PORZIA MONTANARO.

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 31° episodio PORZIA MONTANARO. OVVERO ALLA MACCHIA PER FORZA O PER AMORE?
di Valentino Romano (*)

Acerenza, 1860 e dintorni.
Qualche settimana addietro il mio amico Vincenzo Guglielmucci di Genzano di Lucania, conosciuto negli anni lontani di un famoso convegno a Pietragalla, mi faceva dono di un suo saggio, scritto a quattro mani, con Antonio Giordano, dal titolo per me accattivante assai: “Porzia Montanaro e gli anni del brigantaggio in Acerenza (1860-1864)”. Il titolo aveva attirato immediatamente la mia attenzione perché da tempo ero sulle tracce di questa brigantessa, della quale sapevo ben poco. Ed è di questa donna, amici, che voglio parlarvi nel “domenicale” di oggi, ringraziando Vincenzo che me ne ha offerto la possibilità.
Porzia fu la donna del brigante Francesco Galotta, detto anche “Armando” o “Bellarosa”: la sua vicenda brigantesca presenta, come per tante altre sue “colleghe”, parecchie incertezze e molti lati oscuri e, uno dei maggiori meriti del saggio di Guglielmucci e Giordano è quello di contribuire, se non a dissiparli del tutto, almeno a portarli all’attenzione del lettore: una di queste incertezze è costituita dalla volontarietà o meno del suo darsi alla macchia al seguito di un brigante.
Che poi, per dirla più a più chiare lettere, è uno dei dilemmi ricorrenti che più mi appassionano nell’approccio a tutte le “mie” donne e che stimolano sempre nuove ricerche: “per forza o per amore”?
La vicenda di Porzia, che, come descrive la relativa scheda segnaletica, era di “occhi cervone, capelli biondi, viso tondo, naso giusto, bocca regolare, colorito rossastro, mento tondo”, è stata efficacemente riassunta dai due autori: orfana, già in tenera età, di padre, a seguito di un nuovo matrimonio della madre era stata affidata alle cure della nonna, Porzia Lomastro; costei, come sostengono Guglielmucci e Giordano, conduceva una vita piuttosto licenziosa, accompagnandosi spesso con elementi poco raccomandabili e, in particolare, proprio con il brigante Galotta. E dovette essere proprio a causa di queste frequentazioni che il brigante venne in contatto con Porzia, finendo con l’invaghirsene. Il momento topico dell’avventura brigantesca di Porzia si consumò nell’agosto del 1862 allorché la nonna la costrinse ad accompagnarla a raccogliere legna nel bosco dove, in linea con lo schema ricorrente di narrazioni simili, sarebbe stata presa con la forza dal brigante che, in cambio del “favore” ricevuto, avrebbe ricompensato la Lomastro con alcune monete. Siamo in presenza di uno dei tanti casi di lenocinio familiare nei quali mi sono più volte imbattuto e dei quali darò conto nel mio prossimo saggio? Può essere, perché no? Anche qui, tra narrazione e reale andamento dei fatti, è difficile individuare la verità.
Guglielmucci e Giordano nel loro saggio, molto opportunamente, danno diretta voce alla donna, riportando, quasi integralmente, il suo interrogatorio.
Lasciamo, perciò, raccontare i fatti alla stessa Porzia, affidando poi a ognuno di noi la libertà della loro interpretazione. Una volta catturata, la ragazza lasciò la deposizione.. Estrapoliamone qualche passaggio: “Signore, credo di essere stata arrestata per aver dimorato nei boschi insieme con Rubino Domenico capobrigante di Palazzo il quale vedendomi gravida ad otto mesi mi ha consegnato al nomato Mauro Galantini di Bisceglie, domiciliato qui in Spinazzola, affinché mi avesse tenuta nella propria casa fino allo sgravo”.
Come c’era arrivata a dimorare nel bosco con Rubino? Non era stata rapita e sedotta dal Galotta? Ecco la sua spiegazione:
“Internandomi nel bosco l’Armante [Galotta] mi violentò abusando di me, e così stetti vagando seco lui di bosco in bosco fino ad agosto ultimo e propriamente fino a che l’Armante essendosi recato nelle vicinanze di Spinazzola ad oggetto di rubare e ricattare vennemi nel bosco di palazzo ove io era stata rimasta, la nuova di essere stato ucciso l’Armante da un tale parziale di Spinazzola e il cadavere si trovava nel bosco di Montemilone; tale notizia me la dava Rubino.
Rimasta io desolata mi misi in amorosi legami con Domenico con il quale mi sono intrattenuta fino a che questi mi affidava al nominato Galantini”. Ed è questo il caso, non frequente, nel quale è direttamente una “donna del brigantaggio” a certificare più relazioni alla macchia. Il che, per inciso, dimostra come non sia proprio il caso di inventarne altre farlocche del tipo “i vari amori di Filomena Pennacchio”: basterebbe studiare e approfondire come hanno fatto i due autori e non dare sfogo alla propria fantasia, spacciandola per verità storica. Va beh, questo è discorso che affronteremo un’altra volta ma che, intanto, mi piace anche accennare adesso.
La deposizione ricalca, il canovaccio difensivo usuale per molte delle donne del brigantaggio, la costrizione, il ratto, la violenza. Crederci o meno, in assenza di prove certe, resta come sempre un atto di fede. C’è, però, un particolare che in questo caso stride parecchio con l’ipotesi della costrizione. A fornirlo è la stessa Porzia, laddove in precedenza aveva affermato che, ben prima del presunto ratto “io era fidanzata a Francesco Armante soprannominato Gallotta, il quale si fece brigante per esonerarsi dal servizio militare come sortato alla leva, non sapendo io che si fosse cooperato a fargli dare tale passo, sicché trascorse quasi un anno senza averlo visto”.
Beh, se è vero che già prima del fatale incontro boschivo i due amoreggiassero, è anche lecito pensare come la tesi del successivo “ratto” presentasse qualche crepa. Amici, sono forse io il solito malpensante? E sia pure, ma se proprio debbo passare per tale, tanto vale che ci aggiunga anche un’altra “cattiveria”: e se la scena del rapimento fosse appunto una …messinscena? Pensateci un attimo: se proprio nonna Porzia avesse voluto “vendere” la nipote, commettendo un reato, si sarebbe portata appresso una testimone? Infatti, gli autori del saggio sostengono, prove alla mano, come a nonna e nipote si accompagnasse per legnare un’altra donna che avvalorò con la sua testimonianza il racconto delle imputate ma che di suo, per converso, avrebbe anche potuto denunciarle. E se allora le monete date dal brigante a nonna Porzia (o anche alla testimone-complice) fossero il prezzo della versione addomesticata dei fatti, proprio per sminuire le responsabilità di Porzia nipote nel caso, non improbabile, di futura cattura?
Ad ogni modo, quel che è certo è che Porzia, gravida al nono mese del suo nuovo compagno, fu catturata nella casa dove era rifugiata, processata e condannata nel 1867 dalla Corte d’Assise di Potenza a sette anni di reclusione.
Grazie al fascicolo processuale studiato dai due autori conosciamo un altro particolare del coté che circondava Porzia e, che può facilmente ricondursi a molte delle donne del brigantaggio: i briganti della banda frequentata dalla donna erano collegati a quelle, ben più famose, di Crocco e Ninco Nanco. Raccontano Guglielmucci e Giordano come dopo la permanenza nel bosco San giuliano, Galotta e Porzia si erano portati nel bosco di Lagopesole dove avevano incontrato Crocco e gli altri capi riconosciuti della rivolta contadina: “Alla loro presenza, in segno di rispetto assoluto, il Galotta invitava la donna a baciare la mano del generale…”.
Baciare la mano! Rispetto assoluto, sottomissione al capo dunque. Ma anche, e soprattutto, sottomissione di genere! Con buona pace di chi si ostina a vedere nelle donne del brigantaggio le antesignane del moderno femminismo. Di questo, però, ne parleremo prossimamente. Per ora, amici, mi basta avervi maleficamente insinuato qualche dubbio. E la cosa m’intriga assai perché sono fermamente convinto come la Storia non sia fatta di sole certezze ma anche di dubbi. E il dubbio dovrebbe essere lo strumento principe di ogni nostro serio approfondimento. N’est pas?
Buona domenica a tutti.

(*) Promotore Carta di Venosa

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