VENDUTA PER UN CAVALLO?.

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 8° episodio
VENDUTA PER UN CAVALLO?.
di Valentino Romano (*)
Giuseppina Vitale, bottegaia, nacque il 29 maggio 1841 a Bisaccia. È diventata famosa per la foto che la ritrae insieme a Maria Giovanna Tito e a Filomena Pennacchio nel carcere di Melfi.
Era la donna di Agostino Sacchitiello: costui dovette amarla veramente, dal momento che in un interrogatorio reso dopo la cattura la definì prima “mia amata promessa sposa” e poi, ancor più teneramente, “la mia Beppina”.
La donna si sarebbe data al brigantaggio per colpa di un … cavallo!
Questo, almeno, è quanto ebbe a raccontare gali inquirenti nell’interrogatorio del 2 dicembre 1864:
“… tre anni orsono fu tolto dai briganti a mio padre un suo cavallo nel bosco Frasca, e precisamente dalla banda Sacchitiello. Bramando di riaverne il cavallo, che gli era caro, si rivolse alla madre di Sacchitiello che abitava in Bisaccia, pregandola volersi interessare presso il di lei figlio, onde gli fosse restituito l’animale. Dopo alcuni giorni, la detta donna disse a mio padre che aveva parlato col proprio figlio, e che se voleva il cavallo andasse alla masseria di proprietà di certo Lucarelli denominata la Casina, poco distante dal paese, e che se con lui avesse condotto me pure, essendo intenzione di suo figlio di vedermi e parlarmi. Mio padre volle seguire il consiglio di quella donna, e una sera presami sottobraccio mi condusse in detta Casina ove già si trovava il Sacchitiello. Appena quest’ultimo mi vide disse a mio padre che si sentiva innamorato di me e che voleva farmi sua. Temendo mio padre che una negativa avesse potuto portar danno a lui e a me, accondiscese ai desideri di quel brigante. Dopo tale promessa che ho dovuto anch’io confermare fummo rimandati senza molestia e ce ne tornammo in paese col cavallo”.
Giuseppina, insomma, sarebbe stata barattata dal padre in cambio di un cavallo! Seguiamone ancora il racconto:
“Nel ventuno mese di luglio venne da me una donna per nome Maria Lapenna di Bisaccia, e mi disse che mia madre mi voleva la nostra campagna che dista alcune miglia dal paese, e che vi fossi andata subito portando vino e roba da mangiare. Credendo vero quanto quella perfida donna mi disse, tolsi su ogni cosa. E mi avviai verso il podere. Invece di trovarvi la madre, come supponevo, vi era Sacchitiello che tosto mi prese e mi condusse seco lui al bosco. La donna che fece la mezzana al Sacchitiello ricevette in compenso per la sua infame azione quaranta piastre”.
Sacchitiello la tenne presso di sé per un paio di mesi.
Poi la condusse “presso d. Nicola Amorosi, proprietario di Monteverde dove stette per quattro o cinque mesi. Ritornò altra volta in campagna e poscia per mezzo di Nicola Nigro, pastore di Monteverde, il quale aveva continua relazione coi briganti somministrando armi e quanto loro bisognava, fu condotta in casa di Nicola Spirito, massaro pure di Monteverde. Qui vi si trattenne tre o quattro mesi. Indi fu richiamata dal Sacchitello e condotta dal medesimo in casa del Massaro Vito Zarrilli di Calitri ove si trattenne per cinque o sei mesi e in tale periodo di tempo diede alla luce una bambina. Da detta casa passò nell’altra di un tale Luigi di cui ignoro il cognome, ma ch’è figlio di un tale Leonardo soprannominato lo Carianese, e vi si trattenne per tre o quattro mesi. Fa notare però che i mesi di settembre ottobre novembre dicembre del 1863, è stata in Avellino, Napoli ed altri paesi per divertirsi in unione di Giuseppe Laurisi, calzolaio di Ronchetella al quale fu consegnata da Agostino Sacchitiello nel bosco di Sassano, Aquilonia, fornendogli al proposito il denaro necessario. In casa del Ferdinando Laurisi (figlio di Giuseppe) vi stetti per due mesi circa e, proprio dal Giuseppe fui condotta in Avellino ove stetti altri due mesi alloggiato in una locanda fuori il largo dell’Intendenza…; un giorno venne il Giuseppe Laurisi a detta locanda e mi portò con lui a Napoli per vedere quella città. E quindi mi ricondusse al bosco presso Sacchitiello”.
Non possiamo dire se il racconto della donna sia veritiero o meno. Pare, comunque, almeno dubbio che Sacchitielleo, se veramente innamorato della donna, abbia potuto consentire “sollazzi” vari della sua donna in quel di Napoli e dintorni. Ma tutto può essere. A parte tutto ciò l’analisi di questo brano dell’interrogatorio di Giuseppina, oltre a confermare l’esistenza di una ben ramificata rete di manutengoli della banda, costituisce la prova indiretta della volontà della brigantessa di darsi alla macchia: è impossibile, infatti, che alla donna nel suo continuo spostarsi da una casa all’altra, soggiornando pure – come detto – ad Avellino e a Napoli per “divertirsi” non si fosse mai presentata una qualsivoglia possibilità di costituirsi. Vi è da aggiungere che, a tal proposito e a sua parziale giustificazione, Giuseppina dichiarò: “sarei fuggita volentieri se avessi potuto, ma ero sempre tenuta d’occhio, e mai mi lasciarono sola; a tal segno che dovevo dormire in mezzo a due altre donne, appunto perché non potessi nottetempo fuggirmene”.
Alla fine, Sacchitello con i suoi compagni, avendo forse intuito l’inutilità di continuare a darsi alla macchia decise di presentarsi alla giustizia. È proprio Giuseppina a confermarcelo:
“un mese prima di entrare in casa Rago, Agostino Sacchitello scrisse a Francesco Michele Stanco di Calitri annunciandogli che voleva presentarsi. Esso gli rispose che si presentasse pure, anzi osservo che fu suo figlio in assenza del padre che gli rispose facendogli istanza onde mettesse ad effetto tale suo divisamento. Ed infatti un mese dopo entrammo in casa Rago per ciò eseguire e ivi fummo traditi e non potremmo più mettere ad effetto tra le nostre disegno come ho detto”.
Il brano successivo dell’interrogatorio dimostra ancora una volta come intorno alle bande brigantesche, ruotasse un’interminabile serie di inconfessabili interessi dei cosiddetti galantuomini ch,e stando sapientemente dietro le quinte, si arricchirono giungendo addirittura al punto di appropriarsi del ricavato delle ruberie dei briganti.
“Nel mese di novembre ultimo avendo intenzione tanto lei che i briganti Agostino e Vito Sacchitiello e Francesco Gentile di presentarsi, fecero sapere questa loro intenzione al compare della dichiarante don Michele Rago di Bisaccia, e si portarono presso il medesimo. Quando vi giunsero diedero al detto Rago ducati duecento a titolo di compenso per l’ospitalità che loro aspettava, ed altri ducati quattrocento consegnarono alla famiglia di lui, quale forma idonea tenersi da loro in deposito e somministrarsi in misura che bisognava quando si trovavano nel carcere”.
Così Giuseppina descrisse le fasi precedenti alla sua cattura:
“In una sera il Rago li fece nascondere in un sotterraneo di quella casa” [e più precisamente la casa di Donato Rago, zio di Michele] dicendo che in quella notte la truppa doveva praticare una visita domiciliare e per conseguenza non voleva avere la vergogna di farli rinvenire in sua casa e che riuscita infruttuosa la visita, avrebbe fatto avvenire la presentazione dopo altri pochi giorni”.
Quella sera – era il 25 novembre del 1864 – Michele Rago che evidentemente ignorava ancora di essere stato denunciato da Filomena Pennacchio, collaborava ipocritamente con il maggiore Galli, comandante del reparto di cavalleggeri di Lucca, di stanza in quella zona. Scopo dell’operazione militare in corso era la cattura di alcuni individui coinvolti nel sequestro di un proprietario ad opera del brigante Pasquale Di Tore, Callarulo. I soldati avevano discretamente bloccato tutte le vie d’accesso al paese: tutto era ormai pronto quando, alle 22 circa fu recapitato un messaggio “pressantissimo” del generale Pallavicini che ordinava l’immediato arresto del Rago e l’irruzione nelle case a lui riconducibili. Il maggiore Galli trasalì, ma la perentorietà dell’ordine non ammetteva repliche o indugi: convocato il Rago nel suo ufficio, lo arrestò all’istante. Sulle prime Rago negò tutto, ma quando Galli fece presente che lo avrebbe personalmente ritenuto responsabile dell’eventuale morte di qualcuno dei soldati impiegato nella ricerca dei briganti e che, di conseguenza, lo avrebbe fatto fucilare sul posto, il losco individuo fu costretto ad ammettere le sue colpe e indicò casa sua come luogo di rifugio di Agostino e Vito Sacchitiello, di Francesco Gentile e di Giuseppina Vitale; ammise anche e la ex druda di Crocco, Maria Giovanna Tito, era nascosta in casa di suo zio Donato. I soldati irruppero nelle due abitazioni e catturarono i ricercati. Giuseppina, a questo punto, non aveva più nulla da perdere: poteva solo trarre vantaggi della collaborazione con le forze dell’ordine facendo il nome di altri manutengoli. Anche lei, come tutte le altre brigantesse cercò di alleggerire la sua posizione, dichiarando che:
“in nessun attacco si è trovata unita con Sacchitiello, e solo nei primi tempi e precise sette o otto giorni dopo di essere stata rapita, nel bosco Perillo o masseria di San Carlo nelle Puglie, di notte furono assaliti dalla truppa, ma fuggirono senza far fuoco”.
La donna, invece, in abiti maschili e con le armi in pugno, aveva sempre seguito la banda del suo uomo: era con lui l’11 settembre del 1862 in occasione del conflitto con il 20° Bersaglieri alla masseria Monterosso, fra Macedonia e Carbonara e nello scontro con gli ussari di Piacenza dell’8 maggio a Calitri. Lo era anche in tutti gli altri conflitti: il 9 novembre del 1862 nelle vicinanze di Ascoli, per esempio, partecipò al furto di due giumente, di un cavallo, di venti sacchi di tela e di un cappotto.
Giuseppina il 30 giugno del 1865 fu condannata a venti anni di lavori forzati, ridotti poi a dieci il 22 aprile 1868.
Fin qui le notizie, finora conosciute, sul conto della donna. Resta il dubbio: si dette volontariamente al brigantaggio o a causa di un baratto? Seguì il suo uomo per amore o perché costretta?
Alla prima domanda non saprei rispondere con certezza. Se penso a quanta importanza avesse all’epoca un animale domestico nell’economia familiare, potrei propendere per la seconda ipotesi, quella del baratto. Pani Rossi nella sua Basilicata, rudemente ma realisticamente, sostiene infatti, come in quell’economia il maiale venisse prima di una donna, essendo il primo indispensabile alla sopravvivenza della famiglia più della seconda. Probabilmente la verità – come al solito – sta nel mezzo: l’interesse della famiglia per il cavallo potrebbe essere andata a nozze con l’acquiescenza di Giuseppina a seguire l’uomo che se ne dichiarava innamorato. Il che, se fosse accertato per vero, darebbe la risposta anche alla seconda domanda.
Ma negli scavi biografici delle “donne del brigantaggio” il principale problema sta proprio nelle “risposte”: quasi sempre dovrebbero restare ipotetiche, circondate dall’alea del dubbio. Proprio quest’ultimo dovrebbe essere il metodo storiografico principe, da adottare sempre. E, invece, la stragrande maggioranza di chi si occupa di queste poverette, sa solamente presentare “certezze”, magari facendo forzatamente indossare loro la giacchetta stretta delle proprie ideologie preconcette. Ma di questo … in seguito!
Intanto, buona domenica a tutti.
(*) Promotore Carta di Venosa

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