Aldo De Jaco – Dall’esercito di Garibaldi a quello dei briganti

brigantaggio-meridionale-liTRATTO DAL LIBRO “IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE ” cronaca inedita dell’unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco-roma-1979

PAG 336-339

Dall’esercito di Garibaldi a quello dei briganti

Osservazioni di Fabio Carcani indirizzate alla onorevole commissione d’inchiesta sul brigantaggio ( L’« esposto » di Fabio Carcani fu pubblicato in opuscolo nel suo paese natio,Trani, nel 1863 col titolo Sul brigantaggio nelle provincie napoletane.)

…Annovero fra le cause principali [del progredire del brigantaggio] una serie di errori governativi. Non devo ricorrere ad idee trascendentali per venire alla dimostrazione di taluni fatti ch’emergono spontanei dall’analisi di tante disposizioni dal primo giungete di Garibaldi a Napoli sino ad oggi.
In primo luogo vi è il congedo in massa dato verbalmente il giorno istesso che giungeva alla Capitale l’Invitto Eroe Nizzardo a tutti i soldati borbonici, che avessero voluto ritirarsi alle proprie famiglie.

Chiunque si trovava a Napoli in quei giorni dové vedere, come vid’io, passare per le vie, tra il plauso e il contento di tutti i cittadini, una numerosa quantità di soldati, che sbucando dai quartieri e dalle castella dove stavano di guarnigione, prendevano ciascuno la volta della terra natia.
Napoli gioiva, e ben a ragione, vedendoli allontanare, perché la presenza di quei soldati dopo la partenza di Francesco II per Gaeta, era l’incubo ed il terrore che avvelenava in certo modo le gioie e i tripudi inenarrabili del fausto avvenimento ai suoi abitatori, i quali ad ogni momento temevano un movimento reazionario per parte di quelli.
Però i luoghi dove essi giungevano erano malcontenti del loro arrivo per la ragione istessa che Napoli si rallegrava della loro partenza.
Nel primo entusiasmo di una fortunata rivoluzione essi furono accolti dai loro concittadini con isdegno, con ingiurie, con minacce, e vilipesi, sorvegliati, malmenati da per tutto, come i fautori ed i propugnatori della tirannide caduta: essi trovarono allora inconfortevole la vita cittadina e con l’animo pieno di amarezza e di livore si cominciarono a ritirare nelle campagne per vendicarsi delle ingiurie ricevute contro i loro oppressori, e formarono cosí il primo nucleo del brigantaggio.

Non vi era altra forza allora nel regno che avesse potuto inseguirli e batterli, le poche migliaia di garibaldini erano tutti intorno Capua a sostenere, con sforzi sublimi, lo assedio: le Guardie Nazionali male organizzate, senz’armi, bastavano appena con la forza morale a mantenere l’ordine nelle città e quei tristi imbaldanzivano nelle campagne, si organizzavano, si provvedevano di armi e munizioni, minacciavano, atterrivano, taglieggiavano i proprietari, facevano proseliti tra i soldati e i gendarmi sparsi per le provincie, anch’essi vituperati, trapazzati, derisi.

Giunto il Re Vittorio a Napoli fu rinviato Garibaldi a Caprera e poscia fu disciolto lo esercito meridionale. Questo provvedimento, imposto forse da gravi condizioni politiche, ingrossò le bande brigantesche, perocché, bisogna pur dirlo sinceramente, tolto molte nobili eccezioni, le compagnie di garibaldini delle nostre provincie non erano composte dagli stessi elementi di quelle dell’Italia superiore…: nelle nostre vi erano in certo numero gli uomini piú abietti, più oziosi, piú denigrati nella pubblica opinione, una ciurmaglia raccolta dalla feccia delle popolazioni, la quale per riacquistare la stima perduta, e guadagnarsi una sistemazione vantaggiosa si era arrischiata a rappresentare la rivoluzione armata.

Non posso dimenticare la impressione che ricevette la bella e gentile nostra Napoli quando vide sfilare per Toledo le compagnie de’ montanari calabresi: molti credettero che quella dolcissima terra delle sirene fosse divenuta un covo di belve, od una spelonca di ladri, tanto alcuni ceffi avevano della fiera piú che dello umano, tanto alcuni costumi avevano del masnadiero più che del soldato. Ma Garibaldi aveva bisogno in quel momento di partigiani, di proseliti, nulla curava se questi fossero o no degli uomini onesti, se venissero da una città o da uno speco: chiunque sapeva impugnare una carabina era quanto bastava per tirarselo appresso. Però quando le speranze di questa gente caddero deluse e si vide fatta segno della ingratitudine e dello sprezzo dei governanti, e del ludibrio di alcuni suoi concittadini; essa, che aveva fatto assegno di ribattezzarsi nel lavacro della rivoluzione, per tornare stimata ed agiata al tetto natio, si dette nelle smanie della disperazione, e taluni, vagheggiando un pensiero di vendetta, si gittarono furiosamente fra le bande brigantesche…

Se questi poveri sventurati che ravveduti dei loro errori passati, aborrenti della vita anteatta, cercavano nella rivolta un modo di riabilitazione in mezzo al consorzio sociale, avessero avuto un posto, anche da soldati, nelle file dell’esercito, certo che non si sarebbero cosí sciaguratamente perduti.
Avvedutosi intanto il governo del grave errore commesso, cercò, dopo qualche tempo, di riparare, facendo ricomporre quello esercito, però dopo aver diviso il gentile anemone dal cardo spinoso, la ruvida ortica dall’erba soave e profumata, di talché non ne rimase dopo un severo scrutinio, che un povero manipolo, da un grosso fascio che egli era.

E poiché gli esclusi maggiormente menavano rumore, si pensò in prosieguo di ordinare in ciascuna provincia delle compagnie di guardie mobili, nelle quali si avessero potuto quelli nuovamente raccogliere e riannodare, per non lasciare un fomito di dispiacenza continua nella città.

Il rimedio però fu assai peggiore del male istesso, perché dopo pochi mesi le guardie mobili furono disciolte e questi poveri giovani, ingannati una seconda volta dalla lusinga di una onorata situazione, furono rimandati a casa, ancora piú miseri di quello che erano e con l’animo ribollente di tanta bile ed indignazione che fu poi la origine di quei fatti dolorosi che tutti ricordano…

Presa la fortezza di Gaeta furono capitolati tutti gli individui di quel presidio, e gli altri delle fortezze di Capua, e di Messina: si rimandarono a casa con congedo. Dopo tanti stenti patiti, dopo corso tanto rischio della vita, tornati costoro nel seno delle proprie famiglie, che piú non credevano dover rivedere, si abbandonarono spensierati alle più ineffabili dolcezze delle affezioni domestiche… Dopo due o piú mesi un ordine inopportuno li richiama a servire, gli obbliga rigorosamente a compiere il loro impegno.
Quest’ordine scoppiò come un fulmine sul loro capo, su quello dei loro congiunti.
Spaventati dai gravi pericoli percorsi, strappati alla santità degli affetti familiari, distaccati dalle loro intraprese, questi poveri infelici non ebbero piú pace. Un baratro terribile si schiudeva dinanzi ai loro piedi; essi non seppero superarlo, credettero utile rifugiarsi nelle campagne per sottrarsi alla pubblica forza.
Fu allora che si formarono le cosí dette compagnie de’sbandati, le quali finirono con l’essere un terzo ausilio alle bande de’ masnadieri perché questi sbandati, rimasti senza mezzi di sussistenza, cominciarono a molestare le proprietà altrui per prendere vettovaglie ed altro bisognevole.
I proprietari e i fittaiuoli risentiti dei danni sofferti cominciarono di conserva con la truppa a ricercarli, a combatterli, ad inseguirli: vistosi essi a mal punto pensarono allora d’armarsi e provvedersi di cavalli per essere all’uopo pronti cosí alla difesa che alla fuga.
Trovarono ne’ soldati congedati da Garibaldi (che pazienti alle ingiurie erano rimasti tuttavia nelle città) compagni novelli essendo stati anch’essi richiamati a servire.
Molti sanguinosi scontri si avverarono senza che la truppa ed i cittadini li avessero potuti del tutto vincere o distruggere: si stimò, per costringerli a presentarsi, imprigionarne i loro padri, le madri, le mogli, i fratelli, i figlioli. Questo mezzo mise i sbandati nella massima irritazione, nel massimo orgasmo, li aizzò in tal modo che giunsero a prendere il disperato partito di entrare perfino nelle città onde liberare i parenti e punire i loro persecutori, ed allora avvenero stragi, rapine, saccheggi, incendi, uccisioni, vituperi, e mille altre scene di sangue, orribili a dirsi.
Io non posso scusare i loro eccessi, le loro barbarie, ma dimando a chiunque sente battersi il cuore nel petto, fu tutta loro la colpa?…


TRATTO DAL LIBRO “IL BRIGANTAGGIO MERIDIONALE ” cronaca inedita dell’unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco-roma-1979

PAG 340-343

Un militare si guarda intorno

Da «Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863» del conte Alessandro Bianco di Saint-]orioz

… Tutto in questo paese favorisce il brigantaggio: la povertà dei coloni agricoli; la rapacità e la protervia dei nobili e dei signori; l’ignoranza turpe in cui è giaciuta questa popolazione: l’influenza deleteria del prete; la superstizione, il fanatismo, l’idolatria, fatte religione e santificate; la mancanza di senso morale pressoché totale: la nessuna elementare conoscenza dei dettami d’onore, di probità, di pudore; la sregolatezza nei costumi; l’immoralità in tutto e in tutti; lo spettacolo schifoso della corruttela negli impiegati, nella magistratura, nei pubblici funzionari; la rapina, il malversare, lo sciopero e la malafede fatti articoli di legge; tutto insomma ciò che vi è di laido e di riprovevole nella umana Società si trova in gran copia diffuso e penetrato in queste misere popolazioni; tutti i vizi come tutte le miserie, le violenze e le malvagità si sono scagliate sopra questo popolo infelice, attalché, per servirmi di un vieto e rancido paragone mitologico, si può dire che la famosa scatola di Pandora sembra aversi tutta riversata su questa altrettanto infelice e misera quanto bella e amena terra, ed avervi sparse in copia le brutte cosacce che conteneva. Sicché non vi è poi tanto da stupire, se le origini del brigantaggio siano antiche e quasi perdute nelle nebbie dei secoli; se sotto tutti i regni e tutte le dinastie vi furono fasti briganteschi: se finalmente oggidi ancora, sotto un governo unitario, nazionale e riparatore, vi siano ancora numerose bande e ferocissime che scorazzano, quasi impunemente, questa peregrina ma cancrenata parte d’Italia.
La configurazione stessa del paese, coperto di interminabili catene di montagne altissime e vasti dirupi, di macchie foltissime e di oscure, fitte e immense foreste; [e idee del governo borbonico che di quelle montagne non davasi cura, non vi tagliava strade, non vi costruiva ponti; la mancanza totale di commercio, di vita sociale, di movimento industriale, di comunicazione qualunque intellettuale o materiale, a tal punto che vi sono tuttora numerosissimi distretti vedovi di una strada comunale, ignorata la vista di una vettura, sentieri cosi malagevoli e pericolosi che ti muli stessi non si pentano che con molta prudenza ,a percorrerli. lo non parlo qui dell’assoluta deficienza di stabilimenti di carità, d’istruzione, di industria, d’utilità pubblica e di scienze; queste sono le prerogative dei popoli civili e dei paesi colti. Questo è il lusso e la superfluità dei popoli gentili e dei paesi educati ,al vivere civile; ma qui siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia e nata Italiana, sembra appartenere alle tribù primitive dell’Africa, ai Noueri, ai Dinkas, ai Malesi di Pulo-Penango, epperciò non è d’uopo parlar qui di cose che non sono nemmeno accessibili alla loro intelligenza. Qui dunque non comuni interessi, non contrattazioni, non scambi, non affetto, non fraterno amore, non mutua stima, ma odio e livore, libidine di potere e di vendetta; qui invidia, qui tutte le più basse e vili passioni, tutti i vizi i più ributtanti, tutte le più nefande nequizie dell’umana natura.
Non solo l’azione dissolvente, immorale e corruttrice del più immorale e scellerato dei governi, ma il sistema pur anco di agricoltura del paese, e la vita nomade e solitaria dei pastori e dei carbonai, che vivono su quelle cime senza famiglia, in mezzo al loro gregge od attorno al loro forno, in un isolamento selvaggio; e la vita quasi cenobitica delle popolazioni delle piccole cittaduzze, che poste sul cumignolo di una roccia nuda ed aspra, lontane da ogni consorzio umano, da ogni suono di civiltà, e da ogni vista delle intellettuali grandezze, vivendo una vita miserabile e deserta ed amara, senza nessuna delle morali e materiali dolcezze che cotanto abbelliscono la vita, sono un incentivo, un istradamento al brigantaggio. La esistenza così eccezionale, così singolare e così primitiva e selvaggia di questi popoli li rende più di ogni altro proclivi al mal fare,alla violenza, all’omicidiare per vendetta e per rapina; al darsi alla montagna e sbandeggiare per amore d’indipendenza, e più soventi per riluttanza al lavoro, per voglia di lucro, qualche volta per vendetta, e sempre per fame ed atroce miseria.
Tutti i tribunali d’Europa insieme riuniti non basterebbero a giudicare tutti i delitti ignorati, le angherie, le vessazioni, le prepotenze e le nere ingiustizie commesse su quelle alture dai nobili, dai ricchi, dagli uomini preposti agli impieghi, dalle locali amministrazioni, da tutti insomma, cominciando dal popolame, che rubava ed uccideva per fame e per vendetta, al ricco, al nobile, al funzionario, che per cupidigia di potere e d’oro manometteva la cosa pubblica e vuotava le casse e angariava e tiranneggiava cosi crudelmente la plebe, che questa disperata ed affamata si dava alla montagna e briganteggiava. Il governo borbonico per sistema non solo lasciava impunite simili infamie e non puniva gli infedeli e disonesti suoi impiegati, ma li lodava e li promuoveva per soprassello e quasi per insulto alla morale pubblica; innalzando cosi il vizio e la malafede, I’improbità ed il tradimento a dogma di governo, e facendo puntello del suo trono della malvagità e corruttela della burocrazia governativa, e del pervertimento e scompiglio dell’amministrazione e della giustizia. Esercito e burocrazia furono le colonne immutabili d’un edificio di Governo che raffigurava la negazione d’ogni principio buono ed onesto. Da questo putridume di società e governo sorse come naturale frutta il brigantaggio. Lugubre storia di nefandezze e di sventure, che dilaniarono miseramente questa terra infelice!
… L’uomo della campagna è ridotto allo stato d’ilota e di gleba; egli è oppresso dall’usura, male rimunerato, non sfamato, stremato di forze, tenuto in servaggio duro, inumanamente malmenato e malversato. In nessun paese del mondo I’agricoltore è tanto povero ed infelice quanto in queste contrade, Egli è macilente, lacero, sudicio, sfinito, triste e muto, e il suo sguardo torvo e fulvo vi dice i suoi rancori ed il suo odio contro i suoi signori o meglio oppressori; la sua apparente umiltà e la paura che addimostra in presenza di un qualunque a lui superiore per condizione ed abito, vi dice lo stato di avvilimento e di demoralizzazione in cui è caduta quell’anima sofferente e rozza, a chi tutto si niega ed a chi tutto manca, il pane dell’intelletto ed il pane del corpo. I suoi sensi sono muti, la sua mente incolta, ignoti i dettami del bene e del male, è un animale, un bruto, a cui finalmente non si sono lasciati che gli istinti e i bisogni materiali non mai soddisfatti, e la consolazione ed il rifugio di una religione che venne premeditatamente adulterata da un’empia politica di governo, e naturalmente falsata dall’ignoranza sua e dalle male arti pretine. Cosicché I’azione di questa religione, fatta idolatra e pagana, fanatica e feroce, non cristiana e santa, mansueta e benefica com’è la vera religione di Cristo, è piuttosto fatale che utile, è più fornite di male che di bene; è phi uno strumento, che un dogma, è finalmente scaturigine inesauribile di errori e di corruttele più demoralizzatrici che altro.
Nessuna meraviglia adunque che i briganti, e tutti i delitti e le devastazioni che gli fan seguito, pullulino e continuamente germoglino in queste contrade; e che ad ogni bivio di strada, dietro un burrone, in una macchia, o sul pendio di un monte si vada a rischio di trovare una masnada di malandrini che vi spogli, vi derubi o vi tolga la vita! Non è forse cosa nota ed oramai vieta, che gli abitanti di un comune sogliano farsi tutto ad un tratto assassini? Che questi pacifici agricoltori gettano ad un dato tempo la marra, la zappa, ed abbandonano il manico dell’aratro per impugnare il calcio del moschetto e darsi alla strada a depredare e uccidere? E dopo perpetrata impunemente la grassazione nascondono l’arma omicida e riprendono tranquillamente gli onesti arnesi della campagna? Non è forse noto che tutti o pressoché tutti gli abitanti di certi comuni o borgate sono briganti per tradizione, o fautori di brigantaggio, o conniventi, o manutengoli?