Viola, Una Bambina

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 19° episodio VIOLA, UNA BAMBINA.
di Valentino Romano (*)

Orsogna, aprile del 1864
Di fronte alla tragicomica storia di Viola Scenna, una bambina di appena sette anni, e di suo fratello Dipendente, di undici, non si sa veramente se ridere o piangere. Di certo vi è che montano una rabbia incredibile e la voglia irrefrenabile di prendere a calci in culo a mitraglia tutti coloro che, ancora oggi, arzigogolano sulla liceità della legislazione eccezionale sulla repressione del brigantaggio, arrivando a sostenere che la “legge Pica” e la “legge Peruzzi”, tutto sommato, hanno introdotto garanzie per gli imputati.
Ad ogni modo, vincendo il disgusto, proviamo a raccontarla questa vicenda paradossale, partendo dagli antefatti:
Salvatore Scenna è “un famigerato brigante che da più anni va scorrendo la campagna a mano armata alla testa di molti suoi masnadieri, commettendo a più non possa delitti ed incendi nei tenimenti di Orsogna e adiacenti”. Ma non si riesce a catturarlo, sfugge a tutte “le non interrotte persecuzioni fattegli dalla forza”. Si deve allora escogitare un altro sistema per costringerlo alla resa: tutte le perlustrazioni, gli spostamenti, gli agguati e, persino, le taglie si sono fino ad ora mostrati inutili. È necessario ricorrere agli altri strumenti che la legge consente in questi casi e che, altrove, hanno dato prova di efficacia: bisogna tagliargli l’erba sotto i piedi, fare il vuoto intorno a lui, agendo contro tutti i manutengoli che lo sostengono, colpendolo anche negli affetti più cari. Come fare? È semplice, ha famiglia, basta metterne tutti i componenti in galera. Il pretesto? Suvvia, non è un problema. Eccone uno bell’e pronto: la famiglia non mostra di avere mezzi di sostentamento, eppure vive se non agiatamente almeno dignitosamente. Come si procura l’occorrente? Sosteniamo che Scenna corrisponde alla moglie parte del frutto delle sue scorrerie e il gioco è fatto.
Così, senza pensarci due volte, nell’aprile del 1864 tutta la famiglia del brigante viene fatta accomodare nelle patrie galere.
Il nucleo familiare di Salvatore è composto dalla moglie, Caterina Marinucci e da due figli, Dipendente di 11 anni e Viola di 7. In aggiunta Caterina è incinta: questa circostanza costituisce certamente prova “inefragabile” della complicità della donna che, essendo di riconosciuti buoni costumi, non può che essere stata ingravidata dal marito. Eh, sì, perché le donne del brigantaggio vengono fatte passare ora per “allegre” ora per “costumate” a seconda delle convenienze del momento. Qui, ai fini della costruzione dell’impianto accusatorio, conviene sottolineare come Caterina sia donna di timorati costumi e che quindi abbia rapporti carnali solo all’interno del talamo consacrato: in questo modo possiamo sostenere che veda di nascosto il marito per consumarli; ne può così logicamente derivare il fondato sospetto che, oltre all’adempimento dei doveri coniugali, fornisca al marito anche assistenza, cibo e notizie.
La voce pubblica poi, di suo, è pronta a sostenere che Salvatore raggiunga nottetempo la sua abitazione travestito “or da donna, or da altra foggia”.
La casa della famiglia Scenna viene perquisita minuziosamente ma non si rinviene nulla di sospetto. Pazienza, tutta la famiglia viene ugualmente depositata in carcere. È la logica della storia di quel marito che, pur in assenza di specifiche motivazioni, picchiava la moglie perché tanto qualche colpa doveva avercela …a prescindere.
Nel verbale di arresto i Reali Carabinieri poi, precisini come sempre, annotano anche i dati segnaletici dei bambini: Dipendente “è di statura piccola, capelli castani, naso piccolo, fronte bassa, occhi castani, bocca media, colorito naturale”; Viola “è di statura piccola, capelli castagni, occhi grigi, bocca piccola, colorito naturale”.
Si procede con l’istruttoria: Caterina conferma di essere incinta del marito ma spiega che nel settembre precedente è stata “minacciata” e ha dovuto avere rapporti con lui. Alcuni testi, chiamati a deporre, affermano che la donna possiede di suo “tre palmi di buon terreno che coltiva personalmente, bastevole a ricavarne tanto da alimentare una piccola famiglia”. Un altro testimone confessa di aver visto e Caterina portare nottetempo della frutta al marito “perché si moriva di fame”. Gli inquirenti, sempre per il tramite della voce pubblica, vengono a sapere che Dipendente sarebbe stato una settimana con il padre.
Però gli elementi raccolti sono pochi e pure contraddittori. Che fare? Si decide allora di interrogare i bambini: magari nella loro ingenuità sveleranno qualcosa. E il giudice che non si vergogna di procedere a questo aberrante atto istruttorio rispetta fino in fondo le modalità degli interrogatori degli indiziati adulti. Scrive, infatti, nel verbale che “vengono condotti davanti a lui sciolti da ogni legame i fanciullini”. Ci mancherebbe pure che li interrogasse in catene e con la palla al piede!; Tutto il verbale ha qualcosa di kafkiano : il giudice annota che “l’età scorgesi dagli atti”, cioè l’ha dovuta leggere sulle carte(perché non te ne accorgeva solo guardandoli?); registra sconsolato che “essi non sono stati a portata di dare alcuna risposta alle tante reiterate interrogazioni ricevute con ogni buona grazia” (e cosa si aspettava che gli rivelassero le trame occulte del brigantaggio?); spiega infine a futura memoria della propria dabbenaggine, che “a malapena hanno potuto dichiarare il proprio nome con una pronuncia tutta propria della loro età”; cosicché in continuazione han prorotto in pianto”(eh, già! Questi incalliti delinquenti sanno difendersi solo … piangendo. Farabutti!).
In calce al verbale il cancelliere diligentemente nota che il “giudice a questo punto ha stimato di licenziarli ed inviare ai loro posti dopo averli alquanto calmati”. Tenero! Ai “loro posti”, cioè … in carcere.
L’Istruttoria passa al giudice di mandamento che chiede il certificato penale per tutti di tutti gli imputati. Cioè anche per … Dipendente e Viola. È un atto dovuto, si sarà detto. E dal momento che alla stupidità della burocrazia non vi è mai limite, lo ottiene pure: a carico di Caterina … non risulta niente. A carico di Dipendente vi è “una grassazione di un fucile del valore di lire 20,00, qualificato nel tempo e da violenza mercé minacce a mano armata in Orsogna la notte dall’uno al 2 novembre 1861 in pregiudizio di due individui. Eccolo qua il pericoloso delinquente, lo abbiamo beccato alla fine. Beh, però … considerato che Dipendente è nato nel 1853 e che il reato ascrittogli sarebbe stato consumato nel 1861 se ne ricava che il ragazzo avrebbe costretto all’età di otto anni due adulti a consegnargli, notte tempo e a mano armata, un fucile. Enfant terrible, davvero! Possibile che a lorsignori giudici non sia venuto in mente che potesse trattarsi di un errore? Boh! Con questi cafoni non si può mai essere certi di nulla.
Ah, dimenticavo: c’è pure la fede penale di Viola che stranamente, risulta immacolata: eppure, a scavare bene, qualche ciliegia l’avrà pure rubata nell’orto del vicino.
Il fascicolo passa l’avvocato fiscale che in tutta questa miserevole storia appare l’unica persona dotata di buon senso. Vale allora la pena di leggere un brano della sua requisitoria: “… considerando come, ammesso anche che i fatti portati a carico della famiglia Scenna tutti sussistessero (del ché peraltro si può ragione dubitarsi di fronte all’esito della procedura) pur non ostante sarebbe immorale e contrario alla giustizia ascrivere il reato a una moglie e a due piccoli fanciulli l’aver portato dal proprio padre e marito quegli aiuti che la natura stessa impone, attesi i vincoli di affezione e di sangue senza aver riguardo alla vita che il genitore conduce…” Un po’ di buonsenso e umanità alla fine!
L’Avvocato fiscale, pertanto, dispone che tutti i detenuti “siano immediatamente abilitati dal carcere”.
E finalmente, dopo due mesi di inutile carcere, la famiglia Scenna viene liberata: ogni esigenza cautelare è caduta anche perché, nel frattempo, Salvatore è incappato per altre vie nelle mani della giustizia.
Non conosco altro degli uomini di legge implicati nella vicenda, cioè del giudice istruttore, di quello di mandamento e dell’avvocato fiscale, ma ho il fondato sospetto che solo quest’ultimo non abbia fatto carriera: infatti è l’unico ad aver dimostrato buon senso e autonomia di pensiero. Il che, anche nel periodo storico considerato, non fa curriculum. Anzi!
Viola entra ed esce dalla grande Storia all’età di otto anni: da allora se ne perdono le tracce. Ma non ci vuole una zingara che capire che difficilmente avrà mai dimenticato questa incredibile vicenda; come altrettanto difficilmente avrà guardato allo Stato e alle sue strane regole con empatia. Anche lei avrà ingrossato la folta schiera di quei contadini per i quali “lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall’altra parte”, secondo il famoso aforisma di Carlo Levi. In questo caso c’è qualcuno che si azzarderebbe a darle torto?
Buona domenica, amici.

(*) Promotore Carta di Venosa

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