La fine di un Regno: Cap.XI Garibaldi entra a Palermo

RICERCA EFFETTUATA DAL LIBRO “R. DE CESARE (MEMOR) LA FINE UN REGNO (NAPOLI E SICILIA) Parte II. REGNO DI FRANCESCO II
945 . 7-8 CITTA DI CASTELLO S. LAPI TIPOGRAFO-EDITORE – 1900
PROPRIETÀ LETTERARIA THE GETTY RESEARCH INSTITUTE LIBREARY PARTE II. REGNO DI FRANCESCO II

COPERTINA parte IICAPITOLO XI

Sommario: Le agitazioni di Palermo e la polizia — Arresti e fughe — Una notizia priva di documenti — Garibaldi entra a Palermo — Primi scontri — Il bombardamento della città — I primi successi dei garibaldini — Il governo municipale eletto da Garibaldi — Il 29 maggio — La prima tregua — L’arrivo della colonna Von-Mechel — Il maggiore Bosco — Le navi napoletane ed estere nel porto — Si conosce a Napoli l’ingresso di Garibaldi — Gli emigrati e la rivoluzione in Sicilia — Una missione in Inghilterra — Documenti interessanti — Consiglio di Stato del 30 maggio — Gravi parole del generale Filangieri — Proposte e deliberazioni — Un giudizio del Re su Garibaldi — Congresso diplomatico alla Reggia — Primo liberalismo di Nunziante — Altri Consigli di Stato — Il piano di Filangieri e il generale Nunziante — Il ministro Brenier — I consigli di De Martino — Filangieri e gli zelanti — Il principe di Satriano si ritira a Pozzopiano — Visita improvvisa del Re — La fine di Carlo Filangieri e l’opera sua — Suo monito al figlio.
DA PAG 227 A 238 OMISSIS

DA PUBBLICARE DA 238

La notizia dell’entrata di Garibaldi a Palermo sbalordi e commosse tutta l’Italia e l’Europa liberale. Non si pensò che a rafforzare la rivoluzione. Mentre Agostino Bertani raccoglieva denari e armi a Genova, gli emigrati napoletani e siciliani che erano a Torino, escogitarono un mezzo anche più eroico, proponendo a Medici e a La Farina di mandare in Inghilterra Agostino Plutino, con l’incarico di provvedere di vapori la rivoluzione.
Mancavano si i danari, ma non si arrestarono a tale difficoltà ; anzi, conferendo al Plutino l’ incarico dell’acquisto, posero esplicitamente a carico del governo da costituirsi in Sicilia, il debito non lieve che si andava a contrarre. Si era perduta ogni misura nel valutare le difficoltà, e n’è prova questo caratteristico docu-
mento che io pubblico integralmente : è il mandato che Medici e La Farina e alcuni dei più autorevoli emigrati dettero al loro amico, in data di Torino, 29 maggio :

Il signor Agostino Plutino è incaricato di recarsi in Inghilterra, colà provvedere in soccorso della Rivoluzione siciliana, all’acquisto di battelli a vapore a grande velocità e a poca immersione, che verranno posti a disposizione di chi avrà assunto la direzione militare di nuove spedizioni. Il sottoscritto s’ interesserà di fare approvare dal Governo, che sarà costituito in Sicilia, qualunque stipulazione fosse per essere convenuta a riguardo di detti vapori dal signor Agostino Plutino.

Firmato : G. Medici.

E più giù sullo stesso foglio :

Confermo quanto ha scritto disopra il colonnello Medici, e prometto di aiutare l’impresa con i mezzi, che fornirà la sottoscrizione in favore della Sicilia aperta dalla Società Nazionale Italiana.
Il signor Plutino è incaricato pure di trattare in Francia e ovunque

Il Fresidente (firmato) La Farina.

E più innanzi, sempre sullo stesso foglio :

Il latore della presente è il signor Agostino Plutino, già colonnello della guardia nazionale di Reggio di Calabria e fratello dell’ex-deputato Antonino Plutino, che è partito per Sicilia con la spedizione del generale Garibaldi.
Noi qui sottoscritti e già deputati al Parlamento e cittadini di quelle Provincie conferiamo con la presente al sullodato nostro egregio concittadino Agostino Plutino, pieno mandato con le più ampie facoltà, affinchè promuova la raccolta di tutti i mezzi necessari per sostenere e diffondere
il moto nazionale nelle Due Sicilie impegnando la nostra parola di far ratificare il suo operato, e qualunque contratto egli sarà per conchiudere con case inglesi, non appena sarà costituito un Governo nazionale.
Torino, 6 giugno 1860.

Firmati: Carlo Pozzio, già deputato al Parlamento di Napoli — Duca di Caballino, Sigismondo Castromediano — Pietro Leopardi, già deputato al Parl. Nap., e inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso la Real Corte di Sardegna — Giuseppe Pisanelli, già deputato al Parl. Nap. — Antonio Ciccone, id. id. — Raffaele Con-
forti, id. id. — Giuseppe Tripepi, nominato nel 1848 Commissario del potere esecutivo nella provincia di Beggio — Cav. Eaffaele Piria.(Arch. Plutino)

E in data 1° giugno, Salvatore Tommasi presentava e raccomandava il Plutino ad Antonio Panizzi, perchè lo coadiuvasse
nell’impresa.

Il 30 maggio, alle 10 1/2 del mattino, fu tenuto un grande Consiglio di stato e di famiglia, al quale intervennero i conti d’Aquila, di Trapani e di Trani,Filangieri, Troja e Giuseppe Ludolf, ministri di Stato. Filangieri fu mandato a chiamare alle 11 1/2. Appena giunto, Francesco II lo invitò a parlare. Filangieri disse, che, anche in quei momenti, cosi paurosi e gravi, era costretto a ripetere quanto espose altre volte, che cioè la politica napoletana doveva trasformarsi, abbandonando l’Austria
e seguendo la Francia ; cbe tale trasformazione avrebbe dovuto compiersi fin dal giorno che il Piemonte e la Francia vinsero a Magenta e a Solferino, e fin d’allora concedere una Costituzione imperiale, e di accordo col Piemonte e con Napoleone, occupare le Marche, per togliere al Piemonte l’occasione d’invaderle, dal momento che il Papa aveva raccolti a sua difesa i legittimisti di tutta Europa, e datone il comando al generale Lamoricière. ” Ma le mie convinzioni soggiunse, non convinsero
il Re, e n’ebbi gran dolore, perchè presentii le sventure che ora ci sovrastano. Mi son permesso già da tempo di sottomettere al Re la mia opinione, cioè che in Sicilia non si compie un’ insurrezione ma tutta una rivoluzione, e le rivoluzioni non si combattono col cannone, ma si cerca conquistarle moralmente „(Arch.Filangieri)

Propose di mandare a Parigi persona adatta per trattare con l’Imperatore, e ottenerne le necessarie guarentigie per l’ integrità del Regno, o almeno delle provincie continentali. Il generale Carrascosa lealmente gli disse : ” Se l’Eccellenza Vostra fosse partita il 4 aprile per la Sicilia, la causa del Re sarebbe trionfata nell’ Isola” . Filangieri gli rispose : ” V’ingannate, generale. Quando io abbandonai il 30 settembre 1854 la Sicilia, portai meco la convinzione, che il sistema di governo, che si voleva imporre da Cassisi a quel paese, l’avrebbe fatto presto o tardi perdere alla Monarchia napoletana „ .

Il conte d’Aquila aderì con grande disinvoltura a Filangieri, dichiarando che Brenier gli aveva detto più volte, che se il Re avesse dato uno Statuto a tipo imperiale, la Francia avrebbe garantita l’integrità della Monarchia. Vi aderì anche il vecchio Cassaro, presidente del Consiglio e vi aderirono Carafa e Comitini,però dichiarando non credere opportuno mandare persona a Parigi: potersi trattare direttamente con Brenier. Il Re incaricò Carafa di convocare i ministri esteri per assodare la circo-
stanza riferita dal conte d’Aquila.
Sulla proposta di un mutamento radicale nella politica interna ed estera, lunga e vivacissima fu la discussione. Chi era per la resistenza ad ogni costo ; ohi si contorceva come il conte di Trapani ; chi si teneva la testa fra le mani e non diceva verbo, come il conte di Trani; chi, invece, diceva delle bestialità come
Ajossa. Il Re non sembrava molto preoccupato ; anzi fu in quel Consiglio, che rivelò le sue tendenze fatalistiche quando disse :
“Don Peppino — cosi egli chiamava Garibaldi — ha le mani nette, ma egli è un sipario; dietro di lui stanno le potenze occidentali e il Piemonte che hanno decretata la fine della dinastia „ .
Venuti ai voti sulla proposta Filangieri, votarono a favore il conte d’Aquila, il principe di Cassaro, Winspeare, Gamboa, Scorza, il principe di Comitini, il conte Ludolf, ed egli stesso, Filangieri, coi direttori Rosica, Ajossa e Carafa ; la respinsero Troja e Carrascosa, tenaci sino all’ultimo ; si astennero, cioè non risposero
né si, ne no, il conte di Trani, il conte di Trapani e il direttore De Liguoro. Filangieri comunicò i punti essenziali del suo Statuto, proponendo che l’inviato straordinario ne informasse minutamente Napoleone. Un altro congresso seguì, un’ora dopo, ma fu tutto diplomatico. Si riunirono alla Reggia, invitati da Carafa, i ministri esteri, che erano quelli di Francia, d’ Inghil- terra, di Sardegna, di Spagna, di Russia, d’Austria, di Prussia, degli Stati Uniti e il nunzio pontificio. Carafa espose il motivo della riunione, e Brenier fece dichiarazioni più restrittive : concesso lo Statuto, egli sperava che l’Imperatore avrebbe dato delle guarantigie; Elliot disse di non avere istruzioni e doverne riferire al suo governo ; gli altri opinarono che i rispettivi governi avrebbero garantita l’ integrità della Monarchia, e questa dichiarazione, o meglio opinamento dei ministri, parve senza consistenza, non avendo alcun potere per farla.

Il giorno seguente vi fu nuovo Consiglio di Stato; Carafa riferì l’esito della riunione dei ministri esteri, ma nulla d’importante vi fu deciso.

Un vapore francese, giunto alle cinque di quel giorno, portò le notizie più recenti di Palermo, confermando il primo armistizio.
Il bombardamento era cessato; aveva distrutto sessantaquattro case e parecchi edifìzii, e uccisa molta gente in città. Rotta ogni comunicazione col mare, erano concentrati attorno a Palazzo Reale da dieci a dodicimila uomini. La situazione non pareva disperata, ma del Lanza non si avevano nuove dirette, e il telegrafo
fra l’Isola e il continente seguitava ad essere interrotto. Le notizie produssero molta agitazione ; pattuglie di guardie di polizia e di cavalleria erano schierate a Toledo, a Chiaja e a Santa Lucia.

I liberali ripetevano una frase di Garibaldi : fra quindici giorni a rivederci a Napoli. Questa frase era stata ripetuta anche in Corte, e Nunziante, cominciando in quel giorno a liberaleggiare, diceva che il Re dovesse fare delle concessioni ; che il maledetto vapore austriaco era stato l’uccello del malaugurio, e l’Austria,
come sempre, la rovina di Napoli!

Il 1°giugno, vi fu nuovo Consiglio di Stato per decidere se si dovesse proporre al Re la concessione dello Statuto. Troja, Carrascosa, Scorza e Ajossa si mostrarono più che mai avversi.
Fu riferito che Brenier avesse detto dovere prima il Re dare la Costituzione, e poi egli scriverebbe a Walewski per chiedere la promessa e desiderata guarentigia. Venne deciso di affidare a Filangieri, Gamboa e Carafa l’incarico di formulare un progetto di Costituzione, il quale fosse un mezzo termine tra quello proposto l’anno innanzi da Filangieri, la Costituzione bozzelliana del 1848 e la sarda. Dopo il Consiglio, il Re si trattenne a parlare coi principi reali, con Filangieri e Carafa, delle cose di Sicilia. Erano arrivati quella mattina da Palermo il generale Letizia e il colonnello Buonopane, inviati da Lanza, e avevano riferito al Re tutto ciò che vi era accaduto, dal 27 al 30 maggio, descrivendo con colori molto oscuri lo stato dell’esercito e le condizioni di Palermo e concludendo che, allo stato delle cose,
non vi era altro da fare che ritirarsi. Il principe di Satriano espose al Re tutto un piano per la ritirata, consigliando il concentramento delle truppe ai Quattro Venti, come il punto più adatto anche per un eventuale imbarco di queste. Il piano fu approvato dal Re, che ordinò di far ripartire il giorno stesso Letizia e Buonopane, con la Saetta. Ma, nella notte seguente, Filangieri venne chiamato in gran fretta a Portici, e vi trovò col Re, Nunziante e Latour. Il Re gli disse ohe Letizia e Buonopane non erano ancora partiti, perchè Nunziante e Latour, due di quelli, che Filangieri chiamava per ironia gli strateghi, consigliavano un altro piano, e questo era di far muovere le truppe per la pianura della Guadagna, in prossimità del mare, verso sant’Erasmo ; di formare in quel punto un campo trincerato ; di tenere il forte di Castellamare e la batteria del molo, perchè al momento opportuno si potesse ricominciare il bombardamento della città.
Filangieri disapprovò vivacemente questo piano ; disse pericolosa, anche perchè malsana, la pianura della Guadagna: solo luogo di concentramento per una ritirata essere i Quattro Venti.
E poiché Nunziante faceva delle osservazioni, Filangieri lo invitò bruscamente ad andare lui ad eseguire quel piano, di cui si rivelava l’autore. Nunziante confessò di essersi ingannato, e aderì al giudizio di Filangieri, il quale, a proposito del bombardamento, osservò che l’insurrezione non era più domabile col cannone, e scongiurò il Re a non dare questi ordini, i quali avrebbero risollevate contro di lui le ire dell’ Europa liberale. Il Re parve persuaso. Uscendo dalla sala del Consiglio,Latour disse ad alcuni, che erano in anticamera : “”Filangieri ha avuto due torti: nel 1848 di non aver rasa Palermo, ed ora di non volerla far bombardare per salvare il suo maggiorasco „ .
Alle cinque della mattina ripartì la Saetta per Palermo, con istruzioni esplicite date a Letizia e a Buonopane, di far eseguire la ritirata ai Quattro Venti, e niuna istruzione esplicita circa il bombardamento.
Il giorno 4, Letizia e Buonopane tornarono di nuovo a Napoli, a bordo dello stesso legno. Vennero a chiedere altre istruzioni, poiché Garibaldi, protetto dalla flotta inglese, imponeva una regolare capitolazione, collo sgombero di Palermo da parte delle truppe regie. Letizia si lodava molto dei modi e delle forme di Garibaldi, e il Re lo ascoltava con curiosità e quasi con compiacenza! Disse anche che gli ufficiali napoletani, passati a Garibaldi, erano soli dodici, e tra essi, due capitani. Ri-
partirono il giorno stesso, con istruzioni che le truppe uscirebbero da Palermo con tutti gli onori militari, imbarcandosi con equipaggi, bagagli e materiali da guerra, ai Quattro Venti per Napoli: convenzione, la quale poi venne sottoscritta il 6 giugno da Garibaldi, Letizia e Buonopane. Il Lanza non vi ebbe parte, e se ne chiamò irresponsabile.

Gli avvenimenti incalzavano. Nella notte dal 4 al 6 giugno, Brenier ebbe una lunga conversazione col Re, la quale si protrasse sino alle 2 1/2 della mattina. Si parlò delle cose di Sicilia e del progetto di Costituzione, e degli studii che vi faceva la commissione incaricata di redigerlo. Brenier andò a trovare Gamboa, e questi gli disse essere divenuto necessario modificare parecchie disposizioni del progetto Filangieri in senso più liberale, cercando di conciliare quel progetto con lo statuto piemontese, e con quello di Napoli del 1848 ; ma che il Re era ancora incerto circa l’opportunità di concederlo. Brenier confermò a Gamboa le sue dichiarazioni, non nascondendo che uno statuto di tipo non imperiale, concesso in quelle condizioni del Regno e di tutta Italia e accompagnato dall’amnistia, avrebbe potuto produrre gravi conseguenze, ma che il non darne alcuno sarebbe maggior pericolo.
Il giorno 6, era giunto Griacomo De Martino da Roma. Vide subito il Re, presente Carafa, e gli disse che il non aver voluto sentire i consigli della Francia e di Filangieri l’avevano condotto al punto in cui si trovava ; che egli, un mese prima, quando venne a Napoli, era latore dei voleri della Francia, accettati da Cavour.
La Francia, avrebbe detto De Martino, chiedeva riforme politiche e amministrative ; voleva che il Re di Napoli occupasse le Marche e l’Umbria come armata italiana e nazionale, e non come birri del Papa, e in ricambio gli avrebbe garantita l’integrità dei suoi Stati; il Re, rifiutando, aveva sacrificato tutto ad una falsa politica austro-papale: ora essere troppo tardi, anche perchè il Papa era divenuto il più forte istrumento del partito legittimista in Francia, per cui dubitava dell’efficacia e sincerità di aiuti da parte dell’ Imperatore : ad ogni modo si dichiarava pronto a partire. Cosi egli riferi di aver parlato al Re, ma è da credere, conoscendo l’uomo, che il suo linguaggio fosse stato meno esplicito e soprattutto men duro.
I borbonici più incorreggibili, i quali non ebbero mai per Filangieri alcun sentimento di benevolenza e neppure di giustizia, e non lo lasciarono immune da sospetti oltraggiosi e da inique calunnie, dissero e scrissero che il principe di Satriano aveva contribuito più di tutti a far perdere la Sicilia, perchè egli, salito al
governo col nuovo Re, aveva come primo atto licenziato Cassisi, sostituendolo con Paolo Cumbo, sostituito alla sua volta, quando Filangieri si fu dimesso, dal principe di Comitini ; perchè si era rifiutato di tornare nell’Isola coi pieni poteri, e perchè, infine, aveva proposto, in sua vece, il vecchio e incapace Lanza.
Il rifiuto di andare in Sicilia era giustificato dal fatto, che il Filangieri si sentiva vecchio, con la moglie inferma e intendeva quanto i tempi fossero mutati. L’aver suggerito il Lanza, dopo il rifiuto d’Ischitella e di Nunziante, potrebbe parere inesplicabile a chi ignora quanto misera fosse la condizione militare del Regno: tutti generali vecchioni, che non valevano più di Lanza, e in Sicilia occorreva mandare un vecchio generale, preferibilmente siciliano. Il Filangieri, che lo aveva avuto per suo capo di stato maggiore nella spedizione di Sicilia, portava di lui opinione un po’ diversa, e riconosceva che l’arrivo del Lanza a Palermo era stato in coincidenza con la vittoria di Garibaldi a Calatafimi, la quale distrusse quel po’ di morale rimasto nell’esercito. Rideva anche lui, Filangieri, di alcune ingenuità del Lanza, il quale, giunto a Palermo, proprio l’ indomani di Calatafimi, chiedeva con interesse a Domenico Galletti, che gli dava la consegna del palazzo Reale, se le carrozze e i cavalli, che erano nelle scuderie, gli appartenevano; e avutone in risposta che gli appartenevano come luogotenente, incaricava lo stesso
Galletti di telegrafare ai figli a Napoli che vendessero i cavalli e le carrozze di casa.
Il principe di Satriano che portava a Francesco II sincero affetto, tornò a visitarlo, il giorno 16 ; ma il Re non gli parlò di politica e il vecchio generale riparti per quella stessa villa De Luca, a Pozzopiano, odiato dagli zelanti e dagli strateghi, intimi, ascoltati e funesti consiglieri di Francesco; ma non volendo prender partito coi liberali antidinastici, perchè egli era dinastico e voleva l’autonomia del Regno, ma di potente e civil Regno, con una Costituzione, la quale limitasse si alcuni poteri del principe, ma rendesse i ministri responsabili solo verso di lui.
Pochi giorni dopo il suo ritiro a Pozzopiano, avvenne un altro incidente. In un pomeriggio di giugno, mentre, disteso sopra una poltrona, il principe di Satriano leggeva il suo favorito Journal des Débats, un servo gli annunziò che una lancia a vapore della regia marina si accostava alla villa, e ohe nella lancia aveva veduto il Re. Filangieri si ritirò nella sua camera. Francesco II si trattenne con lui più di un’ora, in colloquio segreto. Quando il Re andò via, Gaetano Filangieri corse dal padre, e lo interrogò sul colloquio. Ma il vecchio rispose : ” J’ai réfusè „ e non disse altro, ne altro si seppe di quella visita. Lasciò Napoli il giorno 11 agosto, diretto, con la moglie inferma, per Marsiglia. Da circa due mesi non aveva più veduto il Re. Lasciava Napoli con la convinzione, che non vi era più scampo per i Borboni, e vi tornò nel 1862 poche ore prima che vi morisse sua moglie, ne da Napoli si mosse più.
Rifiutò uffici ed onori dal nuovo governo, ma non rimpiangendo i Borboni, che egli credeva essere stati artefici ciechi della propria rovina. Si spense nel 1867 a San Giorgio a Cremano, a ottantatre anni, non di vecchiaia, come si disse, ma di una polmonite che contrasse, volendo rendere un favore a un suo congiunto. La condotta di questo valoroso vecchio soldato, che ebbe di certo dei difetti, ma che fu l’unica testa politica, che abbia avuto il Regno di Napoli nell’ultimo secolo, mutati i tempi, fu ancora più nobile. Egli non imitò tanti altri, i quali, dopo avere sfruttati i Borboni sino all’ultimo, si affrettarono a passare, armi e bagaglio, nel campo nemico, rinnegando la vecchia bandiera, o abbandonarono l’inesperto Re al suo fato. Certo, se Carlo Filangieri ebbe grandi soddisfazioni nella vita, sofferse pure grandi e profonde amarezze, per le calunnie, alle quali lo fecero segno le leggerezze, le invidie e le malignità dei suoi concittadini. Onde non è maraviglia
se nelle sue carte, io leggessi, scritte di suo pugno, come monito al figlio Gaetano, queste terribili parole:
” . . . . credimi, per chiunque ha un po’ d’onore e un po’ di sangue nelle vene, è una gran calamità molte volte nascere napoletano ….„.

(Archivio Filangieri)