La Spedizione dei Mille – chi ha consegnato i piroscafi…

COP s04bibliotecastoric08casi-2RICERCA EFFETTUATA DAL Prof. Renato Rinaldi su :”Biblioteca storica del risorgimento Italiano da T. Casini e V. Fiorini: Ser. 1-8″ Univ.of Toronto Library Digitized by the Internet Archive in 2009 with funding from Ontario CounciI of University Libraries.”GIAMBATTISTA FAUCHÉ LA SPEDIZIONE DEI MILLE MEMORIE DOCUMENTATE A CURA PIETRO FÀUCHE'” Roma Milano 1903

VEDI ANCHE APPENDICE II E III
AVVERTENZA

Non sempre la storia è narrata fedelmente, ma è spesso travisata dallo spirito di partito.
Lasciando da parte i non pochi errori esistenti nella storia d’altri tempi, mi occuperò d’un solo errore, e metterò in piena luce un episodio poco conosciuto di storia patria del quale non tutti gli scrittori furono fedeli interpreti.

Chi ha consegnato al generale Garibaldi i due piroscafi che servirono al trasporto dei Mille da Quarto a Marsala ?

COP 1 Pagine da 1A 7 s04bibliotecastoric08casiIl fatto di questa consegna non ha nulla di straordinario, anzi passa inosservato perchè eclissato dall’altro importantissimo della spedizione, che pure n’è la conseguenza; ma le circostanze che lo precedettero e quelle che lo seguirono, lo rendono tanto interessante che la storia non può né deve tacerlo.
Alla domanda fatta mi si risponderebbe, ne sono certo, in uno di questi modi:

1° I vapori vennero consegnati da Raffaele Rubattino.
2° Dalla Società di navigazione R. Rubattino e C.
3° Vennero presi di notte dal porto di Genova all’insaputa di tutti.

Nessuna di queste risposte sarebbe esatta.
Le credenze più erronee sono talmente radicate che un’impresa ben difficile, prevedo, dovrebbe essere la mia, qualora volessi dimostrare la verità della seguente risposta:
Chi consegnò i due piroscafi al generale Garibaldi, fu Gio. Batt. Fauché.

 

Pure tale risposta io do con tutta franchezza, conoscendo perfettamente le pratiche fatte per preparare la spedizione dei Mille. Se questa conoscenza dei fatti non fosse garanzia sufficiente a provare il mio asserto, dirò ancora che, accingendomi a questo lavoro, trovai grande aiuto nell’esame di memorie scritte da mio padre G. B. Fauché ; oltre a ciò, importanti autografi concernenti quel fatto e molti appunti mi furono forniti da un mio fratello che, con grande pazienza, raccolse molti particolari utilissimi; e tutto questo mi mise in grado di procedere nel compito che mi ero assunto, con tutta sicurezza e senza timore di confutazioni.

Spronato altresì dall’amore figliale, desidero che l’operato di mio padre per la causa italiana non sia disconosciuto e, ciò che più importa, non venga attribuito ad altri come, pur troppo, è avvenuto; perciò con brevità e chiarezza tenterò di far luce sopra un fatto di storia nel quale mio padre ebbe parte e, credo, non ultima.

Quando si pensi che alla grandiosa opera dell’Unità della patria gl’Italiani vissuti nei memorandi giorni del nostro Risorgimento concorsero volonterosi offrendo il loro braccio, gli averi e la vita, e lasciarono in eredità alla generazione presente l’Italia una, parmi sia debito sacro per ogni cittadino il rammentare le gesta di chi vi cooperò, e maggiormente per un figlio che, pur conoscendo l’efficacia del contributo portatovi dal proprio padre, ebbe il rammarico di vederlo morire  povero, oscuro e sopratutto dimenticato.
La povertà l’onora.
La dimenticanza invece, è grave affronto fatto alla sua memoria.

Ecco il motivo pel quale mi sono indotto a scrivere queste pagine.

Non intendo, nel far questo, disconoscere i meriti di moltissimi altri o di oscurare in qualche parte la cooperazione loro alla redenzione italiana : no ! Coloro che avranno la pazienza di leggere il mio scritto, potranno convincersi non aver io che un solo desiderio; quello cioè che la storia non sia travisata, che i fatti memorabili di essa sieno esposti con schietta verità, che a Cesare sia dato ciò che è di Cesare; desidero insomma chiarire un fatto che alcuni storici appena appena accennano, appunto perchè poco conosciuto.
Spero che non sarò disapprovato se, attenendomi alla più scrupolosa verità, dovrò non già censurare, ma solo rilevare l’errore in cui può essere incorso qualche scrittore nel racconto dei fatti di cui è oggetto questo mio lavoro. L’infallibilità non esiste sulla terra, per cui è naturale che, in buona fede, si possa errare quando trattasi di cose non bene conosciute.
Mio compito adunque si è quello di mettere in chiaro, nell’interesse stesso della storia, un fatterello, una cosa da poco, ma pure importante perchè fu l’inizio d’un grande avvenimento.

Modena, dicembre 1904.
Pietro Fauché  Ten. Colon, di riserva.

OMISSIS

pag. 14

CAPITOLO II

Dopo la rioccupazione di Venezia per parte delle truppe austriache, Giambattista Fauchè rimase in quella città indisturbato perché coperto dalla sua qualità di suddito francese, la qual sudditanza, come dissi, conservò fino al 1854. Si occupò allora della liquidazione della Società Veneta Coìnmerciale, della quale il governo austriaco aveva voluto lo scioglimento.

Nel mese di agosto 1850, ultimata quella liquidazione, passò a Trieste come direttore della casa commerciale Michele Vucetich. In seguito, considerando che le condizioni delle cose, nei paesi dominati dal governo austriaco, era tale che neppur la sua sudditanza straniera avrebbe potuto porlo al riparo da molestie politiche, pensò bene di lasciare l’Italia, recandosi a Marsiglia ove rimase pochissimo. Ritornato qualche mese dopo, prese dimora a Torino ove si occupò come capo contabile nella Società delle ferriere d’Aosta, posto che gli era stato offerto. Oltreché versato nelle scienze nautiche, egli era abilissimo amministratore, quindi gli riusciva facile il trovare decorose occupazioni. Sul finire del 1855, il direttore generale della Società, Francesco Viti, lasciando quella direzione per recarsi a Genova presso la sua casa di commercio, lo invitò a seguirlo nominandolo agente principale del suo stabilimento. Nell’anno 1857, la casa Viti di Genova fu messa in liquidazione; e perciò il Fauchè, il 1° gennaio 1858, entrava qual direttore della casa bancaria, pure di Genova, sotto la ditta Porro Sciaccaluga.

Per procurare maggior benessere alla sua numerosa famiglia, egli, lavoratore istancabile, in questi primi anni passati in Genova, si occupò, nelle ore serali, dell’insegnamento della contabilità commerciale, al quale era stato autorizzato dal ministero della pubblica istruzione.

Arriviamo cosi al maggio 1858. A questo punto è necessario ricordare che in Genova, alcuni anni prima, il signor Raffaele Rubattino aveva fondata una Società di navigazione a vapore ed assunto il servizio postale fra Genova, vari porti della Sardegna e Tunisi.
L’inizio di questa società, sotto la Ditta R. Rubattino «& C, non fu, per cause diverse, troppo fortunato, tanto che sul finire del 1857, essa trovavasi in una  condizione scabrosa. Poco di poi, nel mese di maggio 1858, mentre la società pericipitava quasi in stato di fallimento ed i creditori di essa tentavano di sostenerla fino a che se ne fosse potuto istituire una nuova, allo scopo di non perdere la concessione postale, fu il Fauché prescelto ad assumerne la direzione come persona competente in materia amministrativa e ormai ben conosciuta in Genova. Egli venne quindi munito dal rappresentante l’azienda stessa, il Rubattino, di regolare procura, con atto 5 giugno 1858 (Notaio Balbi).

Il Fauché adunque, da quel momento, diventava direttore e solo gerente responsabile di quella società, la quale conservava bensì il nome di Società di navigazioììe a vapore R. Rubattino & C, sebbene in realtà questi nulla vi aveva più a fare; d’altra parte, occupatissimo in altre imprese, non poteva più oltre attendere alla gestione di quell’azienda.
Questa circostanza, cioè l’assunzione di Giambattista Fauché alla direzione della società Rubattino, è necessario sia bene compresa da tutti ; compresa da coloro che hanno la pazienza di leggere il mio scritto ed anche dai futuri narratori di avvenimenti storici. È importante si sappia tener conto della differenza che passa fra Rubattino, Società Rubattino e Fauché; poiché, prendendo un nome per un altro, si genera confusione, si attribuisce a Tizio ciò che è di Caio, falsando il vero con pregiudizio della storia. Purtroppo alcuni scrittori e pubblicisti, nel far cenno dei due vapori che servirono al trasporto in Sicilia della spedizione dei Mille, attribuirono la consegna di queste navi al Generale Garibaldi, chi a Rubattino, chi alla Società Rubattino.

Siccome queste furono consegnate da Giambattista Fauchè, cosi, allo scopo di far risaltare la verità e rettificare qualche errore di storia, narrerò alcune pratiche occorse per preparare quella spedizione.
Che uno scrittore, sfiorando appena l’argomento, possa dire che i vapori furono dati dalla Società Rubattino, si può fino ad un certo punto ammettere, perchè infatti la società portava il nome di R. Rubattino & C; ma non si può invece ammettere l’affermazione che i vapori furono consegnati da R. Rubattino, il quale, nel 1860, aveva da due anni lasciata la gerenza dell’amministrazione di quella Società.
Dunque, non il Rubattino per il motivo già accennato; non la Società, perchè le persone che la componevano, cioè gli azionisti, gl’interessati, ecc. non ebbero parte nelle trattative, nulla conobbero di quanto segretamente si stava concertando, e anzi, quando vennero a cognizione delle cose, compirono un atto che qui non voglio qualificare e che racconterò in seguito.
Trascrivo letteralmente alcuni brani d’autori i quali, a mio avviso, non furono fedeli interpreti del fatto riguardante la consegna dei piroscafi. Li ho ricavati dalle poche opere che potei avere fra le mani ed anche da articoli di giornali scritti nel 1882 in occasione della morte del generale Garibaldi.

« Il Bixio cercato indarno un bastimento che assumesse il viaggio pericoloso pel primo noleggio, era riuscito a per- suadere R. Rubattino a lasciarsi rapire con simulacro di pirateria e mercè la sola malleveria di Garibaldi, due dei suoi vapori.

(Guerzoni).

« Rubattino generosamente aveva detto: pigliateli pure i miei vapori, ma fingete d’impadronirvene colla forza alfine di non avere noie col governo

(Secolo del 16-17 giugno 1882).

« Garibaldi partiva su due vapori generosamente offerti da R. Rubattino

(Gazzetta d’Italia del 5 giugno 1832).

« La notte del 5 maggio su due vapori di Rubattino, il Piemonte ed il Lombardo, con simulata violenza presi, s’imbarcarono i Mille: simulata, perchè Rubattino, insigne patriota allora e più volte dopo, non esitò di arrischiare la propria fortuna per la redenzione d’Italia.

(Alberto Mario, Garibaldi).

« R. Rubattino aveva permesso di lasciarsene portar via de’ suoi vapori purché si coprisse con certa maschera di violenza la sua generosa complicità; generosa, ripeto,
perchè in negozi dove altri avrebbero cercato la sua fortuna, non volle essere assicurato che del valore perduto

(Guerzoni, Vita di N. Bixio).

Per contrapposto trovo uno solo che rende giustizia al Fauché, e questi è lo stesso generale Garibaldi il quale, nelle sue Memorie antohiografiche scrisse:

« Nello stesso tempo Bixio trattava con Fauché dell’amministrazione dei vapori Rubattino, per poterci recare in Sicilia. La cosa non marciava male, e grazie all’attività di Fauché e Bixio e allo slancio generoso della gioventù italiana che accorreva da ogni parte, noi ci trovavamo in pochi giorni atti a prendere il mare ».

Il generale Garibaldi, senza entrare in troppo minuti dettagli sull’opera del Fauché, gli rendeva giustizia.
Infatti, chi meglio di lui poteva essere a cognizione d’ogni cosa?

CAPITOLO III.

Ho detto nel precedente capitolo che il Fanché, il 5 giugno 1858, aveva assunta la direzione della Società Rubattino, la quale trovavasi allora quasi in istato di fallimento: egli migliorò la condizione di quell’amministrazione, ne rialzò il credito, e mentre, nel maggio 1858, credevasi di non poterla far sussistere sei mesi, egli la sostenne per due anni.
Troviamo dunque il Fauchè, nel mese di aprile 1860, sempre direttore e, lo ripeto, solo gerente responsabile di quella Società.
A lui si rivolse il generale Garibaldi scrivendogli da Torino, ove si trovava, questa lettera (Autografo conservato dall’autore):

« Torino, 9 aprile 1860
Mio caro Fauché

Io posso disporre di centomila franchi. Desidero non impiegarli tutti per trasportarmi in Sicilia con alcuni compagni; però li metto a vostra disposizione per indennizzare l’amministrazione delle spese e danni che potrebbe soffrire. Il Piemonte od il S. Giorgio in un viaggio a Malta od a Cagliari, potrebbe soddisfare il voto di tutti.
Non ho certamente bisogno di far appello al vostro patriotismo. Dio vi spiani le difficoltà che la impresa propostavi potrebbe incontrare.
Vogliate compiacervi di rispondermi subito
Vostro
Sig. Fauchè G. Garibaldi. Direttore dell’amministrazione vapori Rubattino- Genova ».

Questa lettera veniva consegnata aperta al Fauché il seguente giorno 10 dal dottore Agostino Bertani, venuto a Genova da Torino, ove si stava concertando il modo di fare una spedizione in Sicilia.
L’idea di questa spedizione era stata suggerita al generale dai moti rivoluzionari scoppiati in quell’isola, i cui abitanti gemevano sotto il giogo borbonico; ed egli, sempre pronto ad accorrere là dove un popolo combattesse per la propria libertà, aveva deciso di recarsi in aiuto dei fratelli insorti.

Le difficoltà erano immense, ma esso voleva vincerle e le vinse.

Garibaldi, in quel tempo, alternava la sua dimora fra Caprera, Nizza e Genova; in quest’ultima città egli ebbe campo di conoscere il Fauché, che gli era stato presentato come patriota e come direttore della Società di navigazione colla quale egli, Garibaldi, era in continui rapporti; veniva quindi da sé che ricorresse al Fauché per avere il vapore necessario ad effettuare la spedizione.
Il dottor Bertani, che doveva ritornare lo stesso giorno a Torino, portava al Generale la risposta, pure in lettera aperta, nella quale il Fauché diceva:

« . . . . che ben felice di poter rispondere al suo appello, il vapore sarebbe stato a sua disposizione; che i centomila franchi se li portasse in Sicilia, ove gli avrebbero servito pegli altri bisogni; che raccomandava come condizione indispensabile, la massima segretezza …. ».

Quando Garibaldi rivolse il pensiero al Fauché per avere un piroscafo, era incerto se il suo desiderio sarebbe stato esaudito, non tanto pel Fauché, del quale conosceva gli antecedenti e i sentimenti patriottici, quanto per gl’interessati della società, quasi tutti appartenenti al partito moderato, in quel tempo in lotta col partito d’azione e perciò devoti al governo anche per le loro stesse posizioni commerciali, bancarie, ecc.
Egli quindi non scrisse alla Società Rubattino né allo stesso Rubattino, ma s’indirizzò personalmente e privatamente al Fauché colla lettera che i lettori conoscono.
Non ricorse a nessun altro, prevedendo forse che i principali interessati di quella Società avrebbero certo frapposto degli ostacoli, i quali, uniti a quelli diplomatici del governo, avrebbero resa la sua situazione imbarazzante.
Il Fauché doveva rispondere prontamente si o no, poiché la ristrettezza del tempo non permetteva dizioni, che avrebbero compromesso l’esito d’una impresa per la quale s’era già lavorato tanto. Pure la risposta richiedeva qualche riflessione, dovendosi esaminare quale sarebbe stato l’effetto d’un rifiuto e quali le conseguenze di un’adesione.
L’esitanza fu breve. Il Fauché non volle rispondere con un rifiuto. Checché dovesse succedere in seguito, Garibaldi avrebbe avuto il vapore.
Raccomandava però, come condizione indispensabile, la massima segretezza, affinché né il governo, né i componenti la Società Rubattino venissero a cognizione del fatto.
Fra le tante difficoltà che il Generale doveva superare, la più rilevante certamente era quella di avere un vapore su cui imbarcare i suoi volontari; eliminata questa, restava l’altra delle armi e munizioni.
Garibaldi, nelle sue Memorie, a proposito delle armi, scrive :

« A Milano esisteva un 15 mila fucili buoni e di più mezzi pecuniari di cui si poteva disporre. A capo della direzione del “Milione di fucili” stavano Besana e Finzi su cui si poteva contare del pari. Besana giunse a Genova, da me chiamato, con fondi, avendo lasciato l’ordine, alla sua partenza da Milano, che ci fossero inviati fucili, munizioni ed altri oggetti militari che vi si trovavano ».

Ma all’ ultimo momento i fucili non si poterono avere; essi furono trattenuti a Milano o meglio sequestrati.
Due erano in quel tempo i partiti i quali, pur avendo per fine comune l’Unità d’Italia, contrastavano tra loro per diversità di vedute: partito moderato e partito d’azione. Il primo stava col governo e, come questo, non amava le imprese arrischiate; il secondo, con Garibaldi, intendeva proseguire il lavoro già cominciato della liberazione d’Italia, non voleva saperne di arti diplomatiche, ma agire prontamente, risolutamente, andare avanti ad ogni costo per raggiungere quell’obbiettivo ch’era aspirazione di tutti gl’italiani : Roma.

Il governo, a capo del quale stava il ministro Cavour, avrebbe forse aderito ai progetti di Garibaldi, ma la posizione, nella quale si trovava allora il Piemonte rispetto alla Francia, teneva perplessi gli uomini di Stato per non urtare contro le viste di Napoleone III, il quale, arrestandosi a Villafranca, aveva chiaramente fatto intendere che, per allora, di Unità italiana non se ne dovesse più parlare.I moderati stavano in attesa di tempi migliori onde raggiungere lo scopo regolarmente , ufficialmente, diplomaticamente; gli uomini del partito d’azione invece, questi mezzi non volevano riconoscerli, bensì proseguire l’opera già cominciata.

Dunque in quei giorni fra Garibaldi e il ministro Cavour v’era lotta; coperta se vogliamo, ma sempre lotta. Il primo, insofferente d’indugi, voleva a qualunque costo volare in soccorso degl’insorti fratelli siciliani; il secondo, e con lui il governo, si trincerava dietro i suoi doveri diplomatici e, pur approvando in cuor suo l’ardito disegno del generale Garibaldi, apertamente non poteva ne incoraggiarlo, né aiutarlo. Il governo naturalmente doveva essere guardingo per evitare fastidi da parte di qualche potenza; esso fece e non fece; non impedì i preparativi della spedizione e, sapendo che si sarebbe fatta, finse di non saperlo; sequestrò i fucili buoni ch’erano in Milano, ma poi all’ultimo, per mezzo del La Farina, ne fece consegnare un migliaio, ch’erano dei veri catenacci.

Scrive Garibaldi:

« La Farina offri mille fucili ed ottomila lire che io accettai senza rancore fummo privi dei buoni fucili nostri che restavano a Milano ed obbligati a servirci dei cattivisimi fucili procuratici dal La Farina » (Garibaldi. Memorie autobiografiche).

Il generale Garibaldi faceva assegnamento sul Fondo pei milioni di fucili e sulla Società nazionale, le quali erano due associazioni politiche sorte nei momenti di maggior entusiasmo del nostro Risorgimento; erano iniziatori e soci, oltre Garibaldi, personaggi distinti e provati patrioti; contribuenti poi tutti gl’italiani. Quelle risorse gli vennero a mancare; pur tuttavia, non volendo indietreggiare, arrischiò egualmente l’ardita impresa.
Anche la ricerca d’una nave, pel trasporto dei volontari, era una faccenda piuttosto seria: se il bastimento occorreva, il danaro per noleggiarlo era scarso, e gli armatori in genere erano poco disposti a secondare il desiderio del generale, sia per la tema di perdere un capitale, sia anche perchè la spedizione, della quale in quei momenti si parlava, sembrava a molti una impresa temeraria. Il Bixio, incaricato di queste pratiche, si adoperava a tutt’ uomo per riuscire.

« Bixio (scrive il generale) è certamente il principale attore della sorprendente impresa. Il suo coraggio, la sua attività, la pratica sua nelle cose di mare e massime di Genova, suo paese natio, valsero immensamente ad agevolare ogni cosa (Garibaldi. Memorie autobiografiche. ) ».

Il vapore adunque, grazie la risposta favorevole del Fanché,era trovato; si trattava ora per costui, disporre le cose in modo perchè al momento opportuno tutto fosse pronto. La segretezza, ch’egli aveva raccomandata, doveva essere mantenuta.
Il Fauché, nel concedere al generale Garibaldi un vapore, sapeva benissimo quale responsabilità si assumeva in faccia al paese, in faccia al governo e agli interessati della Società. Era ancora fresca nella memoria di tutti la non riuscita impresa del Pisacane, tentata qualche anno prima col vapore il Cagliari della compagnia Rubattino;e il ricordo di quel fatto non era tale certamente da incoraggiare il direttore della Società a consegnare un piroscafo. D’altra parte,neppure era incoraggiante l’offerta fatta dal generale di lire centomila (che desiderava non impiegare tutte) per indennizzare la Società degli eventuali danni, se si riflette che uno dei più piccoli piroscafi della compagnia, il Dante, costava molto di più. Aggiungendo a tutto questo le esigenze del servizio postale, pel quale la Società era sovvenzionata dal governo, sarà facile comprendere come il Fauché non si trovasse in quel momento in un letto di rose, poiché la favorevole risposta data al generale, oltreché obbligarlo a mantenere inalterato il servizio postale, lo costringeva ad agire con molta cautela affinchè tutto venisse preparato osservando la più scrupolosa segretezza, in modo da non lasciare trasparire ad alcuno lo scopo vero delle disposizioni ch’egli dava con studiati pretesti di precauzioni e provvedimenti nell’interesse del servizio in generale.
Il Fauché, all’appello fattogli da Garibaldi, rispose si senza titubare, senza pensare ad altro.

Farò una breve considerazione.

Questo punto di storia, cioè la consegna di un vapore prima, poi, come dirò in seguito, la consegna d’un secondo vapore, è oggi poco conosciuto perchè essendosi effettuato quasi in segreto, non venne fedelmente descritto per mancanza di dati. Un fatto poco conosciuto viene spesso travisato in mille modi; attribuito ad altri, anziché a colui che l’ha compiuto; oppure se quel fatto presenta qualche cosa di nuovo, di straordinario, non è creduto. Un uomo che senza esitare, senza tener conto delle conseguenze, si assume la grave responsabilità di consegnare al generale Garibaldi due navi, compromettendo se stesso e rovinando la sua posizione, date le circostanze del momento, compie un’ azione patriotica.
Ebbene, oggi ancora quest’azione è falsamente interpretata; non solo, ma trova anche moltissimi increduli:
ed io pur troppo ebbi a constatare ciò ogni qualvolta mi si presentò l’occasiono di ragionare su quel fatto e volli, come si dice, mettere i puntini sugli i.

Non vanagloria mi spinse a scrivere queste pagine, bensì l’amore della giustizia e della verità e il vivo desiderio che ad ognuno sia dato ciò che gli spetta.
Quanto agl’increduli, compatirò quelli che lo sono per ignoranza dei fatti; a quelli invece che lo sono per malignità o per spirito di partito, dirò, che dai tempi gloriosi del nostro Risorgimento ad oggi, molte cose sono cambiate. Allora l’aspirazione degl’Italiani era l’unità della patria; quindi sacrifìci d’ogni sorta ed eroismi. Oggi l’aspirazione di tutti dovrebbe consistere nel consolidamento di quanto fecero coloro che non sono più o che si trovano sull’orlo della tomba.

Torniamo all’argomento nostro.
Fu detto, in quel tempo, che il fatto stesso di avere il Generale avuti i vapori dalla compagnia Rubattino, sovvenzionata dallo Stato, dimostrava la cooperazione del governo nell’impresa di Sicilia, poiché non sarebbe stato possibile che il direttore di quella Società accondiscendesse a farsi rapire i piroscafi se non ne avesse avuto da Torino il tacito consenso il permesso degl’interessati della compagnia, i quali avrebbero riconosciuto in lui nientemeno che un agente di Cavour. In seguito, per completare la storiella, l’agente di Cavour, o del governo, non era più Fauché, ma Rubattino. La fantasia lavorava!
Il Fauché, in quel tempo, non conosceva ancora il ministro Cavour; non era quindi agente suo né di nessun altro. Era semplicemente un uomo di sentimenti liberali e amantissimo della patria ; un patriota che, in circostanze speciali, sapeva compiere il suo dovere di buon cittadino, concorrendo con tutti i mezzi, con tutte le proprie forze e a costo di qualunque sacrificio, alla redenzione della patria, e che al suo privato interesse non avrebbe esitato di anteporre quello generale del paese.
S’egli fosse stato un agente di Cavour o se gl’interessati della compagnia gli avessero dato il permesso di fare quello che fece, c’era egli bisogno di porre per condizione a Garibaldi la segretezza? Erano necessarie tutte quelle brighe angustiose perchè nulla trapelasse di quanto si stava facendo? Se la compagnia Rubattino o Rubattino stesso avessero consegnati i vapori, come si continua a credere e a scrivere, c’era egli bisogno che il Fauché rappresentasse quella commedia?
Senza inventare nuove storie, si dica semplicemente che il Fauché commise un atto imprudente, arrischiato, disponendo di due navi appartenenti alla flottiglia della compagnia Rubattino e a lui affidate.
Si dirà almeno il vero.
Ma, date le circostanze del momento e scrutando l’interno pensiero del Fauché ed i patriotici suoi sentimenti, quell’azione non meritava di esser biasimata dai signori della Società e, peggio ancora, pagata con un licenziamento.
Un’altra circostanza devo aggiungere, la quale potrà far parere quasi naturale, spontaneo, l’operato del Fauché.

La Società Rubattino (cioè tutti i suoi membri) per le disposizioni con le quali concorse in favore della redenzione d’Italia trasportando gratuitamente, sui propri vapori, i volontari che andavano ad ingrossare le file dei combattenti nella gloriosa campagna del 1859, come pure i toscani che vollero recarsi a prender parte al plebiscito della Toscana nei giorni 11 e 12 marzo 1860, si era già acquistata la patria benemerenza; e il Fauché quindi credeva, o avrà creduto, che a questa benemerenza la Società non avrebbe voluto rinunciare allora, disapprovando un atto che di nuovo all’opera della patria la consociava (Vedere l’appendice I).

CAPITOLO IV.

Il vapore destinato dal Fauché per l’imbarco dei volontari era il Piemonte, uno dei migliori piroscafi della compagnia; costruito a Glascow nel 1851, misurava metri 50 di lunghezza, 7 circa di larghezza e 3 di profondità; aveva la portata di 180 tonnellate ed una macchina della forza di 160 cavalli. Il suo valore era di lire 278.450.
Oggi che il naviglio a vapore ha fatto un gran passo in avanti, oggi che, non parlando della marina da guerra, abbiamo piroscafi mercantili che sono vere città galleggianti; oggi, dico, quelle dimensioni sarebbero ridicole, ma in quel tempo il Piemonte era tenuto per un bel vapore.
Il generale Garibaldi, ritornato intanto da Torino a Genova, aveva preso dimora nella villa Spinola a Quarto e là, in segreto fra lui Bixio, Bertani e Fauché si discusse, si concerto tutto quanto aveva attinenza alla consegna del vapore, all’uscita di esso dal porto di Genova e all’imbarco dei volontari. Questi convegni
furono tenuti segretissimi, al punto che nessuno ne ebbe sentore.
Genova, in quei giorni, formicolava di giovent italiana, parte chiamata, parte attratta dalla voce che Garibaldi avesse ideata una spedizione in Sicilia. Tutta questa gente stava in aspettazione, ignorando completamente quanto nel segreto si andava concertando. Le notizie che arrivavano dalla Sicilia erano piuttosto allarmanti; un aiuto era desiderato; si attendevano soccorsi a braccia aperte.
L’abbondanza di volontari accorsi in Genova, fra i quali moltissitni che già avevano combattuto con Garibaldi l’anno precedente, era tale che questi pensò di dare alla spedizione proporzioni maggiori. Ma per far questo un solo vapore non bastava; ne occorrevano due: e questo nuovo vapore a chi chiederlo?

Col pretesto di un noleggio o di un rimorchio per l’isola di Sardegna, si tentò da un’altra parte; chiesto il prezzo d’un piccolo vapore (il Roma) ancorato nel porto di Genova, i proprietari ne domandarono la somma di 140 mila lire. Il contratto era troppo duro; la spesa enorme in confronto dei pochi mezzi che il Generale aveva a sua disposizione.

Mio padre raccontò in un suo opuscolo pubblicato nel 1882 (Una pagina di storia sulla spedizione dei Mille, di G. B. Fauché. — Roma, Tip. Guerra e Mirri, 1882 (estratto da Gazzetta d’Italia, n. 168 del 17 giugno 1882).
la seguente scena :

«… io mi trovava con lui a villa Spinola colla immancabile compagnia del povero Bixio; Garibaldi (me lo ricorderò finché avrò vita) era seduto sul suo letto, sopra il quale stava distesa una gran carta della Sicilia e sull’armadietto da notte, vicino al letto, ardeva un pezzo di candela che dava fioca luce alla camera.
Egli mi rivolse così la parola: Ebbene, Fauchè, credete che la faremo la spedizione? — .S’è, generale, risposi — E lui, con una dolcezza che mi avrebbe strappato l’animo soggiunse: E se, invece di uno, vapore, me ne occorressero due? — Ed io risposi: oltre il « Piemonte » allestirò anche il “Lombardo” (il Lombardo era il migliore e più grande piroscafo della società). A questa risposta, ch’egli accolse con manifesta gioia, le sue speranze si rinfrancarono. . . »

Il Fauché, in quel momento, non pensò che ad una cosa, a secondare cioè la generosa aspirazione del generale Garibaldi, di volare in soccorso d’un popolo infelice; il Fauché, i cui sentimenti si accordavano perfettamente con quelli dell’Eroe, non poteva rimanere titubante o rispondere: non posso fare di più, ma francamente disse: daRò anche il « Lombardo ».
Il Fauché fu preso, a quanto pare, dall’attrattiva di quell’uomo, il cui fascino potente, irresistibile, sui campi di battaglia operava miracoli : . . . . con una dolcezza che mi avrebbe strappato L’anima, dice il Fauché, cioè il modo della domanda era tale che nessuno avrebbe potuto resistergli, tanto meno un uomo che qualche cosa aveva fatto per l’Italia.
Nella conversazione che segui al dialogo sopra riferito, si discusse anche sulla convenienza per il Fauché, di seguire o no la spedizione; ma, dopo maturo esame, si stabili esser meglio che rimanesse al suo posto, cosi per non far troppo palese la connivenza sua, come per non abbandonare la Società nelle difficoltà in cui si sarebbe trovata dopo la partenza dei vapori; egli sarebbe partito solo nel caso che, sul punto del rapimento dei vapori, fossero insorte al bordo di essi, difficoltà cosi fatte da reclamare il suo intervento e la sua autorità per appianarle.
Ho detto rapimento dei vapori, perchè infatti s’era concertato che nell’ora tale della notte tale, questi sarebbero stati occupati di sorpresa, fatti uscire dal porto e condotti a Quarto.

Da quell’istante le cure del Fauché dovevano essere intese ad approntare due vapori invece di uno e, nello stesso tempo, a provvedere alle esigenze del servizio postale coi rimanenti piroscafi. Considerando la sua posizione di direttore d’una Società di navigazione e la sua responsabilità, ognuno può immaginare come le preoccupazioni sue non fossero poche; egli doveva infatti mantenere inalterato il servizio postale (La flottiglia della società dì navigazione R. Rubattino e C. era composta dei seguenti piroscafi: Lombardo – Piemonte – Cagliari – Dante – Virgilio – S. Giorgio – Sardegna – Italia. ),fare in modo che i vapori fossero pronti al momento voluto dal generale, infine affrontare la burrasca che quel fatto avrebbe sollevato.
Le disposizioni da lui date, per quanto riguardava il movimento dei piroscafi, erano combinate in modo che, se nel servizio di questi c’era qualche cosa di anormale, gli equipaggi non s’accorsero mai di nulla.
Il Lombardo era il migliore piroscafo della società; costruito a Livorno nell’anno 1841, aveva una lunghezza di metri 48 circa ed era largo metri 7,40; pescava metri 4,23; aveva una portata di 238 circa tonnellate ed una macchina della forza di 220 cavalli; il suo valore era di lire 360.000.

Nel dare queste cifre, come pure quelle del Piemonte, non ne garantisco l’esattezza; è cosa, del resto di poca importanza: e se c’è errore, questo non può essere che minimo.
Intanto le notizie incerte che venivano dalla Sicilia, notizie spesso contradditorie e poco rassicuranti pel buon esito d’una spedizione, la questione dei fucili che si attendevano da Milano e che poi non giunsero, surrogati all’ultimo, come dissi, dai mille dati dal La Farina, le munizioni scarse perchè quelle attese non arrivavano mai, l’agglomeramento dei volontari che cominciavano a perdere la pazienza; tutto ciò, unito ad altre contrarietà, fece si che in un dato momento, nascesse nel generale l’idea di sospendere l’impresa e di ritirarsi a Caprera.

Scrisse allora al Fauché in questi -termini (Autografo conservato dall’autore):

« Genova 29 aprile 60
Carissimo amico,
Mi potreste fare il favore di farmi lasciare sull’isola di Santa Maria, dal vapore che parte mercoledì da Porto Torres? Oppure, vi è qualche vapore straordinario per la Maddalena? Di qualunque cosa vi sarà riconoscente il vostro
G. Garibaldi.
Signor Fauché  Direttore dei vapori Genova ».

Al ricevere questa lettera, il Fauché rimase sorpreso e addolorato, non potendo immaginare quali cause avessero potuto produrre quella repentina risoluzione; egli perciò disponevasi a recarsi nella stessa notte a Quarto per avere spiegazione dell’enigma, quando, in sulla sera, gli pervenne questo laconico biglietto di Bixio scritto a matita in un pezzettino di carta (Autografo conservato dall’autore) :

« Signor Fauché,
Ho bisogno di vederla, le notizie sono buone e ritorniamo all’affare.
29 aprile, ore 9 pom. Bixio ».

Il Fauché corse tosto in casa di Bixio, il quale, presi con lui nuovi concerti, si recò a Quarto dal Generale.

La mattina seguente, cioè il 30 aprile, il Bixio cosi scriveva al Fauché (Autografo conservato dall’autore):

« Signor Fauché,
Vengo in questo momento da Quarto: il Generale viene a Genova subito e la aspetta da Bertani appena ella può, ma si raccomanda perchè potendo ella venga subito.
La cosa sulle basi intese iersera, è perfettamente nelle viste del Generale. La prego di non attendere altre discussioni e di preporvi le idee in modo che terminato l’abboccamento di questa mattina, il tutto sia definitivamente regolato per quanto da ella dipende. Io sarò presente,
Di casa 30 aprile ore 10,45 Suo devotissimo
Signor Fauchè S. P. M. G. Nino Bixio ».

La conferenza ebbe luogo quel giorno stesso in casa Bertani; in essa venne stabilito che i vapori sarebbero stati in ordine per la notte dal 5 al 6 maggio, nel loro solito posto d’ancoraggio, con la necessaria provvista di carbone, coi fuochi delle macchine accesi e coll’equipaggio strettamente necessario, il quale però sarebbe stato libero di ritirarsi dopo prestati i servigi bisognevoli a trarsi fuori dell’ancoraggio. Quanto al personale di comando, questo non era indispensabile; perciò gli ufficiali di quei legni, che nulla sapevano, sarebbero rimasti, come di solito nelle loro case.
Combinata in tal modo la partenza della spedizione, dirò brevemente come avvenne il rapimento dei vapori.
CAPITOLO V.

Nella notte dal 5 al 6 maggio la spiaggia di Quairto brulicava di gioventù italiana; la parola d’ordine era data, il luogo di convegno stabilito e tutti erano accorsi, lieti finalmente di poter partire dopo lunghi giorni d’incertezza e di paziente attesa. Non sapevano su quali legni si sarebbero imbarcati, quale la meta del viaggio, quale la loro sorte futura; eppure, ebbri di gioia, volgevano impazienti lo sguardo sul mare dalla parte di Genova in attesa del vapore, dimentichi di tutto, felici di partire con Garibaldi. Avevano fiducia in lui ; non pensavano ad altro che alla partenza.
Intanto nel porto di Genova il Lombardo ed il Piemonte erano pronti; a bordo si trovava il personale strettamente necessario, essendo tutti gli altri come già dissi, a terra.
Vicino ai due vapori era ancorato un vecchio bastimento che, per aver fatto il suo tempo, pare fosse destinato ad uso di magazzino, sotto la sorveglianza d’un custode. Su questo legno, la sera avanti, erano saliti Bixio, Castiglia ed altre persone le quali, in attesa del momento stabilito per compiere l’atto di pirateria (come lo si qualificò allora), stavano tra loro conversando. All’ora convenuta, circa l’una dopo la mezzanotte, il Bixio, seguito dai suoi, salta improvvisamente sul ponte dei due vapori, ordina ai pochi uomini d’equipaggio di non fiatare e di obbedirgli; ma costoro, che forse la sapevano lunga, non avevano certo intenzione di ribellarsi, poiché s’accinsero subito ad eseguire le operazioni necessarie per uscire con ogni precauzione dalla selva di navi di cui era ingombro il porto di Genova.

Le due navi, cosi catturate, passano avanti al R.legno guardaporto senza destare sospetto, non essendovi nulla di straordinario nella partenza notturna di due navi munite dei segnali prescritti.
Appena fuori del porto, messe le macchine a tutta forza, si arriva in breve a Quarto, ove, con tutta sollecitudine, avviene l’imbarco dei volontari e delle armi
date dal La Farina.
Quanto alle munizioni, che avrebbero dovuto arrivare in tempo, pare che l’ imbarcazione sulla quale erano state caricate non abbia saputo trovare la strada per raggiungere i piroscafi; per cui, dopo aver vagato buona parte della notte senza trovare il Generale, essa rientrò in porto. Queste munizioni furono poi mandate in Sicilia con le successive spedizioni, cioè con quelle spedizioni che non vennero ostacolate in nessun modo, poiché i fortunati avvenimenti che seguirono, avevano già fatto toccare con mano che l’impresa di Garibaldi non era pazza come si ebbe a giudicarla da prima.

Giambattista Fauché, che abitava in Genova, nel palazzo Serra a S. Sabina, vicinissimo alla darsena, stette nel terrazzo della sua abitazione, buona parte della notte, con l’occhio fìsso sui due vapori, pronto ad accorrere in caso di bisogno. Quando li vide muoversi ed oltrepassare in seguito i moli del porto, andò tranquillamente a coricarsi in attesa di quanto stava per succedere e pronto a far fronte alla burrasca che si sarebbe scatenata.
Quante volte ebbi occasione di rivolgere il pensiero a quei due piroscafi, ho chiesto a me stesso: perchè non vennero conservati?
I gloriosi fatti del nostro Risorgimento lasciarono in eredità agl’Italiani un infinito numero di ricordi; esistono oggi in Italia parecchi musei cosi detti del Risorgimento Italiano, i quali raccolgono e conservano una quantità immensa di oggetti che hanno attinenza colle vicende patrie. Dalle armi, autografi, libri, ecc…, si arriva fino a cose che sembrerebbero insignificanti, ma che pure hanno un valore storico.
E vero che spesso si esagera, collocando in questi musei delle inezie che poco o nulla hanno relazione cogli avvenimenti politici di quei tempi; ma a parte questo poco criterio nella scelta degli oggetti, è un fatto che questi musei sono di utile ammaestramento perchè ci rammentano gli eroismi d’un tempo che si allontana sempre più dalla memoria degli uomini.

Non so quindi comprendere come a nessuno sia venuto in mente di proporre la conservazione di quei piroscafi, divenuti celebri pel trasporto della meravigliosa spedizione.
In Italia non mancano stabilimenti marittimi; ci voleva ben poco a collocarli in qualche arsenale, in luogo conveniente perchè a tutti fosse permesso visitarli.
Ristaurati e diligentemente mantenuti, essi oggi sarebbero oggetto di curiosità non solo, ma, oso dire, di venerazione.
Invece? Non posso dire con certezza come abbiano finito; so solamente che, molti anni or sono, il Lombardo serviva a trasportare fango nel porto di Bari (Rimorchiava le draghe cariche di fango.)

Garibaldi, nel suo libro / Mille, scrive (2):

« Ove sono i piroscafi che vi presero a Villa Spinola e vi condussero, attraverso il Tirreno, salvi nel piccolo porto di Marsala? Ove? Son forse essi, nuovi Argo, gelosamente conservati e segnati all’ammirazione dello straniero e dei posteri, simulacro della più grande e più onorevole delle imprese italiane? Tutt’altro; essi sono scomparsi.
…. Chi dice: essi furono perduti in premeditati naufragi.
Chi li suppone a marcire nel più recondito d’un arsenale, e chi venduti agli ebrei per pochi soldi, come vesti sdrucite ……
Lascio Garibaldi e i Mille avviarsi al loro glorioso destino.

A giorni essi faranno meravigliare il mondo eolle loro vittorie, aprendo così la strada a successive spedizioni di volontari, le quali partiranno tranquillamente alla luce del giorno, sotto gli occhi di tutti e fornite d’armi e munizioni; allora non più sequestri di fucili, no più polveri da guerra che non arrivano a tempo o che non trovano la strada, non più navi in crociera sulle acque della Sardegna per arrestare i volontari; allora i neghittosi, i paurosi, gl’increduli, tutti coloro che avevano giudicata impresa da pazzi quella di Garibaldi, muteranno idea per essere all’ unisono col sentimento degli altri; allora una gara generale a prestarsi in tutti i modi per agevolare le nuove spedizioni e poter cosi dire un giorno: anch’io feci questo e quest’altro, senza riflettere che, se non si fosse fatta la prima spedizione, neppure le altre l’avrebbero seguita; allora, infine, lodi smisurate alla Società Rubattino, al Rubattino stesso, e dimenticanza per colui che, vogliasi no, aveva veramente agevolata l’ impresa, togliendo dall’imbarazzo il generale Garibaldi colla consegna di due degli otto piroscafi a lui affidati.

Apro una parentesi.
La partenza della prima spedizione, gli aiuti prestati alle successive, produssero malumori ed aspre polemiche durate parecchi anni, perchè ambedue i partiti, moderato e d’azione, quando tutto era andato a gonfie vele, volevano la loro parte di gloria.
Siamo giusti e diamo ad ognuno il suo.
Il merito dell’impresa, o meglio, della prima spedizione, spetta a Garibaldi, primo di tutti, e a’ suoi aderenti, ossia al partito d’azione. Se in seguito poi, visti i felici risultati di Sicilia, si apprestarono nuove spedizioni col consenso del governo, col concorso del partito moderato, questo poco importa; vuol dire che si cominciava a comprendere quanto bene era per venirne alla causa nazionale.

Inutili quindi le polemiche. Su queste non voglio certo arrogarmi il diritto di manifestare giudizi; e siccome, d’altronde, m’allontanerei di troppo dal soggetto del mio racconto, cosi faccio punto (I pazienti lettori che avessero volontà di saperne di più leggano l’appendice II).

Comunque fossero andate le cose, era destino che il Fauché, o in un modo o in un altro, avrebbe pagata a caro prezzo la sua generosa e patriotica azione.
L’impresa di Garibaldi ebbe un esito felice, ma il Fauché fu bellamente licenziato e messo sulla strada, lui e la sua famiglia, come dirò nel capitolo seguente.

Se la spedizione invece di giungere felicemente alla meta, fosse incappata fra le navi della squadra comandata dall’ammiraglio Persano, in crociera sulle acque della Sardegna, cosa sarebbe accaduto? Una cosa semplicissima : la Società e lo stesso Rubattino, oltreché irresponsabili, erano fuori di causa, essi non c’entravano per nulla; tutta la colpa sarebbe caduta sul direttore, sul Fauché, solo responsabile di un’ azienda sovvenzionata dal governo e tenuta ad adempiere gli obblighi assunti pel servizio postale ; egli solo avrebbe dovuto rispondere al governo e agl’interessati della società, pel suo atto arbitrario, egli solo ne avrebbe portata la pena che, forse, sarebbe stata più grave d’un semplice licenziamento.

Il giorno 5 maggio, cioè prima di partire, il generale Garibaldi aveva indirizzata la seguente lettera a tutti in generale i componenti la Società (Questa lettera fu pubblicata in quel tempo da parecchi giornali):

« Ai Signori Direttori dei vapori nazionali.
Dovendo imprendere un’ operazione in favore d’italiani militanti per la causa patria, e di cui il governo non può occuparsi per false diplomatiche considerazioni, ho dovuto impadronirmi di due vapori dell’amministrazione da LL. SS, diretta e farlo all’insaputa del governo stesso e di tutti.
Io attuai un atto di violenza, ma comunque vadano le cose, io spero che il mio procedimento sarà giustificato dalla causa santa servita e che il paese intero dovrà riconoscere come debito suo da soddisfare i danni da me arrecati all’amministrazione.
Quandoché non si verificassero le mie previsioni sull’interessamento della nazione per indennizzarli, io impegno tutto quanto esiste in denaro e materiale appartenente alla sottoscrizione per il milione di fucili, acciocché con questo si paghi qualunque danno, avaria o perdita a LL. SS. cagionata.

Genova 5 maggio 1860
Con tutta considerazione
G. Garibaldi »

Questa lettera, scritta a tutti i direttori, oltreché una leale partecipazione del fatto compiuto e l’ assicurazione che la Società, in un modo o in un altro, sarebbe stata indennizzata dei danni eventuali, aveva anche lo scopo generoso di salvare il Fauché dalla bufera nella quale si sarebbe trovato avvolto per la scomparsa da lui favorita dei due vapori. Egli sperava che gli amministratori tutti avrebbero condiviso i generosi suoi sentimenti e che nessuna protesta, per parte loro, sarebbe stata sollevata, e che nessun danno ne sarebbe derivato al solo responsabile.

Questa lettera, infine, avrebbe dovuto tranquillizzare gl’interessati della Società.
Vana speranza!
Le cose andarono assai diversamente.