La Tavola Alimentaria – Garrucci Raffaele

COP2 GARRUCCI VOL IGARRUCCI, Raffaele. (Archeologia)
Dissertazioni archeologiciie di vario argomento vol.2. Roma, tipografia de propaganfa fide, 1865.
pag 40-45

TAVOLA ALIMENTARIA

I lettori delle Dissertazioni rimembrano che nel volume precedente a pagina 130 ho promesso di trattare alcune questioni mosse tempo fa intorno alla instituzione degli alimenti, a proposito della Tavola alimentaria dei Liguri bebiani. Esporrò adunque ciò che me ne sembra dopo venti anni da che misi alla luce le Antichità e i Monumenta di questo popolo (Napoli 1845, Romae 1846), nei quali sostenni tutt’altra sentenza da coloro che mi avevano preceduto, né poi ho dovuto mutar parere poscia che ebbi lette le loro sentenze.

Comincerò a ricordare come nell’Italia ai tempi di Nerva abbondando i fanciulli nati da parenti poveri, parve a questo imperatore di ordinare che fossero essi alimentati a publiche spese. (Aur. Vict. in vita): Puellas pucrosque natus parentibiis egestosis sumpto publico per Italiae oppida ali iussit.
Come venne poi Traiano il quale stabilì meglio e rese perpetuo quest’ordinamento erogando a ciò buone somme ai publici e privati possessori sulla obligazione dei loro fondi , onde il frutto di quel denaro imperiale si dividesse ai fanciulli poveri. Ciò quanto alle città d’Italia: ma quanto a Roma egli non altro
fece che l’ordinazione stanziata già da Nerva per le città d’Italia. Imperocché siccome quell’ augusto aveva comandato che i fanciulli italiani poveri si alimentassero a publiche spese publicis sumptibus ali iussit (Vict. loc. cit.), così Traiano statuì che i fanciulli romani ingenui e poveri sumptibus publicis ale-
rentur (Plin. Paneg. e. 28).
Del denaro erogato da Traiano per le città d’Italia e delle obligazioni dei fondi non fa niun cenno neanche di lontano il Panegirista delle sue imprese, quantunque con tanto studio si trattenga a vantar le presenti liberalità e a vagheggiar le future promettondosi iterate inscrizioni dei romani fanciulli nelle tavole degli alimenti (Pan. e. XXVIII): maiorem infantium turbam iterum atque iterum iubebis incidi.

 

tabula

La Tabula alimentaria – Contiene le disposizioni dell’imperatore Traiano per l’istituzione di un prestito ipotecario concesso direttamente dal patrimonio personale dell’imperatore

Adunque l’instituzione di questi alimenti che ricavavansi dal denaro dato ad usura per le città d’Italia ed era assicurato colle obligazioni dei fondi (1), non aveva ancora avuto luogo il mese di settembre dell’anno 853, quando Plinio recitò in senato quella orazione. Intanto la tavola bebiana nel primo nundino consolare dell’ 854 conta già la decima obligazione prediale.

(1) Sub obligatione fundi pecuniam mutuam accipere dicesi nel framm.’28. §. 1. ad . c. Vell. 16, 1.

Dico primo nundino, perocché a tutti è ben noto il costume di questa epoca, che i fasci dei privati non durassero tutto intero l’anno: anzi, se dobbiamo prestar fede alla lettera del Noris recata dal Muratori, Articuleio avrebbe deposto i fasci prima delle calende di Marzo; nel qual giorno per testimonianza del
marmo letto dal citato Noris a lui era succeduto Cornelio Scipione Orfito in quella carica.
Questa coincidenza della decima obligazione alimentaria col primo nundino dell’anno 854 è tutto ciò che per l’istoria della istituzione alimentaria ci ha rivelato la famosa tavola dei Liguri Bebiani : nulladimeno può invece dirsi che è stato questo lo scoglio nel quale hanno rotto sinora gl’interpreti.
Per isciogliere questo problema vi fu chi suppose che le obligazioni si proponessero ogni semestre (Henzen Ann. 1843 p. lo): ma il Borghesi osservò, che le obligazioni non avrebbero potuto essere semestri, se le usure erano annali; e inoltre che i magistrati preposti dall’imperatore a questo negozio erano annui quali li dimostra la tavola veleiate. Per altra parte io opposi (Monumenta reip. Lig. baeb.) che dall’ 850 (principio dell’impero di Nerva dal quale si potevano cominciare a contare i dieci semestri) sino ai primi mesi dell’ 834, epoca della tavola bebiana, non potevano aversi se non nove semestri: non era dunque possibile ammettere questa sentenza.

Del resto quando ancora fossero veramente dieci i semestri, e non si potessero condannare le obligazioni semestri resterebbe tuttavia da provare che l’istituzione delle obligazioni avesse avuto realmente origine da Nerva, e dall’ 850, il che non si è a quanto mi sembra finora dimostrato. Che Nerva avesse imposto alle città d’ Italia di alimentare a publiche spese i fanciulli poveri, e che una tale istituzione fosse poscia da Traiano copiata pei fanciulli poveri di Roma, questo è quanto ci narrano gli scrittori: ma io non so dove si legga, che Nerva istituisse ed ordinasse di obligare i fondi pel denaro dato da lui ad usura, e di convertirne i pagamenti a beneficio dei fonciulli poveri, instituzione che tutta devesi a Traiano, ond’è che Capitolino (in Pert.) a lui l’attribuisce. D’esserne poi Traiano solo l’organizzatore, come altri interpreta, nè gli storici, nè Plinio fanno nascere neanche un sospetto; laddove almeno quest’ultimo avrebbe dovuto non solo nominare, ma levare a cielo una tale munificenza, che vuolsi stabilita già da due anni quando egli recitò il celebratissimo Panegirico, nel quale, come ho detto, tanto loda gli alimenti assegnati da Traiano ai fanciulli poveri di Roma.

Per le quali ragioni pur altra volta da me proposte (Monum. Lig. baeb. pag. 3, 4) convenendo rinunziare a riconoscere Nerva per autore delle obligazioni, ci sarà forza conchiudere, che le dieci obligazioni siano state emesse alla fine dell’ 853 e che abbiano cominciato a decorrere dal genn. dell’ 834, quando cioè fu distribuito il denaro. Che poi le somme non si distribuissero necessariamente prima della soscrizione alle obligazioni parmi risulti dalla formola Veleiate accipere debet et fundum ss. obligare; onde è manifesto che quando la tavola veleiate fu incisa la promessa moneta non si era per anco data a frutto. Io pongo altresì che altre obligazioni si emettessero per tutto l’anno 54, e pei seguenti 55 e 56, nel quale ultimo forza è che Traiano abbia compiuta l’opera generosa diretta a ristorare le forze della republica col migliorare la deplorabile condizione delle città d’Italia. Prova per me indubitata di fatto sono le monete colla epigrafe RESTitutori ITALiae ovvero
ALlMenta ITALIAE battute non prima dell’ 837; ed è notissimo che le monete hanno come monumenti publici una forza assolutamente dimostrativa, sapendosi inoltre che l’uso fu di conservare in esse la memoria dei fatti poco prima compiuti e talvolta non ancora condotti a fine (Borghesi, Arco di Rimini pag. 31 segg.)

Ad una nuova istituzione erano necessarii nuovi magistrati: fu adunque stabilito da Traiano un capo al quale diè titolo di praefectus alimentorum.
I primi che si sappiano ornati di tal prefettura ci son rivelati dai monumenti.
La tavola di Veleia ne nomina due, uno dei quali ci è confermato da una epigrafe di Ferentino. Questi è Pomponio Basso del quale sappiamo ancora dalla precitata epigrafe che era in ufficio l’anno 855 al 19 di ottobre quando gli fu steso il decreto di patronato dai Ferentinesi. Di costui ci narra Plinio che dopo percorse le più alte cariche ritirossi a vita privata nella sua villa.
A lui nell’857 egli scrisse (l. IV, ep. 23) augurandosi un egual riposo dai publici impieghi. Ma se la tavola Veleiate preponendogli nel nominarlo Cornelio
Gallicano dà bastevole fondamento a stimare che anteriormente avesse sostenuto l’ufficio di prefetto degli alimenti, ce ne rende poi certi alla col. 7, 36
ove noverando i fondi obligati sotto la prefettura di lui non altro titolo dà a Traiano se non se quello di Germanico. Onde che la prefettura di Gallicano deve essere caduta prima dell’836 nel quale anno a Traiano fu aggiunta la salutazione di Dacico. E poiché l’anno 855 abbiamo veduto esser occupato da Basso, non rimane se non che Gallicano sia stato in quel posto l’854, cioè nell’anno in che i Bebiani obligarono i loro fondi. A costoro per altro non piacque di distinguere per numero le obligazioni come fecero i Veleiati, ma prescelsero distinguerle col nome dei prefetti.
Fin a tanto che durò quest’ordinamento di Traiano, ai prefetti degli alimenti, uomini pretorii o consolari , furono dati per uffiziali i procuratori ad alimenta : ma di poi deve esser piaciuto di assegnare tal cura a quegli uomini pretorii ai quali per instituzione di Augusto era affidata la prefettura delle otto vie d’ Italia: imperocché noi leggiamo che costoro si chiamano praefecti alimcntorum per alcuna via: a modo di esempio n.n. praefeclus alimentorum per Aemiliam. L’anno precìso in che tal nuova forma di amministrazione fosse introdotta non ci è noto: né, quantunque si tenga oggi col Borghesi che questa si debba a M. Aurelio, del quale si legge che multa de alimentis prudenter invenit, può nondimeno dirsi cosa dimostrata, finché ignoriamo se Rutiliano (Or. 6499) fu prefetto degli alimenti e della Emilia prima o dopo il consolato. Perocché posto che ei sia stato prima, questa cumulata prefettura antecederà l’886, (133 di G. C), e dovrassi dire instituita da Traiano ovvero da Adriano: se dopo, egli ne sarà stato investito 29 anni almeno dopo il consolato, onde se ne possa assegnare l’instituzione a M. Aurelio. Detto così il parer mio sopra i principali punti della instituzione alimentaria panni utile aggiungere poche note al celebre monumento che io il primo diedi alla luce per intero nelle Antichità dei Liguri bebiani, e di poi assai più correttamente nei Monumenta Reip. Ligurum baebianorum.
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NERVATRAIANOAVC 3 IIII

ARTICVLEIO PAETO

IMAXIMIQPRINCIPISOBLIG AR\ NTPRA . lO LIGVRES ^ RABBIA’

rEXINDVLGENTlAEIVSPVERIPVAELLAEQA CCIPIANT

Le due prime linee facilmente si suppliscono (Imp. Caes.) Nerva Traiano aug. g(ermanic)o III (Q. Articuleio Paeto (II. Cos). Nella terza linea è assai probabile che si leggesse da principio Munificentia per le ragioni che allegai nelle Antich. dei Liguri p. 24, e ripetei nei Monum. reip. Lig. p. 11, e pei testi epigrafici antichi ivi anche da me prodotti, nei quali si legge questo vocabolo tanto in proposito di Traiano (Fabr.p. 686, 91 oh MVNIFICENTIAM eius); quanto degli uffiziali preposti agli alimenti (Or. 393, 1, Grut. 446, 7; 652,2). Il Borghesi (Bull. Inst. 1835, pi 46) aveva supplito ob liberalitatem, e questa voce ha pure un confronto presso il Muratori (969,9, EX LIBERALITATE). Dopo munificentia doveva seguire il titolo encomiativo dato a Traiano ; però tutti siamo concordi a supplire optimi: e così si dovrà leggere la linea terza e la quarta, salvo soltanto il supplemento alla seconda lacuna della linea terza, come ora vedremo, e l’aggiunta et Corneliani alla quarta, che io non approvai e tuttavia non giudico probabile. Lessi adunque, e supplii così: (Munificentia optim)i maximique principis obligarunt pra(edia sestertio) Ligures baebia(ni u)t ex indulgentia eius pueri pu(e)llaeq. a(limenta a)ccipiant.
Intorno al supplemento sestertio della enunciata lacuna ne giovi ora riferire quanto mi scrisse il Borghesi il 24 novembre 1855.
“Fin da quando ebbi la prima conoscenza della tavola alimentare Bebiana trovai molto arduo il supplemento della lacuna obligarunt PRAEdia…IO, perchè l’ultima parola
contiene manifestamente un senso accessorio non richiamato dal contesto il quale corre egregiamente anche senza di lei, onde rimane libero il campo a svariatissime conghietture. Fu perciò che nella mia lettera al Kellermann non avendo cosa più fondata da proporre, giacchè non m’ era riuscito di trovare altro esempio analogo, amai meglio di lasciar correre il de proprio del Guarini, ed anche dopo che un più diligente esame ha escluso la R da quel luogo credo più facile il dire ciò che non vi può essere stato, che ciò che vi fosse”.
Questa lettera mi fu scritta alfine di chiarire il senso nel quale il Borghesi aveva chiamata l’usura del due e mezzo per cento usura sestertia ovvero sestertiaria, senso non diverso da quello, che io medesimo dava alla voce sestertio, cioè del due e mezzo per cento: poiché in tal tempo era
in uso di nominar le usure non solo con le frazioni dell’asse, ma anche colle stesse frazioni del denario,onde nella tavola veleiate si leggono le usurae quincun-
ces, mentre che Plinio usa la locuzione duodenis assibus mutuari (Risposta ecc., p. S, segg.)- Quindi è che occupare, collocare fundum, pecuniam nummo ex. c. vicesimo, notossi da Gronovio (Senec. De benef.V, 9) qual locuzione atta a significare l’usura del venti per cento (1). Publicando le Antichità dei Liguri io notai espressamente che il supplemento obligarunt praf(edia sester)tio mi era stato suggerito dall’usura del due e mezzo per cento, e dal vedere inoltre che una delle poche cose le quali sembravano richiedersi dalla epigrafe era a stretti conti o la somma ricevuta ovvero il frutto che per essa si obligavano a pagare. Nella simile formola della veleiate leggiamo memorarsi l’ammontar del capitale dato a frutto dall’ imperatore e inoltre la somma della usura: in questa dei Bebiani sarebbesi omessa la menzione della somma affidata, e notata soltanlo la somma del frutto, nè poi il volere memorar l’una induce logicamente la necessità di registrar l’altra. Aggiungasi che in forza del
superstite IIO è necessario supporre qui un vocabolo la cui antepenultima lettera non sia un I ma invece la penultima.

(1) Il Mommsen stimò (Bull. 1845)p. 85) di aver trovato « come giurisprudente che egli era quattro errori nel solo supplemento della terza riga e risguardante una parola sola SESTERTIO.
Il primo che nummus sestertius sono due assi e mezzo e per due e mezzo per cento facea mestieri d’una espressione che significasse due e mezzo vale a dire sextans et semuncia. “Come egli qui mostrò aver obliato l’altra maniera di contare le usure che ho ricordata nel testo e sulla quale riporterò appresso la sentenza del Borghesi, cosi non farà bisogno rispondergli. L’altro sbaglio da me fatto che egli appella grammaticale (p. 89) consiste in ciò che io scrivo « obligare sestertio invece di sestertia o sestertiaria come almeno si richiedeva. A cui risponde il Gronovio , ove insegna, che collocare numo vicesimo pecuniam vuol dire al venti per, cento, e risposi già io a pag. 12, allegandogli il quincunces modesto e l’avidos deunces di Persio, e risponderà il Furlanetto nella lettera che darò qui appresso approvando il supplemento sestertio, anzi preferendolo ad ogni altro: e parmi che il Furlanetto non avrebbe approvato un supplemento erroneo in grammatica.

Al qual proposito fa luogo richiamare alla memoria ciò che anche dalle ripetute osservazioni del diligentissimo ed accuratissimo sig. Cav. De Agostini riferirò appresso, non avervi cioè luogo a supplire un T avanti l’O, perchè quella lettera è appexia monca e in maniera da non potersi credere perita del tutto (se vi fosse stata) l’asta traversa. In forza di questa osservazione parmi non possa darsi luogo alla formola ex proposito surrogata dal eh. Mommsen. 11 qual supplemento ha anche l’altro difetto di non potersi rinchiudere nella lacuna: e quand’anche si volessero stringere gli spazii delle lettere sì che vi entrino tutte, nulladimeno
si vedrebhe risultare l’inverosimiglianza: perocché ove ogni scrittura suole essere bene spazieggiata in principio e solo ristringersi in fine, ove manchi
il luogo, qui invece perdurerebbe ristrettissiiiia fino alle tre ultime lettere ove giunta ella improvvisamente si allargherebbe; il che ognuno può giudicare quanto strana cosa sarebbe. Stimo poi che niuno vorrà in tal caso prendere il ripiego di abbreviare l’anteiiedenle PRAef//a in PRAerf, perchè oltre ad esser una debole risorsa, e sfavorevolissima all’ interprete, neanche si potrebbe con ciò un tale accorciamento giustificare, vedendo che il resto della formola è interamente disteso, e che questo è un vocabolo, nel quale l’abbreviatura e il troncamento sarebbe meno ragionevole, che in qualunque altra voce.

Riguardo poi al giudizio dato dai dotti intorno al duplice supplemento prememorato, posso qui riferire l’autevolissimo del Furlanetto, il quale con tali termini ne scrisse a me il 12 giugno del 18 40: « La sua Risposta alle osservazioni fatte dall’ Instituto di corrispondenza archeologica mi sembra scritta con molto criterio e con lodevole moderazione. Convengo nella sua opinione riguardo al scstcvtio della terza linea, giacché come scrissi da molto tempo al eh. Borghesi non mi fa piacere né il de proprio, e neppure Vex proposito, e piuttosto mi persuadono le ragioni da Lei addotte a sostegno della prima lezione, riguardo alla quale ho già notato nel Lessico lat. la sua osservazione, che il Forcellini alla V. sestertius §.5 ha inopportunamente citato il luogo di Seneca ep. 95, §.4l; avendo ivi la voce sestertio un senso diverso.»

[…]DA PAG 46