Intorno agli orribili fatti di Pontelandolfo e Casalduni

RID COPRicerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “Venticinque anni di Roma Capitale (1815-1895) ” do Antonmaria Bonetti Roma 1895
PAG.251-256

Il signor Giuseppe Buttà. nel suo libro – “Un viaggio da Boccadifalco A Gaeta” – così narra l’ingresso dei piemontesi nella piazza di Civitella del Tronto :
“L’ Ascione… introdusse nella piazza i Piemontesi, comandati dal generale (Luigi) Mezzacapo, ufficiale disertore dell’esercito napoletano sin dal 1848 e successore di Pinelli. Mezzacapo appena entrato cominciò a fucilare senza neppure le forme de’giudizii sommarii…. Fu arrestato Santomarino che aveva funzionato da comandante la piazza, e ricevette insulti e strapazzi indicibili, si arrivò perfino a strappare le vesti e gli orecchini alle sue figliuolette. Fu condannato a morte assieme ad altri militari, e per intercessione dell’ufficiale francese (L’ordine di resa della piazza da parte di re Francesco fu portato da Roma al comandante dal Generale della Rocca, accompagnato da un ufficiale francese.), non fu immediatamente fucilato, ma invece ebbe commutata la pena in 24 anni di ferri. Condotto a Savona, ove cercò fuggire, fu trucidato; e lasciò giovine moglie e cinque infelici orfanelli”.

Intorno agli orribili fatti di Pontelandolfo e Casalduni, ecco ciò che un testimone oculare (autorevolissima persona) mi scriveva da un paese del Beneventano:
“Le notizie da Lei chieste riguardo ai fatti di Pontelandolfo e Casalduni, eccole in breve.
Nei primi giorni di Agosto 1861, una Compagnia di Piemontesi si fermò a Pontelandolfo nella Torre dei Perugini. Il popolo si sollevò, perchè molto affezionato a Francesco II, e pose detta torre in istato di asse.dio. I soldati resistettero, ma alla fine furono presi. Disarmati con molta gazzarra dai Realisti, il giorno 7 Agosto, fiera a Pontelandolfo di S. Donato, furono condotti a Casalduni da ogni sorta di gente, la maggior parte forestieri, di Cerreto-Sannita, Morcone, Pietraroia.
Tutta questa accozzaglia di gente era comandata da un focoso contadino, detto il Pica. Giunti a Casalduni, ad istigazione del sindaco d’allora Luigi Ursini, furono i soldati piemontesi fucilati nel largo chiamato Spinelle. Cessò il fuoco su di loro per opera del sacerdote Pasquale Erosino, che molti ne assolvette. La mattina del 9 si vide che i morti erano 47, i quali senza onori e senza croce furono portati al Camposanto. Un sergente salvossi con la fuga, e fece di tutto consapevole Cialdini. Questi a!l’insaputa il giorno 14 piombò su i due sventurati paesi e li fe’ mettere a sacco e fuoco. Più danneggiato fu Pontelandolfo.
Cialdini ebbe a scrivere al suo Governo che all’alba di Pontelandolfo e Casalduni era stata fatta giusti3ia. Nella Dieta delle Potenze a Parigi si espose l’accaduto e si rimproverò il Governo Piemontese dell’efferata correzione.
Come si vede, la provocazione era grave, quantunque scusata per l’una parte dalla illegalità della invasione piemontese e per l’altra dagli orrori che essa consumava. Da storico imparziale ed onesto, convengo che il Cialdini (prescindendo dalle ragioni della guerra) non poteva dispensarsi da una rappresaglia; ma egli si abbandonò ad una vera e cannibalesca orgia di sangue, ad un vero sterminio, anche contro poveri innocenti.
Ma per far comprendere la efferatezza del Cialdini, si leggano questi orribili particolari.
Da un prezioso libretto “La Convenzione del 15 settembre, ecc.di Mons. Dupanloup Vescovo d’Orléans -stampato in Firenze (in italiano) l’anno 1865 dalla Tipografia. Virgiliana (che ho già citato e che citerò di nuovo) tolgo i seguenti brani (pagine 40 e seg.):
……. i battaglioni piemontesi, sguinzagliati per ogni dove in quei paesi, riempivano le provincie napoletane di rovina e di sangue.
Io ho visto (diceva il deputato Ferrari reduce da un viaggio nelle provinciè meridionali, un anno dopo l’ annessione); io ho visto .-dodici villaggi incendiati, io ho visto le ruine di Pontelandolfo, città di 5000 anime e quella di Casalduni con 7000 abitanti. (Confessioni e Menzogne per G.Palomba -Londra 1863.
A Pontelandolfo trenta donne infelici, che eransi rifugiate a piè d’una Croce, furono senza pietà arse dal fuoco (ibidem).
La stessa rigorosa giustizia era già stata fatta di Castellammare in Sicilia.
Il Duca di Maddaloni (citato dal San Pol, Quaresimale, capitolo I Briganti) scrive:
La mente mi si turba e tremami la destra in pensando alle inumanità, che faranno tristamente celebre la storia di questa rivoltura. Gl’imbelli che perirono in questa guerra passarono di gran lunga gli armati, ed infinite sono le famiglie che scorrono prive di pane e di tetto per la campagna, e ricoverano come belve negli antri e nei sotterranei; e gli orfani che cercano indarno dei loro genitori morti nelle fiamme del borgo natio, o passati per le armi dei piemontesi, o periti in luride prigioni, dove a migliaia stivansi i sospetti.
I delitti perpetrati in questa guerra civile ci farebbero arrossire dell’umana spoglia che vestiamo. Gente della nostra patria vien passata per le armi senza neppure forma di giustizia italiana, nella simplice relazione di un nemico, pel semplice sospetto di aver nudrito, o dato asilo ad un insorto!
Ahimè! mercè questo governo piemontese, che ne disserve, il soldato, onde speravamo la franchezza d’Italia, è tenuto nelle provincie napoletane siccome nemico di Dio.
Il Maddaloni prosegue piangendo:
Nei vortici di fiamme, che divoravano il vecchio ed adusto Pontelandolfo, udivansi alcune voci di donne cantanti litanie e miserere. Certi uffiziali si avanzarono verso l’abituro onde veniva quel suono, ed aperto l’uscio, videro cinque donne che scapigliate è ginocchioni stavano attorno a un tavolo, su cui era una Croce con molti ceri aocesi. Volevano salvarle (dei pietosi ce ne sono dappertutto); ma quelle gridando: « Indietro…. maledetti……indietro…… non toccate, lasciateci morire incontaminate… ..) si ritrassero tutte in un cantuccio, e tosto sprofondò il piano superiore; e furono peste le loro ossa, e la fiamma consumò le innocenti.

Da un testimonio non sospetto, oculare ed auricolare, mi fu narrato che in Sicilia nel 1860 in parecchi Comuni, avvicinandosi i piemontesi, le autorità municipali facevano gridare dal banditore che si nascondessero le donne perchè arrivavano i piramontesi!
Questa era la fiducia, questo l’entusiasmo con cui venivano accolti i liberatori delle Due Sicilie ! Non si dimentichi mai che pei briganti i piemontesi intendevano gl’insorti in favore di Francesco II e che la reazione diventò vero brigantaggio dopo. Ebbene il comandante sardo Galateri emanò il seguente bando ai contadini della regione ov’egli operava.
“Io vengo per isterminare i briganti. Armatevi di falci, di forconi, di tridenti e perseguitateli per tutto. Chiunque darà asilo ad un brigante, sarà senza distinzione di età, di sesso, di condizione immediatamente fucilato”.
Al che, stomacato il Nicotera. (perfino il Nicotera.!) esclamava alla Camera:
I proclami di Cialdini e degli altri capi sono degni di Tamerlano di Gengis-Kan e di Attila.
Oltre il Ferrari, citato più sopra, molti altri deputati si scagliarono alla Camera di Torino contro le ferocie inaudite, consumate nell’Ascolano e nelle Due Sicilie, dai comandanti e commisssri sardi.
Si legga. il seguente squarcio della citata lettera di Dupanloup:
Fumel fucilava in Calabria i prigionieri a centinaia, e veniva chiamato a Torino il salvatore della Calabria. « Io ho sentito bagnarmisi il viso di sangue, gridava il deputato calabrese Miceli, quando ho letto che il colonnello Fumel aveva salvato la provincia di Cosenza, fucilando 350 prigionieri”.
11 29 dicembre 1862, il signor Ferrari diceva inoltre:
« Frattanto, o signori, noi sappiamo che si fucilano, che si arrestano famiglie intiere, che vi sono dei detenuti in assa. E’ una guerra da barbari. Se il vostro senso morale non vi dice che voi camminate nel sangue, io più non vi comprendo. E ciò ch’io ho detto del regno di Napoli, io lo dico altresì della Sicilia. Anche colà, arresti, esecuzioni, fucilazioni senza processi. E’ un sistema di sangue! coi fiumi di sangue non si rimedia al male.
« Nel mezzogiorno d’Italia non si vuol abbandonare questo sistema; e tutti coloro che portano un cappotto si credono autorizzati ad uccidere quelli che non lo portano”.

Queste parole sono state citate alla tribuna inglese da alcuni membri del prlamento brittannico, in una seduta memorabile, che lord Palmerston chiamava l’avvenimento della sessione, e in cui il signor Bentinck ed altri onorevoli membri della Camera dei Comuni protestarono in nome dell’onore inglese contro una politica atroce, che il governo d’Inghilterra. aveva troppo glorificata.

Cento e dieci mila piemontesi erano, e sono ancor, occupati in questa guerra; per modo che l’anno eeguente, il 31 luglio 1863, un altro deputato, l’Avezzana, esclamava nel Pùlamento piemontese: « Le atrocità che durano da due anni e nelle quali sembra che il governo riponga tut te Je sue speranze, ci disonorano al cospetto dell’Europa (Confessioni e Menzogne per G. Palomba, Londra 1863).
Ma era come parlare al muro, e i capi piemontasi continuano a dire nei loro proclami:
«Se i tali e tali briganti non si presentano fra ventiquattrore, io forò abbattere le loro case, arresterò i loro parenti, venderò i loro beni; e quando si presenteranno,verranno fuci!ati».
E il proclama era già eseguito.
Eppure questi mezzi furono trovati insufficienti; per0hè i piemontesi chiamarono in soccorso delle loro armi il tradimento e formarono ciò che un giornale di Torino, il Piemonte, ha chiamato la tariffa del sangue:
« Tanto a chi consegna, in qualunque modo un capo­banda; tanto a chi condurrà un napoletano vivo, tanto a chi lo presenterà morto ( Circolare della Commissione centrale dei sussidii: circolare della Commissione provinciale di Terra d’Otranto; citate dal signor Cochrane al parlamento inglese. ) ,..
In queste tariffe di sangue, la ricompensa pel cadavere di un reazionario morto è il triplo e il sestuplo di quella stabilita per un reazionario vivo.

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