori non siano del tutto sereni ed equanimi rispetto a quegli eventi storici.
Penso che sia giunto il momento di fare un po’ di chiarezza sull’accaduto “sine ira et studio”, ma seguendo con pacatezza ed obiettività le numerose tracce documentali e bibliografiche esistenti.
Succintamente possiamo ricostruire i fatti nel modo che segue:

1 – Il 1° agosto 1861 il Sindaco di Pontelandolfo, Lorenzo Melchiorre, riceve l’intimazione, da parte del brigante Gennaro Rinaldi detto “Sticco”, di versare 8.000 ducati, sotto pena di distruzione del paese.
2 – Il Sindaco, spaventato, chiede aiuto al Governatore di Benevento Gallarini.
3 – Il 3 agosto arriva a Pontelandolfo una colonna mobile di 200 Guardie Nazionali sotto il comando del colonnello Giuseppe De Marco.
4 – Il 5 agosto, per il rifiuto dei cittadini di fornire il vettovagliamento alla truppa, il colonnello De Marco lascia il paese. Seguono la colonna il Sindaco, le Autorità locali e i liberali.
5 – Il 7 agosto, giorno della festa patronale di San Donato, la banda di Cosimo Giordano, dopo aver inutilmente tentato di occupare il vicino paese di San Lupo, si dirige verso Pontelandolfo, dove entra bene accolta dalla popolazione e dal clero. Seguono la distruzione di tutti i simboli sabaudi, la devastazione della sede della locale G.N. ormai spontaneamente scioltasi, l’incendio ed il saccheggio delle case dei liberali fuggiti, la caccia ai liberali, o presunti tali, che provoca l’uccisione di alcune persone, tra le quali l’esattore Michelangelo Perugini bastonato, ferito in modo grave ed arso morente nella sua casa.
6 – L’8 agosto insorgono Casalduni e Campolattaro; i capi della rivolta confluiscono a Pontelandolfo per concertare ulteriori azioni.
7 – Il 9 agosto viene assaltata e depredata la corriera postale; i suoi occupanti si salvano a stento. Nella stessa giornata l’Intendente di Cerreto Sannita, Mario Carletti, responsabile della zona, invia al Segretario Generale del Dicastero dell’Interno e di Polizia a Napoli (e quindi praticamente a Cialdini) una allarmata relazione sui fatti descritti.
8 – Il 10 agosto, alle ore 11.00, Cialdini invia al Governatore di Benevento, perché lo consegni al ten. col. Pier Eleonoro Negri, che opera in zona, un telegramma che dispone di attaccare Pontelandolfo. L’ordine, per una serie di circostanze sfortunate, non può pervenire a Negri che il giorno 13 agosto.
9 – Intanto, sempre nella stessa giornata del 10 agosto, il Governatore di Campobasso Belli, ricevuto notizia degli eventi di quei giorni, allarmato, si adopera con il Comando militare affinchè sia condotta una azione di perlustrazione della zona per verificare le condizioni dei luoghi. Gli ordini impartiti al ten. Cesare Augusto Bracci, al comando di un drappello di 40 bersaglieri e 4 carabinieri, prevedono di non intervenire militarmente, ma di assumere informazioni e poi di attestarsi ai limiti dei territori interessati, per impedire una eventuale ritirata dei briganti, che sarebbero stati attaccati da una truppa di soldati più consistente. Gli era, però, esplicitamente fatto divieto di spingersi fino al citato paese.
10 – L’11 agosto il drappello di Bracci, ingaggia prima un conflitto a fuoco con un piccolo gruppo di briganti, poi, contravvenendo agli ordini ricevuti, si spinge fino a Pontelandolfo. Quivi l’ostilità della popolazione lo convince ad arroccarsi nella torre. Colpi di fucile in direzione della postazione e il consiglio scriteriato del vice Sindaco Saverio Golino, lo inducono ad uscire dalla torre e prendere la strada Consolare Sannitica, in direzione di San Lupo, paese ben difeso dalla G.N. sotto il comando del ten col. Achille Jacobelli. Ma le grida e le invocazioni ai briganti dei cittadini di Pontelandolfo che li avevano seguiti, lo inducono a piegare verso Casalduni, lasciando la Consolare.
Quivi il drappello, in avvicinamento al paese, è intercettato dalla banda di Angelo Pica, che taglia la ritirata verso Casalduni, mentre gli abitanti di quest’ultimo paese, unitisi a quelli di Pontelandolfo che avevano seguito la truppa, rendono vana ogni possibilità di ritirata. Lo scontro, impari, termina, dopo l’uccisione di alcuni soldati, con la resa. Condotti in Casalduni, essendosene il Sindaco Luigi Orsini lavato le mani, vengono portati poco discosto e quivi abbandonati alla ferocia assassina dei briganti e della popolazione, che li trucidarono orrendamente: sfuggono alla morte soltanto due soldati, uno portato poi in Pontelandolfo, dopo la sua abiura al Re Vittorio Emanuele II, e chiuso nella torre civica; l’altro fuggitivo verso San Lupo.
11 – Il giorno seguente, 12 agosto, un rapporto dell’Intendente di Cerreto Sannita al Dicastero dell’Interno in Napoli fa conoscere i particolari della strage. La sera stessa Cialdini, per mezzo del gen. Piola Caselli, da ordine al magg. Carlo Melegari di marciare su Pontelandolfo e Casalduni affinchè “non ne resti più pietra su pietra”. L’ordine include anche Pontelandolfo perché Cialdini non aveva ancora ricevuto notizie dell’avvenuta esecuzione del precedente analogo ordine dato a Negri.
12 – Il 13 agosto Melegari muove da Napoli con 4 compagnie di bersaglieri del 18° battaglione, per la via Consolare Sannitica e fa tappa a Solopaca. Nella sera riparte da Solopaca e durante la notte, si ferma a San Lupo per chiedere la collaborazione della G.N. al comando di Jacobelli.
13 -Alle prime luci dell’alba del fatidico 14 agosto Melegari è davanti a Casalduni. Quivi dispone la G.N. e una compagnia di truppa fuori dell’abitato, a protezione da eventuali attacchi alle spalle dei briganti, e quindi, con il resto dei soldati, entra nell’abitato. Vi trova pochi cittadini (gli altri, avvertiti del pericolo, erano fuggiti sui monti vicini). Ordina subito la rappresaglia sui pochi rimasti e l’incendio del paese.
Intanto Negri, informato il giorno precedente da Gallarini dell’ordine di Cialdini, muovendo da Benevento per la strada provinciale di Fragneto Monforte, arriva a Pontelandolfo, ignaro dell’analoga azione che Melegari sta conducendo contro Casalduni. Dopo un breve scontro con la banda di Cosimo Giordano, Negri entra in Pontelandolfo con i suoi 500 bersaglieri ed il supporto della G.N. mobile comandata da Giuseppe De Marco, forte di circa 200 militi.
14 – L’ordine di Negri è di trucidare tutta la popolazione, escluso donne e bambini. Purtroppo la truppa inferocita non rispetta quell’ordine (ma Negri ed i suoi ufficiali non fanno nulla per farlo eseguire) e vengono uccisi quanti capitano sfortunatamente nelle loro mani, compresi vecchi, donne e bambini. Alcune donne sono violentemente stuprate e poi finite a colpi di baionetta, alcuni vecchi, infermi, uccisi nel proprio letto. I soldati entrano nelle case, costringono gli abitanti ad uscirne e appena questi sono in strada, trovano ad attenderli un improvvisato plotone di esecuzione. Segue un saccheggio che non risparmia neppure gli arredi sacri. Poi le abitazioni vengono incendiate sistematicamente e a coloro che vi erano ancora nascosti tocca la triste sorte di essere arsi vivi.
15 – Terminata l’azione punitiva, Negri prende la strada di Benevento, facendo sosta a Fragneto Monforte, dove immediatamente invia a Cialdini il famoso telegramma “…Giustizia è fatta su Pontelandolfo e Casalduni, essi ardono ancora…”.
16 – Intanto Melegari, incendiato Casalduni, si reca, sulla carrozza di Jacobelli, a San Lupo, dove, ospite di quest’ultimo, pranza con i suoi ufficiali nel Palazzo Jacobelli.
17 – La mattina seguente parte alla volta di Napoli, facendo tappa a Solopaca. Quivi, nel cortile del castello ducale, ha luogo il mercato dei beni saccheggiati a Casalduni. Analogo mercato avevano fatto i soldati di Negri a Fragneto Monforte con il bottino di Pontelandolfo.
Questi i fatti.
Quanto al contenuto dell’articolo del dr. Boschiero ed alla replica del sig. Marabello credo sia utile fare qualche osservazione e precisazione.
Sull’articolo del dr. Boschiero:
a) – Il comandante del plotone massacrato a Casalduni si chiamava Cesare Augusto Bracci e non Luigi Augusto Bracci;
b) – non furono gli abitanti di Pontelandolfo e Casalduni a catturare i soldati, ma la banda di Angelo Pica; essi si limitarono a precludere loro ogni possibilità di ritirata;
c) – i bersaglieri superstiti al massacro furono due e non uno; uno dei due fuggì verso San Lupo, l’altro, un graduato, dopo una pubblica abiura, fu riportato a Pontelandolfo e rinchiuso nella torre, per esser poi liberato da Negri;
d) – Il 13 agosto Negri era a Benevento e non a Pontelandolfo, dove giunse all’alba del 14;
e) – quanto alle spoglie dei soldati è falso che esse fossero in Pontelandolfo, essendo il massacro, certamente fatto con inaudita ferocia, avvenuto a Casalduni. Quivi, secondo il racconto dello stesso Melegari, i bersaglieri, penetrati nelle abitazioni, gettavano dalle finestre divise e fucili con le cinte macchiate di sangue dei soldati uccisi, ma non brani dei loro corpi o teste mozze, che non furono mai rinvenuti;
f) – non vi fu alcuna fucilazione di briganti a Pontelandolfo, ma soltanto un breve scontro a fuoco con le truppe di Negri, che comportò la perdita di alcuni soldati; Cosimo Giordano e la sua banda si ritirarono quasi indenni, come risulta dagli atti del relativo processo;
g) – quanto alla obiettività delle fonti militari in quel periodo del tutto eccezionale nutro qualche motivata perplessità. Nell’Archivio storico di Napoli esiste una relazione fatta dal Comandante Generale dei Carabinieri al Ministero dell’Interno e Polizia nella quale si accusa Achille Jacobelli, Comandante della G.N. della zona, del saccheggio avvenuto a Casalduni: ci sono prove schiaccianti della falsità di questa accusa, che non fu neppure presa in considerazione dal Dicastero citato, né fu mai istruito alcun processo al riguardo. In realtà lo scopo di quell’atto era palesemente di far ricadere “sugli indigeni” la colpa del saccheggio, allontanandone la responsabilità dai veri autori, i soldati di Melegari (e lo stesso avevano fatto quelli di Negri a Pontelandolfo), per non sporcare l’immagine del Regio Esercito con una colpa così disonorevole;
h) – l’accusa di cannibalismo è poi assolutamente insostenibile, e, con buona pace di Marc Monnier che a Pontelandolfo e Casalduni non c’era, frutto di mera invenzione o di voci esagerate riportate “de relato” da quell’Autore; infatti nel processo che poi seguì per quei fatti non vi è alcuna traccia di episodi di antropofagia;
i) quanto all’ordine di attaccare Pontelandolfo esso fu preso prima dell’eccidio dei soldati, essendo il telegramma di Cialdini a Negri partito il 10 agosto alle ore 11.00;
l) – la decisione di Cialdini del 12 agosto (che riguardava anche Casalduni) fu presa sulla base della relazione dell’Intendente di Cerreto Sannita che riferiva essere stati quei bersaglieri “seviziati e fucilati” (sono le parole esatte del testo), ma senza riferimenti ai raccapriccianti racconti del loro eccidio (brandelli di carne, teste mozze, antropofagia).

Sull’articolo del sig. Marabello:
a) – i due paesi di Pontelandolfo e Casalduni all’epoca avevano rispettivamente 4.295 il primo, e 3.300 abitanti il secondo, assommando complessivamente a 7.595 abitanti e non a 12.000;
b) – l’ordine di distruggere i due paesi non fu dato a Melegari direttamente da Cialdini, ma dal gen. Piola Caselli, seppur su disposizione di Cialdini;
c) – i soldati del drappello sotto il comando di Bracci erano 44 e non 41 (40 bersaglieri e 4 carabinieri);
d) – non si può negare che il massacro, anzi il linciaggio, di Bracci e dei suoi soldati, “a freddo”, dopo che avevano gettato le armi e si erano arresi, fu un atto di violenza feroce ed ingiustificato, condotto con modalità e mezzi cruenti, brutali ed atroci.

Personalmente ritengo che la Storia non debba nascondere i misfatti compiuti da una parte e dall’altra. Il giudizio sulle motivazioni ideali che animavano le parti in conflitto è poi altra cosa.

P.S. Per le fonti documentali e bibliografiche, non potendole evidentemente riportare in questo breve scritto, suggerisco il mio libro:
* Ugo Simeone – “Achille Jacobelli – Il Cavaliere” – Ed. Comune di San Lupo – 2010.

Il libro, che contiene tutta la documentazione sui fatti descritti ed una vastissima bibliografia, non è in commercio, ma può essere richiesto gratuitamente al Comune di San Lupo (BN) dagli storici e dagli studiosi di queste vicende o da biblioteche o riviste che trattano la materia. Esso può comunque essere consultato presso gli Archi di Stato di Napoli, Caserta, Benevento e Campobasso, e presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, le Biblioteche Provinciali di Benevento e Campobasso e la Biblioteca del Sannio in Cerreto Sannita.

Dr. Ugo Simeone
Via Maltempo, 30
82034 – San Lupo (BN)
E mail: luposimeone@virgilio.it