“IL VERIDICO” n.12 fucilazioni senza processo, carcerazioni …

testata 12

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL GIORNALE “ILVERDICO” N. 12 DEL 15 NEVEMBRE 1862
pag.48- 50

IL BUON CAPO D’ANNO ANTICIPATO

In Napoli si stampa un giornale, che si chiama l’Avvenire; ed ha giustamente assunto questo titolo perchè, informato siccom’è dallo spirito maniaco d’oggi giorno  sospira a una condizione di cose, che, la Dio mercè, rimarrà sempre avvenire;come il domani del trattore, che prometteva agli avventori credenza. Or dovete sapere che il prelodato giornale ci vuole a noi poveri romani, un ben dell’anima, e ci desidera le più scapestrate felicità che si possano imaginare. Le quali ci augura fin da ora, sebbene non sia giunto ancora il tempo degli augurii, accomunandole e compendiandole in una sola enunciazione. Ci augura cioè (da senno, notate bene) la felicità di appartenere al regno italico. Or egli, che è istallalo a Napoli, cioè nel centro delle cosi dette provincie meridionali , deve saperne più di un altro quanto valgano le augurate felicità. Siccome però non si prende la briga di numerarcele, ve le conteremo noi.
Sono dunque, se già nol sapete, lo stato di assedio senza termine,fucilazioni senza processo, carcerazioni senza delitto, multe senza pietà,imposte senza fine, furti, latrocini, omicidi senza compassione, inidigenza senza soccorso, ignoranza senza istru zione, fallimenti senza risorse, suicidi senza numero, demoralizznazione senza risparmio, irreligiosità senza esempio, profanazione delle chiese, degli altari, dei vasi sacri, delle case religiose senza scrupolo, incendi, saccheggi, distruzione di terre, borghi, e villaggi senza misericordia per modo, che da una breve statistica fatta dall’ingegnere Le Belley risulta che fino ad ora il felicissimo regno ita­lico ha felicemente sacchegiato, incendiato, e distrutto ben sedici felicissime terre dell’antico Regno di Napoli, abitate da ben cinquanta mila felicissime persone.
Oh! andate a dire che l’Avvenire non ci vuol bene! Ci vuole quel medesimo bene che ci vuole il diavolo; il quale perchè si sente scottare la pelle vorrebbe, e fa di tutto affinchè andiamo a brusciarcela anche noi.
E, il bene, è l’amore dell’invidia.
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CRONACA

Il nuovo regno d’Italia è un mostro surto dall’osceno connubio dell’antico regno di Sardegna con la rivoluzione. Cotesti sposi ebber pronubi e paraninfi l’apostolo dell’idea ed il filibustiere di Montevideo, col turpe coro di generali venduti, di frati apostati, di preti schiericati, di politici borsaiuoli, di robespierri in sedicesimo. Fede nuziali furono gl’incendi orribili di Ponlelandolfo e Casalduni, le bombe rovinose d’Ancona e di Gaeta. Cantici ed inni, le grida strazianti di migliaia e migliaia di vittime italiane, abbandonale alla ferocia di nuovi cannibali, lasciate senza tetto e senza pane, sotto la verga di stranieri proconsoli e sotto il flagello di soldatesca licenza. Doni nuziali, i tesori derubati ai traditi Sovrani, i musei depredati alle antiche Capitali, il patrimonio del pupillo, della vedova, della Chiesa invaso e sperperato a profitto di bische e di lupanari.
Sì l’ambizione del Piemonte si pose a servigio della rivoluzione; la rivoluzione si pose a servigio dell’ambizione piemontese. Quella volle poggiarsi su questa con la mira di favoloso ingrandimento; questa accettò il braccio militare di quella con lo scopo d’universale sovvertimento. Vi furono patti dati ed accettati mutuamente. La rivoluzione dovesse sacrificare le sue tendenze republicane, il Piemonle la sua coscienza. E per vero di coscienza egli fece gettito il più scandaloso,
“…..e tiene un premio Ch’era follia sperar”

Ma il sovvertimento universale non giunse perchè la pietra angolare della Chiesa Cattolica resistè incrollabile agli urti e agli assalti di tutto l’inferno scatenato; e sullo scoglio del Vaticano s’infransero i flutti furibondi della rivoluzione mondiale.
La Divina Provvidenza, siccome altra volta iin somiglianti congiunture si valse della spada della cattolica Francia, la valorosa, la magnanima, la generosa figlia primogenita della Chiesa di Dio, per rintuzzare le ire scellerate della sua nemica.
E l’opera apparve tanto più mirabile a coloro, i quali, giudicando non sappiamo qquanto rettamente, dalle apparenze, attribuivano al reggitore di quella nazione mire tutt’altro che amiche e benevole alla S. Chiesa.
Egli però ha voluto che cadesse oramai ogni dubbio,che ogni incertezza si dileguasse,che lutti, amici e nemici, conoscessero la sua volontà.
Ed ha dichiarato solennemente al cospetto del mondo che mai più non isperi la rivoluzione, sposata al Piemonte, di ottener Roma; essendoché egli la difenderà ad oltranza dalle loro rapine e la conserverà, per fin che avrà vita, al suo legittimo signore, il Sommo Pontefice; che lo calunnierebbe chiunque asserisse aver lui mai pensato, e peggio ancora, promesso altra cosa.
In questo senso suona la nota spedita testè al Governo di Torino dal ministro Drouyn de Lhuys, in risposta alla famosa circolare Durando.
Ridotte le cose a tal punto, credete voi che durerà saldo il vincolo del Piemonte con la rivoluzione? Credete voi che questa sacconci all’ingrandimento di quello, una volta che vede frustrato il sovvertimento universale? che soffra in pace di restare nei limiti di semplice adiutrice d’un re, per quanto questo re le sia caro e diletto? E chi, che abbia un fil di criterio, potrebbe vederlo? La rivoluzione vuol tutto dominare; e sol per suo comodo e vantaggio accettava l’aiuto regio, pronta a disfarsene appena avesse acquistato tanta forza da non aver più bisogno di quello.
Il vincolo d’intersse che la congiungeva al suo drudo è infranto; la rivoluzione che non può più ottener tutto per sè, farà la vendetta dei re spodestati, dei fratelli traditi. Il Piemonte ha potuto reggere stentatamente,fìnchè ha potuto coltivar la folle speranza d’acquistar Roma. Perduta questa, è perduto il suo prestigio, e cadrà! Egli non creperà come la rana che volle enfiarsi per uguagliare il bue, ma rimarrà spennacchiato come il corvo che, svelte le sue, s’era adobbalo con le penne del pavone.
Ed infatti già si accredita la voce che il Ricasoli vada formando un partito toscano, non si sa bene se per conto suo o d’altri, che caldeggerebbe il ritorno all’idee d’autonomia. Nulla diciamo delle provincie napoletane, che tanto altamente ed energicamente protestano contro l’usurpatore, dando da due anni con somma costanza il formidabile contingente dei reazionarii, che distrugge sordamente quanto inonoratamente le migliori truppe governative.
A tal che Terni vien chiamato da’suoi abitanti la bocca d’inferno, perchè di quanti reggimenti passano di là per entrare nel napolitano, nessuno se n’è visto tornare addietro. Che risponderà il piccolo Piemonte a quel già florido e vasto regno, quando sarà costretto a confessare la sua impotenza per unificare I’Italia; mentre siffatta promessa unificazione fu l’unico pretesto della sordida scena del plebiscito?
O Roma o morte: lo pronunciò il ribelle d’Aspromonte, l’accettò il Governo debellatore; e questa fu e sarà la loro sentenza, che deve riuscire per necessità alla morte non potendo riuscire a Roma.
NOTIZIE VARIE 1862

Il corrispondente parigino dell’Armonia si rallegra cogli italiani perchè finalmente avranno la bella sorte di possedere la loro Caienna. Secondo certe notizie venute da Spagna il Governo Italiano avrebbe richiesto a Portogallo la cessione di un’isola nell’Oceania, ove sarebbero trasportati gli arrestati sotto lo stato d’assedio nelle provincie meridionali. Ed havvene di già in pronto più di quattro mila! Oh! benedetto l’Avvenire, che ci augura somiglianti felicilà !

I fallimenti sono all’ordine del giorno a Bologna, a Milano, a Parma ed in altre cospicue città dell’alta Italia. Si tratta delle più riputate case bancarie e di commercio, il cui deficit ascende ad una cifra spetTacolARE. Oh! benedetto L’AVVenire che ci aUgura somigliante felicità!

Il Diritto, giornale rivoluzionario, dà come autentiche le seguenti notizie intorno alle condizioni delle provincie meridionali.
Uno dei deputati di Capitanata scriveva quanto segue ad un suo collega da Lucera, in data del 28 Ottobre.
» Lo stato di questa provincia é pessimo, nè havvi speranza di meglio. I briganti hanno consumato forse la metà del ricolto con incendi, devastazioni e ricatti; si sono poi ingigantiti a segno, da venire ad insultare i grossi centri di popolazione, sino a due chilometri dalle mura della città. I proprietarii non possono
uscire dalle proprie case; i coloni, o non coltivano le terre pel nuovo ricolto, o lo fanno malissimo; i braccianti non trovan lavoro, perché gli agricoltori non possono darne, nè mandar gli animali in campagna, a disposizione degli assassini .
» Si è gridato e pregato per aver forza, ma nulla si è mai ottenuto. Ora vi è stata una presentazione di circa 120 briganti, ma ci stanno tuttavia grandi masse, fino a 20 a cavallo. Questo stato di cose, non esagerato al certo, porta un terribil tracollo alla finanza particolare e generale, un grave intoppo all’amministrazione della giustizia, un grandissimo incaglio al commercio un discredito immenso al governo, e, ciò eh’è più triste, mette un dubbio funesto nell’animo di tutti sulle nostre fu- ture sorti.
» Ma se cosi è della Capitanata, non diversamente è a dirsi del Barese.
» Una lettera di un pubblico funzionario che risiede in una delle piò popolose città di quella provincia, scrive ad un deputato nostro amico.
» È tempo che si ponga on confine agli arbitrii; che si determinino le facoltà che competono, anche in questo stato eccezionale, all’autorità militare. Il 27 ottobre questo paese fu per trovarsi in preda al disordine, stante un conflitto fra quest’ultima e il consiglio municipale
» Intanto il brigantaggio continua a devastar le campagne.
I briganti, respinti da punti vicini, ripiegano su questi paesi. Il prefetto fa appello alla guardia nazionale. Ma chi oramai risponde? Dopo il disastro di Aspromonte, la sfiducia è ingigantita, la prostrazione è generale ”
Oh! benedetto l’Avvenire, che ci augura somiglianti felicità!
A V V I S O

Ci è grato annunziare uno spaccio di pane e di paste a ribasso di prezzo, in Via di S. Agostino sotto l’Arco.
Il pane di prima qualità invece di bajocchi 28 a bajocchi 25 la decina.
La pasta fina invece di 5 bajocchi a quattro bajocchi la libra e l’ordinaria a bajocchi due e mezzo.