I GIOIELLI DI NICOLINA.

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 11° episodio I GIOIELLI DI NICOLINA.
di Valentino Romano (*)

Nicolina Iaconelli, contadina di S. Biagio Saracinisco (Fr) era la donna di Domenico Fuoco. A dire il vero poco si conosce della vita brigantesca di questa donna. Se ne può ricavare qualche notizia attingendo a un processo per manutengolismo cui furono sottoposti la madre, Anna Capozzi, la sorella Teresa e il cognato Giacomo Valente.
Il 16 maggio del 1865 si teneva a Latina l’annuale fiera paesana. Ora è risaputo come, nelle piccole comunità della società contadina dell’Ottocento, le fiere – essendo occasione quasi irrepetibile d’incontri, piccoli commerci e baratti per la popolazione tutta – facessero confluire nei paesi individui d’ogni genere, malintenzionati e facinorosi compresi. Lo sapevano bene anche le autorità di polizia che, puntualmente, predisponevano un attento servizio di controllo. Fu così che il delegato di PS del posto si accorse che una popolana, confusa fra la folla cercava di vendere alcuni gioielli a un orefice ambulante di Cassino, tale Giacomo Garofalo; il funzionario, prontamente intervenuto, sequestrò i monili e arrestò la donna che, condotta in carcere, fu riconosciuta per essere la sorella della nostra Nicolina, già in odore di brigantaggio: a suo dire i gioielli sarebbero stati trovati su un monte da suo figlio e lei avrebbe deciso di venderli senza dire nulla al marito che, essendo un noto ubriacone, ne avrebbe utilizzato il ricavato per comprare il vino. La motivazione era plausibile, attesa la riconosciuta propensione del marito della donna a sacrificare a Bacco; assai meno probabile era invece la storiella del fortuito ritrovamento dei gioielli che non convinse gli inquirenti. La notizia dell’arresto immediatamente si diffuse nel circondario, suscitando l’attenzione generale. A questo punto si fece avanti Tommaso Scotti di Baia Latina che riconobbe i preziosi già appartenenti alla sua famiglia e come depredati da una banda brigantesca il 10 novembre del 1863. Nell’assalto avevano trovato la morte i suoi genitori, la casa era stata incendiata e lui stesso era stato sequestrato e derubato di un’ingente somma di denaro. Fu facile a questo punto per gli inquirenti tirare le somme: l’azione delittuosa era stata attribuita alla banda Fuoco e Nicolina Iaconelli, per voce pubblica, era conosciuta come l’amante di Domenico, il capobanda; la sorella Teresa, quindi, non poteva che essere loro complice nel tentativo di disfarsi dei gioielli.
La madre di Nicolina e Teresa, Anna Capozzi, tratta anch’essa in arresto, descrisse a modo suo arruolamento di Nicolina nella banda brigantesca: una sera, sul finire del 1864, si era presentato nella masseria Lupinella, in agro di San Biagio, un brigante “armato di fucile e di pugnale quale sospetto per il capobanda Fuoco” che “con minaccia della vita involava Iaconelli Nicolina di anni 18”, allontanandosi poi col favore delle tenebre. Il mattino successivo furono avvertiti i RR. CC. che, aseguito di indagini, appurarono come Nicolina, qualche giorno prima, mentre lavorava nei campi, era stata raggiunta dai briganti che l’avevano portata con loro in un pagliaio poco distante. La madre si sarebbe messa nella sua ricerca e l’avrebbe trovato il giorno appresso con una ventina di briganti. Nicolina sarebbe stata quindi rilasciata dal capo della comitiva proprio grazie alle suppliche della madre. Fuoco, perché di lui si trattava, avrebbe chiesto solamente il silenzio sull’accaduto ma avrebbe ugualmente manifestato l’intenzione di sposare la giovane. E fu lo stesso fuoco l’uomo che si presentò qualche notte appresso per prelevare definitivamente Nicolina. Il brigante era “armato di fucile e padroncina, con giacca piuttosto corta di panno color turchino, calzone lungo rigato di colore piuttosto chiaro e cappello basso…”
La versione di Teresa e della madre faceva perciò acqua da tutte le parti w le due donne furono rinviate al giudizio. In un altro processo il brigante Domenico Compagnoni di Casalcassinese, interrogato l’8 luglio 1865 affermava che “il bucato ce lo facevano in casa dei parenti della Nicolina amante di Fuoco e quando sua madre e sua sorella furono carcerate il bucato fu seguitato a fare da altri parenti di detta Nicolina. Era la riprova della collaborazione della famiglia di Nicolina con la banda brigantesca del Fuoco.
È un terzo processo, infine a offrirci la chiave di volta per una giusta lettura della effettiva e volontaria partecipazione della Iaconelli alla vita brigantesca: un altro componente della banda fuoco, il brigante Ercolino Rasti di Calabritto di Galluccio (Roccamonfina), costretto a costituirsi per una ferita involontariamente procuratagli dal compagno Domenico compagnone prima di morire (proprio a causa di quella ferita), dichiarò agli inquirenti che “nella banda vi sono due donne, una appellata Nicolina, senza saperne il cognome del tenimento di San -germano, druda del capobanda Fuoco, la quale donna si arruolò volontariamente alla comitiva ed ora veste da uomo ed è armata al pari de’ briganti…”
L’altra donna era la più famosa Michelina Di Cesare.
Nicolina fu arrestata a Veroli l’8 agosto del 1865 e tre giorni dopo alcuni militari piemontesi arrestarono in territorio pontificio, a Monte San Giovanni, Domenico Fuoco.
Poche notizie, insomma: frammenti di una vita “vissuta pericolosamente”, frammenti sparsi che non permettono certamente di ricostruire una biografia completa. Come per quasi tutte le “donne del brigantaggio”. Anche per questo, dovremmo astenerci dall’emettere giudizi perentori su di esse: possiamo, al più, prendere atto della loro esistenza travagliata. E, senza mistificarle, rispettarle. Proprio per il loro travaglio.

(*) Promotore Carta di Venosa

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