Carlo Becchio -Diario di Nino Bixio da “La spedizione dei Mille”

laspedizionedeim00dona_Pagina_003Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “La spedizione dei Mille” di Federico Donaver-Genova 1910

PAG.86 – 90

Si narra da Carlo Becchio (V. Rivista storica del Risorgimento, v. I, pagg. 188 e seg.) ch’era nel ’60 maresciallo dei carabinieri comandante della stazione al porto di Genova, che la notte del 5 maggio dalle 12 alle 2 il servizio di ronda in mare era fatto dal vicebrigadiere Fraschini e dal timoniere Cossa Luigi. Avvicinandosi costoro al lombardo s’accorsero ch’era sulle mosse di patire segretamente, e saliti a bordo vi trovarono molti giovani armati; ma Bixio e gli altri che stavano dirigendo imposero ai due agenti di tacere. Scesi a terra riferirono subito l’accaduto al Capitano del porto che, secondo narrò lo stesso Becchio, chiamò il maresciallo dei carabinieri, lo informò della cosa e gli fece vedere i rapporti che aveva scritto da mandare al Ministero, al Governatore e all’Ammiragliato ; ma il maresciallo dopo lungo colloquio dice che riuscì a fargli bruciare i rapporti. Sarà stata l’eloquenza patriottica del Becchio che avrà persuaso il Capitano di porto, oppure questi non avrà operato in quella guisa per istruzioni avute?
Assestate le cose a bordo, accese le macchine, verso le 2 antimeridiane del 6 i vapori si staccarono, il Lombardo a rimorchio del Piemonte, perchè in quello la maccchina non funzionava ancora regolarmente, e uscirono dal porto senza trovare incagli di sorta.
Fuori del porto s’imbatteronoin una barca sulla quale era Garibaldi che impaziente era venuto loro incontro e salì a bordo del Piemonte, poi dalla Foce in su trovarono molte barcaccie nelle quali erano volontari, il carbone, le provviste, delle armi e delle munizioni, imbarcando ogni cosa. Arrivarono finalmente rimpetto a Quarto, dove si avvicinarono quanto era possibile alla spiaggia per imbarcare il grosso della spedizione e lo stato maggiore della stessa. Non si può dire che la partenza della spedizione dallo scoglio di Quarto sia stata molto segreta, perchè ivi stavano affollate centinaia di persone, e non mancavano gli agenti della forza pubblica che comtemplavano lo spettacolo come fosse la cosa più naturale del mondo e gli stessi non fecero neanche troppe proteste quando videro alcuni uomini, col tenente Bandi, abbattere i pali del telegrafo. È evidente che la consegna era di non vedere, perchè certo se Cavour avesse voluto impedire, risolutamente impedire la spedizione non gliene sarebbe mancato il mezzo; ma egli non reputava prudente l’opposizione violenta, e poichè i suoi consigli non erano stati ascoltati e il suo Re non partecipava dei suoi timori, era naturale che egli lasciasse correre, pensando che un arresto forzato dello slancio popolare, tanto più se guidato dal nome
leggendario di Garibaldi, avrebbe potuto creare nello Stato dei disordini ben maggiori delle difficoltà diplomatiche.
L’8 maggio il Cavour scriveva al march. Emanuele D’Azeglio, ambasciatore sardo a Londra: ( N. BIANCHI, La politique de Comte Camille de Cavour p. 360.)
<< Nous n’avons pas encouragé Garibaldi à se jeter dans cette aventure, qui nous parassait téméraire. Nous avons regretté la precipitation qui nous met dans le plus cruel embarras, et qui peut compromettre dangereusement l’avenir de l’Italie. Cependant nous avons respecté les motifs hautement honorables qui ont inspiré son audacieuse résolution, et nous ne nous sommes pas cru en droit d’empècher par la force des efforts qui tendent à ameliorer les sortes des Siciliens. Si Garibaldi réussit, si la grande majorité des Siciliens se réunit autour de lui, nous ne demandons pour eux que la pleine liberté de décider de leur sort, de faire de
l’indépendance qu’ils auront acquise l’usage qui leur paraitra le plus convenables ».
Lo stesso dottor Bertani ebbe a confessare al redattore capo del Diritto che, “il governo lasciò fare”.
E il Luzio qui si domanda giustamente: “E che altro di più era lecito?”

* * *
« Era una bella e splendidissima sera di maggio. La luna nella pienezza del suo splendore, distendeva sulla tremula marina una larga zona d’argento. L’azzurro del cielo era limpidissimo. Poche stelle vincevano quell’albore col vivido scintillare de’loro fiocchi di diamante. Non un’ala di vento, non un rumore; tutto era calma, silenzio, serenità. A coppie, a gruppi, a piccoli drappelli si condussero i volontari per più vie alle spiaggie di Quarto e della Foce. Nessun canto, nessun grido, nessun evviva. Pochi e fidi amici li accompagnavano, come a grave, perigliosa e secretissima impresa si conveniva. Un bacio, un sorriso, una stretta di mano furono i soli congedi; muto e solenne ricambio di affetti. Taluno non reggendo a rimanere inoperoso, nell’ansia dell’aspettare, salta nel batello e parte senz’altro dire, involandosi quasi all’addio de’suoi; tal altro, incaricato nella giornata di esigere danaro di ragione della propria famiglia, tiene per sè una piccola porzione, e rimanda la somma a casa con un saluto. Un altro, che si era recato a vedere l’imbarco in abito di città, consegna ad un amico le chiavi del suo ufficio, perchè siano rimesse il domani ai capi della sua amministrazione, manda una parolaa suo padre, alJa sua famiglia, e parte…ohime ! per non ritornare. Buon numero di zattere raccoglieva a poco a poco i sopravvegnenti, e senz’altro segnale prendeva il largo. Tutti ignoravano la precisa destinazione, i mezzi, il tempo, l’itinerario. Il loro Generale li aveva chiamati, erano accorsi !… Altro non sapevano nè domandavano>>.
Così descriveva la partenza dei Mille il genovese D. F. Botto, professore di lingua francese, in uno scrittarello pubblicato lo stesso anno in Ricordo d’Amicizia strenna compilata da Felice (Nello stesso libro é una poesia di Luigi Dossena intitolata L’eco della Sicilia; la partenza del volontario, scritta poco dopo la partenza dei Mille:

Oh ! perchè non t’ho seguito,
Immortale Garibaldi,
Quando sei da noi partito
Coi campion più fidi e baldi?
Una madre mi trattenne
Che fia morta senza me….
Ma il mio spirto volò con te.
Dal lungo letargo – ti scuoti, o sorella,
Solleva la fronte – o Napoli bella.
Bandito in esilio – da tempi remoti
Già troppo il tuo genio – piangendo si sta,
Risorgi, o indolente – e il giogo riscuoti
Dell’empio tiranno – che schiava ti fa.

Su, su l’irruzione – del vostro vulcano,
Risponda allo scoppio – dell’Etna sicano,
E l’eco dai monti – d’Italia rifratto
Suonando tremendo – su d’ambo i suoi mar,
Impari all’Europa – che il nostro riscatto
Con opre giganti – sappiamo comprar.


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