DUE SORELLE.

CARTA DI Venosa
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LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 10° episodio
DUE SORELLE.
di Valentino Romano (*)
Maria Teresa e Serafina Ciminelli: l’intreccio delle storie di queste due sorelle di Francavilla in Sinni con quelle di tutti i loro congiunti, ne fa un caso assai singolare di saga familiare. Storiografia e letteratura di settore spesso confusero le vicende delle due donne, attribuendo superficialmente azioni, responsabilità e amori dell’una all’altra.
A sistemare organicamente, con i pochi dati reperibili, le schede biografiche di Maria Teresa e Serafina, ci ha pensato Maurizio Restivo nel suo “Ritratti di brigantesse”.
Maria Teresa nacque il 14 agosto 1841; Serafina qualche anno appresso, probabilmente nel 1845. Il padre, Domenico, faceva il contadino come la madre, Maria Luigia Ferrara.
Le due donne avevano un fratello minore, Fiore, nato nel 1846 e dedito alla pastorizia: una famiglia ribelle e sicuramente ostile al re Vittorio, tanto da poter annoverare le due sorelle tra le poche donne autenticamente insorgenti per motivazioni politiche.
Maria Teresa, filatrice, di bassa statura (era lasta appena m.1.50) e dai tratti regolari, secondo la scheda segnaletica allegata al suo processo, aveva una cicatrice sull’occhio destro: era andata presto sposa a un contadino suo conterraneo, Vincenzo Manieri.
Serafina ancora giovanissima, si unì alla banda di Antonio Franco, un corpulento omaccione nato anch’egli a Francavilla ed operante nella zona del Lagonegrese. La biografia di questo capo brigante è l’archetipo di quelle di gran parte dei briganti: appena adolescente era stato mandato nei paesi vicini a fare il guardiano di pecore e di porci; con altri compagni rubò, per sfamarsi, un montone. Accusato anche di altri furtarelli, fu arrestato a quattordici anni. Liberato, fu chiamato alle armi, dove imparò a scrivere. Congedato e tornato al paese e accolto dalla indifferenza generale, Franco fu presto richiamato alle armi nel nuovo esercito italiano: tradito dal sindaco, Nicola Grimaldi, al quale si era rivolto per una raccomandazione, si gettò alla macchia aggregandosi alle bande più conosciute della zona. Nell’arco di quattro anni con più innumerevoli grassazioni, incendi, sequestri e omicidi. Alla sua banda si aggregarono pure in tempi diversi, Maria Teresa, il marito e il padre. Fiore, il più giovane della famiglia Ciminelli, per non essere da meno dal resto della famiglia (e, come pare, convinto da Serafina) si dette al brigantaggio nel settembre del ‘63. Maria Teresa fu catturata con il padre e con il marito dalla Guardia Nazionale di Terranova il 13 febbraio del ’64: stessa sorte subì Fiore, arrestato il 9 ottobre del ‘65 a Lagonegro.
La madre fu incarcerata nel settembre 1863 perché sospettata di manutengolismo.
Rimanevano liberi Serafina e Antonio Franco: i due, ormai privi di collegamento e inseguiti in ogni dove dalle truppe, tentarono di rifarsi una vita cercando di espatriare in America; in attesa di passaporti contraffatti commisero l’errore di fidarsi del capitano della Guardia Nazionale, Luigi Gesualdi che in passato li aveva aiutati. E questi – per il solito doppiogiochismo di certuni galantuomini con il piede in tutte le staffe possibili – li tradì, facendoli ricoverare in una casa dove poco dopo giunsero i mitili catturandoli. Era il dicembre del 1865.
Antonio, giudicato immediatamente dal Tribunale di guerra fu condannato a morte e fucilato nella piazza di Potenza. Si racconta che la sua ultima preoccupazione, esternata al prete che lo accompagnava sul luogo dell’esecuzione, fosse proprio la sorte di Serafina.
Maria Teresa venne 26 maggio 1867 condannata il 18 agosto del ‘64 ai lavori forzati a vita: la sentenza poi venne ridotta con Regio Decreto del 26 maggio ’67 a dieci anni di reclusione, scontati i quali tornò nel proprio paese dove visse fino all’età di 86 anni.
Fiore il 20 ottobre del ‘65 fu condannato ai lavori forzati a vita; Domenico il 17 dicembre del ’66 fu condannato dalla Corte d’Assise di Potenza a cinque anni di reclusione.
Maria Luigia Ferrara fu condannata il 30 dicembre 1863 ai lavori forzati a vita. La pena le fu ridotta con Regio decreto a quindici anni il 4 gennaio del ’65, poi a dieci nel gennaio 1868 e infine a sette il 27 aprile del 68.
Vincenzo Manieri scontò tre anni di reclusione.
Serafina ebbe quindici anni di reclusione che poté scontare solo in minima parte: il 12 novembre del ’66, infatti, morì nel carcere di Potenza a causa del sopraggiungere di una setticemia.
I vari autori che si sono occupati della vicenda di Maria Teresa e di Serafina attribuiscono a quest’ultima il ruolo di amante di Antonio Franco; i fondi d’archivio sostengono, al contrario, come fosse Maria Teresa la donna del brigante: è difficile venirne a capo, ma la cosa – a ben riflettere – non appare poi di eccessiva importanza. Può essere pure che lo siano state entrambe, magari in tempi diversi. Ma cosa importa? Ciò che interessa, oltre la pruderie del dettaglio, è riflettere sul rapido dissolversi di un’intera famiglia, travolta dalla “guerra cafona”.
(*) Promotore Carta di Venosa279118517_161794886259849_6834273623429372414_n

CARTA DI Venosa
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LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 10° episodio
DUE SORELLE.
di Valentino Romano (*)
Maria Teresa e Serafina Ciminelli: l’intreccio delle storie di queste due sorelle di Francavilla in Sinni con quelle di tutti i loro congiunti, ne fa un caso assai singolare di saga familiare. Storiografia e letteratura di settore spesso confusero le vicende delle due donne, attribuendo superficialmente azioni, responsabilità e amori dell’una all’altra.
A sistemare organicamente, con i pochi dati reperibili, le schede biografiche di Maria Teresa e Serafina, ci ha pensato Maurizio Restivo nel suo “Ritratti di brigantesse”.
Maria Teresa nacque il 14 agosto 1841; Serafina qualche anno appresso, probabilmente nel 1845. Il padre, Domenico, faceva il contadino come la madre, Maria Luigia Ferrara.
Le due donne avevano un fratello minore, Fiore, nato nel 1846 e dedito alla pastorizia: una famiglia ribelle e sicuramente ostile al re Vittorio, tanto da poter annoverare le due sorelle tra le poche donne autenticamente insorgenti per motivazioni politiche.
Maria Teresa, filatrice, di bassa statura (era lasta appena m.1.50) e dai tratti regolari, secondo la scheda segnaletica allegata al suo processo, aveva una cicatrice sull’occhio destro: era andata presto sposa a un contadino suo conterraneo, Vincenzo Manieri.
Serafina ancora giovanissima, si unì alla banda di Antonio Franco, un corpulento omaccione nato anch’egli a Francavilla ed operante nella zona del Lagonegrese. La biografia di questo capo brigante è l’archetipo di quelle di gran parte dei briganti: appena adolescente era stato mandato nei paesi vicini a fare il guardiano di pecore e di porci; con altri compagni rubò, per sfamarsi, un montone. Accusato anche di altri furtarelli, fu arrestato a quattordici anni. Liberato, fu chiamato alle armi, dove imparò a scrivere. Congedato e tornato al paese e accolto dalla indifferenza generale, Franco fu presto richiamato alle armi nel nuovo esercito italiano: tradito dal sindaco, Nicola Grimaldi, al quale si era rivolto per una raccomandazione, si gettò alla macchia aggregandosi alle bande più conosciute della zona. Nell’arco di quattro anni con più innumerevoli grassazioni, incendi, sequestri e omicidi. Alla sua banda si aggregarono pure in tempi diversi, Maria Teresa, il marito e il padre. Fiore, il più giovane della famiglia Ciminelli, per non essere da meno dal resto della famiglia (e, come pare, convinto da Serafina) si dette al brigantaggio nel settembre del ‘63. Maria Teresa fu catturata con il padre e con il marito dalla Guardia Nazionale di Terranova il 13 febbraio del ’64: stessa sorte subì Fiore, arrestato il 9 ottobre del ‘65 a Lagonegro.
La madre fu incarcerata nel settembre 1863 perché sospettata di manutengolismo.
Rimanevano liberi Serafina e Antonio Franco: i due, ormai privi di collegamento e inseguiti in ogni dove dalle truppe, tentarono di rifarsi una vita cercando di espatriare in America; in attesa di passaporti contraffatti commisero l’errore di fidarsi del capitano della Guardia Nazionale, Luigi Gesualdi che in passato li aveva aiutati. E questi – per il solito doppiogiochismo di certuni galantuomini con il piede in tutte le staffe possibili – li tradì, facendoli ricoverare in una casa dove poco dopo giunsero i mitili catturandoli. Era il dicembre del 1865.
Antonio, giudicato immediatamente dal Tribunale di guerra fu condannato a morte e fucilato nella piazza di Potenza. Si racconta che la sua ultima preoccupazione, esternata al prete che lo accompagnava sul luogo dell’esecuzione, fosse proprio la sorte di Serafina.
Maria Teresa venne 26 maggio 1867 condannata il 18 agosto del ‘64 ai lavori forzati a vita: la sentenza poi venne ridotta con Regio Decreto del 26 maggio ’67 a dieci anni di reclusione, scontati i quali tornò nel proprio paese dove visse fino all’età di 86 anni.
Fiore il 20 ottobre del ‘65 fu condannato ai lavori forzati a vita; Domenico il 17 dicembre del ’66 fu condannato dalla Corte d’Assise di Potenza a cinque anni di reclusione.
Maria Luigia Ferrara fu condannata il 30 dicembre 1863 ai lavori forzati a vita. La pena le fu ridotta con Regio decreto a quindici anni il 4 gennaio del ’65, poi a dieci nel gennaio 1868 e infine a sette il 27 aprile del 68.
Vincenzo Manieri scontò tre anni di reclusione.
Serafina ebbe quindici anni di reclusione che poté scontare solo in minima parte: il 12 novembre del ’66, infatti, morì nel carcere di Potenza a causa del sopraggiungere di una setticemia.
I vari autori che si sono occupati della vicenda di Maria Teresa e di Serafina attribuiscono a quest’ultima il ruolo di amante di Antonio Franco; i fondi d’archivio sostengono, al contrario, come fosse Maria Teresa la donna del brigante: è difficile venirne a capo, ma la cosa – a ben riflettere – non appare poi di eccessiva importanza. Può essere pure che lo siano state entrambe, magari in tempi diversi. Ma cosa importa? Ciò che interessa, oltre la pruderie del dettaglio, è riflettere sul rapido dissolversi di un’intera famiglia, travolta dalla “guerra cafona”.
(*) Promotore Carta di Venosa