Le prime lettere meridionali di Villari

villarIIl napoletano Pasquale Villari  fu un notevole storico.

Egli studiò anche Gerolamo Savonarola e Nicolò Machiavelli; fu uno dei fondatori dell’Istuto di studi superiori di Firenze e fu un uomo politico che, all’epoca del presidente del Consiglio dei Ministri Antonio Starabba marchese di Rudinì, ricoprì la carica di ministro della Pubblica Istruzione, dal febbraio 1891 al maggio 1892.
Fu soprattutto famoso, però, per l’opera Lettere meridionali (Firenze, Le Monnier, 1878), arrivando a coniare la locuzione “questione meridionale”, che assieme a Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti con inchieste e denunce portarono alla luce, poiché trascorsi 17 anni dall’unificazione nazionale, il problema meridionale si presentò nei suoi aspetti di gravità; nel crescente divario delle regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali, Villari mise bene in rilievo questo aspetto delle “Due Italie”.
Da allora, il problema non è stato seriamente risolto e tuttora, la “questione meridionale” risulta ben presente, infatti, nel discorso di poche ore fa, tenuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della Festa dell’Unità d’Italia nella giornata del 17 marzo, egli ha parlato di un «Mezzogiorno che resta indietro». Ecco, quindi, che l’interesse di Villari per le problematiche meridionaliste risulta di notevole attualità, nonostante oltre un secolo di distanza, in cui s’inseriscono, altresì, le preoccupazioni di Giustino Fortunato, il quale impose alla classe politica il problema meridionale in tutta la sua ampiezza, affermando con fermezza che, se non si fosse legato allo Stato nazionale italiano, il Mezzogiorno non avrebbe potuto essere sottratto a un destino africano o balcanico.
E’ ancora evidente la necessità che il divario dello sviluppo territoriale non si accentui e che non si pensi alle regioni meridionali soltanto con l’approssimarsi delle vacanze estive, come “ameni” luoghi di villeggiatura.
E’ giusto punire gli sprechi, ma non bisogna rinunciare all’elemento di solidarietà delle regioni più ricche nei confronti di quelle che lo sono di meno.


LE PRIME RIDINTRODUZIONE A “LE PRIME LETTERE MERIDIONALI”

Quest’opera è la madre di tutte le opere meridionalistiche pubblicate in Italia. Un’opera nata dalla cattiva coscienza di un borghese che ha collaborato alla costruzione dello stato unitario, che ha visto non solo il proliferare di incarichi ma la loro distribuzione a un personale impreparato ed inefficiente, la cui unica qualità era lo stare dalla parte del regime imperante, quello sabaudo.
Vogliamo dare solo un paio di indicazioni o, se volete, suggerire delle riflessioni. La prima è questa: chiedetevi per quale motivo Villari ritenne opportuno non inerire le sue lettere inviate nel 1861 alla Perseveranza di Milano in questa opera. Noi le abbiamo aggiunte in fondo al volume. Così potete leggervele e confrontare ciò che scriveva nel 1861 con quanto scriveva nel 1875.
A titolo di cronaca ricordiamo che le Lettere del 1861 apparvero come opuscolo con i tipi della “Voce” solo molti anni più tardi e ancora oggi sono poco note: Le prime lettere meridionali – Pasquale Villari con prefazione di Gaetano Salvemini. – Roma, La Voce, 1920. – VIII, 65 p.

La seconda: alcune miserie descritte da Villari erano vere, ma non comprendiamo la ragione – se non per una volgare autodifesa per quanto affermato in un suo scritto – per cui vuol convincere che la Londra del tempo fosse una oasi di benessere per le classi più povere della società, al confronto con lo squallore dei fondaci napoletani (cfr. lettera a Jessie White Mario).
“Si disse, fra le altre cose, che non conoscevo Napoli, perché da molti anni ne ero lontano, e che descrivevo cose non vedute o cedute solo da molto tempo, ignorando che tutto era mutato. Si disse che non conoscevo la grande miseria di Londra, peggiore assai di quella di Napoli, ec., ec. Io che a Londra ero stato, e negli ultimi anni avevo molte e molte volte riveduto Napoli,
[…] Entrai in un ufficio di Polizia, esaminai i registri, vidi operare alcuni arresti, e poi in compagnia di due altri detectives che si unirono al primo, cominciammo le nostre visite. Io ripetevo sempre: — Fatemi vedere ciò che vi è di più orribile in Londra, desidero vedere le abitazioni della gente più misera e disgraziata.
[…] Signore, sono trent’anni che io servo nella Polizia di Londra. Posso sul mio onore assicurarle che Ella s’inganna, se crede di poter vedere in questa città quel che gli stranieri potevano vedervi trenta o venti anni fa. Tutto è mutato. Il Parlamento ha votato leggi sopra leggi per migliorare le condizioni dei poveri.
[…] Nei ridotti di Londra spesso mi sedetti coi detectives, e bevvi della birra e dei liquori, tanto per non parere d’andar colà da semplice osservatore. E non vidi mai nulla che si potesse paragonare al puzzo e al sudiciume di alcuni ridotti di Napoli.”


«RITRARRE DAL VERO»
LA CITTÀ E LA CAMORRA (1861-1869) Villari, Monnier, Mastriani e Imbriani Pasquale Sabbatino
Le prime lettere meridionali di Villari

Il Villari, allievo hegeliano della prima scuola napoletana di Francesco De Sanctis al Vico Bisi,1 partecipò con il maestro ai moti napoletani del 15 maggio 18482 e nell’agosto del 1849 si recò a Firenze per proseguire i suoi studi su Savonarola. In Toscana strinse i contatti con i liberali moderati, si avvicinò alle posizioni filosofiche sperimentali di J. S. Mill, con il quale scambiò una lunga corrispondenza,3 e del primo Auguste Comte (autore del Corso di filosofia positiva)4 e si aprì al positivismo europeo, stimolato dai suoi viaggi in Francia, Svizzera, Inghilterra, Germania.5 Dapprima insegnò nell’Università di Pisa (dal 1859 al 1865) – sono gli anni in cui recuperò la tradizione scientifica e sperimentale, come documenta il saggio Galileo, Bacone e il metodo sperimentale (1864)6 – e poi nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze (dal 1865 al 1913), dove tenne la prolusione La filosofia positiva e il metodo storico, nella quale definisce il metodo positivo come metodo storico nell’ambito delle scienze umane e come metodo sperimentale nell’ambito delle scienze naturali. Fondò nel 1866 la «Nuova Antologia», la rivista di Vieusseux che negli anni Venti aggregava intellettuali liberali,7 si occupò di filosofia della storia, di storia fiorentina e di due figure centrali del Rinascimento (Savonarola e Machiavelli).8 Liberale e moderato, entrò nel Parlamento italiano più volte come deputato e poi come senatore. 9 L’attività parlamentare è documentata dai suoi Discorsi, recentemente raccolti e pubblicati.10 In una corrispondenza mandata da Napoli alla «Perseveranza» di Milano (5 ottobre 1861),11 Villari, pur esultando per la sicurezza con cui si cammina in città dopo la venuta di Garibaldi,12 lancia l’allarme di una camorra in progressiva estensione, prima dell’Unità d’Italia e dopo:
Nondimeno s’è lasciata estendere una piaga tremenda di queste popolazioni: la camorra. Non ho bisogno di spiegarvi cosa sia: i giornali ne hanno lungamente parlato, e il vostro ne ha dato notizie esattissime.13
Nel breve spazio della corrispondenza Villari insiste su alcuni passaggi storici, dal «governo borbonico» che «protesse» la camorra «per molto tempo, in modo che s’era organizzata prodigiosamente in tutte le carceri, con statuti e leggi sue proprie», all’estensione a macchia d’olio «in tutto il popolo».14 L’aspetto più grave, sottolineato da Villari, fu l’infiltrazione della camorra, con permesso e protezione dei Borbone, «in alcuni reggimenti», per cui «in ogni compagnia v’erano tre o quattro individui che riscuotevano sul giuoco, sul cibo, ecc. una tassa da tutti gli altri, incutendo loro terrore, minacciando di venir sempre a certe forme di duello loro proprie».15
Negli anni Cinquanta il ministro di polizia Aiossa tentò di estirpare dai reggimenti la camorra e rinchiuse nelle prigioni numerosi camorristi, collocandoli «in stanze separate dalle altre».
Ma le misure furono inadeguate e inefficaci.
Nel giugno del 1860, per sedare i tumulti, il nuovo prefetto di polizia Liborio Romano16 ebbe «l’accortezza di porsi d’accordo colla camorra», chiamando a far parte della polizia [antiborbonica] i camorristi più influenti. I camorristi-poliziotti contribuirono «a distruggere la vecchia polizia», ma, una volta entrati a far parte della nuova polizia e pagati «assai bene», dapprima svolsero le mansioni di tutori dell’ordine e poi, rompendo il patto con i liberali, ripreseso le loro attività illecite travestiti da poliziotti. Il commento di Villari esprime amarezza e impotenza:
Allora solamente si capì che cosa aveva fatto il Romano, e dove ci aveva menato: noi eravamo proprio sull’orlo d’un abisso.17
Il coraggio di Silvio Spaventa e di De Blasio nel combattere la camorra rimase isolato ed episodico e da «qualche tempo» – afferma Villari – «pare si sia cominciato a stancare» e oramai «i camorristi si contano a migliaia».18
Secondo Villari per affrontare la questione della camorra occorre un duplice intervento dello Stato in nome della morale pubblica e della dignità nazionale: da una parte quello repressivo teso a colpire gli oppressori con il carcere penitenziario e dall’altra quello liberatorio, rivolto agli oppressi affinché facciano resistenza alla camorra e denuncino i camorristi al potere giudiziario:
La sola via da tenere per spegnere affatto la camorra sarebbe, secondo me, il punire da una parte severissimamente ogni atto di sopruso; l’incoraggiare e, fino ad un certo punto, comandare la resistenza di quelli che anche ora si sottomettono, perché credono sempre che la camorra sia onnipotente. Una grave difficoltà nel cercar modo a punire sta in questo, che coloro i quali pagano il loro tributo alla camorra, non lo confessano; anzi lo negano, se possono, o adducono ragioni difficili a contraddire. Un cocchiere vi dirà, che soccorre i compagni senza lavoro; un altro, che fa elemosina, ecc.. Più volte, in questi mesi, la polizia ha inviato dei camorristi al potere giudiziario, che li ha sempre assoluti.
Aggiungete che se voi arrestate un camorrista, voi non lo punite niente affatto. Nella prigione egli esercita il suo mestiere meglio che altrove, riscuote le tasse, riceve aiuto di fuori, danaro, soccorsi, ecc.. Le sue donne hanno libero ingresso, perché anche ora che vi scrivo, non v’è un carceriere che si senforte abbastanza per mettersi in rotta colla camorra. Rimedio efficace sarebbe forse il carcere penitenziario.19

Villari è pienamente consapevole del nodo legislativo, dovuto alla inadeguatezza della legge vigente nel capire la camorra e nel colpirne i delitti:
L’impresa [di distruggere la camorra] è difficilissima (non bisogna illudersi); i camorristi si contano a migliaia; il potere giudiziario non può procedere, per le ragioni che ho dette; la polizia si trova le mani legate dalle leggi costituzionali: ci vorrebbero il carcere penitenziario ed una legge fatta espressamente, che prevedesse questa sorta di delitti, i quali altrove non si conoscono neppure.20
Nell’ambito legislativo la strada da percorrere è tutta in salita. Non a caso solo dopo due anni si ebbe un primo passo, con l’approvazione della legge Pica (il 15 agosto 1863), il primo testo legislativo dell’Italia unita contro la criminalità, in particolare il brigantaggio. La voce camorristi appare nell’art. 5, ma accanto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette e ai sospetti manutengoli, per cui viene ancora rimandato il vero problema della conoscenza del fenomeno della camorra e dei suoi delitti:
Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare per un tempo non maggiore di un anno un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice penale, non che ai camorristi, e sospetti manutengoli, dietro parere di Giunta composta del Prefetto, del Presidente del Tribunale, del Procuratore del Re e di due Consiglieri provinciali.21

A chiusura della lettera, Villari segnala anche «il bene» che vedeva a Napoli, quale «il progresso […] negli ultimi due o tre mesi, nel basso popolo», e addita la causa nella «condotta dell’esercito», composto da soldati che sono « un esempio di morale e di dignità cittadina»,22 e infine nella condotta del corpo dei carabinieri.23 Il racconto di alcuni episodi edificanti, ai quali Villari ha assistito, porta a concludere […] voi vedete che benefica influenza ha fra noi il soldato italiano, e se vedeste con che entusiasmo comincia ora ad essere amato, quando, poco fa, era odiato o guardato con diffidenza, allora solamente potreste avere una chiara idea di quello che vi dico. L’esercito è la nostra salute, è il nostro avvenire, il tesoro d’Italia. Ad esso bisogna che sieno rivolte tutte le nostre cure.24
Nella corrispondenza sulla camorra e nelle altre inviate da Napoli alla «Perseveranza» nel 1861, come sottolinea Salvemini nella prefazione alle Prime lettere meridionali, Villari «sentiva più specialmente il problema della unificazione politica: e le sue lettere hanno valore soprattutto come documento delle difficoltà, che il processo della unificazione incontrava, e degli errori che allora si commisero».25 Sul piano del profilo di Villari le prime lettere meridionali, ricche di «spunti frammentari» che ancora non danno vita a «un sistema organico di idee politiche ed economiche», rappresentano «i primi incerti passi del novizio, in confronto dell’opera dello scrittore, sicuro di se stesso, che troveremo nelle Lettere meridionali del 1875-26

– note –
1 F. DE SANCTIS, Lettere a Pasquale Villari, con introduzione e note di F. BATTAGLIA, Torino, Einaudi, 1955. Cfr.
M. MORETTI, Alla scuola di Francesco De Sanctis: la formazione napoletana di Pasquale Villari (1844-1849), in Pasquale
Villari storico e politico, con una nota di F. Tessitore, Napoli, Liguori, 2005, pp. 3-46 (il saggio è del 1984); A.
VILLARI, Fermenti culturali nella Napoli di metà ‘800, saggio introduttivo nel volume D. MORELLI, Lettere a Pasquale
Villari, a cura e con un’introduzione di A. Villari, I (1849-1859), Napoli, Bibliopolis, 2002, part. pp. XVIIXXVII.
2 Per il racconto di queste giornate cfr. P. VILLARI, Domenico Morelli. Commemorazione fatta a Napoli il 19 gennaio
1902, Roma, Direzione della Nuova Antologia, 1902, pp. 12-15.
3 Cfr. M. L. CICALESE, Dai carteggi di Pasquale Villari. Corrispondenze con Capponi – Mill – Fiorentino – Chamberlain,
Roma, Istituto storico per l’età moderna e contemporanea, 1984.
4 Cfr. M. DONZELLI, Origini e declino del positivismo. Saggio su Auguste Comte in Italia, Napoli, Liguori, 1999, part. pp.
95-139, 213-55.
5 Cfr. F. TESSITORE, Scienza e vita, decadenza e rinascenza da Settembrini a Villari, in Contributti alla storia e alla teoria
dello storicismo, III, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. 121-39; G. CACCIATORE, Cultura positivistica e
metodo storico in Italia, in La lancia di Odino. Teorie e metodi della storia in Italia e Germania tra ‘800 e ‘900, prefazione di
G. GALASSO, Milano, Guerini, 1994, pp. 87-155; R. VITI CAVALIERE, Introduzione a B. CROCE – P. VILLARI,
Controversie sulla storia (1891-1893), Milano, Edizioni Unicopli, 1993; F. RESTAINO, La cultura italiana dall’Unità alla
prima guerra mondiale, in Storia della letteratura italiana, dir. da E. MALATO, VIII. Tra l’Otto e il Novecento, Roma,
Salerno Editrice, 1999, part. pp. 155-63.
6 Cfr. Galileo e Napoli. Atti del convegno, Napoli, 12-14 aprile 1984, a cura di F. Lomonaco – M. Torrini, Napoli,
Guida,.1987 (in particolare il saggio di F. TESSITORE, La lettura di Galileo nella cultura napoletana del secondo Ottocento).
7 R. RICORDA, La «Nuova Antologia». 1866-1915, Padova, Liviana, 1980.
8 Cfr. P. SABBATINO, Risorgimento e Rinascimento. La questione terminologica tra Ottocento e Novecento, in La civile
letteratura. Studi sull’Ottocento e il Novecento offerti ad Antonio Palermo, vol. II, Il Novecento, Napoli, Liguori, 2002, part.
pp. 5-11.
9 F. BALDASSERONI, Pasquale Villari. Profilo biografico e bibliografia degli scritti, Firenze, Comitato per le onoranze di
P. Villari, 1907, pp. 42-43: «Nel ’67 egli è eletto deputato nel collegio di Bozzolo, ma gli è annullata la elezione,
essendo completa la categoria dei professori; nel ’70 si ripete lo stesso fatto nel collegio di Guastalla. Quale
rappresentante di questa città, entra finalmente alla Camera sulla fine del ’73, e poi di nuovo nel ’74. Il 23 maggio
1880 lo troviamo deputato nel collegio di Arezzo, ma il 9 dicembre cessa, per sorteggio, di far parte della Camera
elettiva. Nominato senatore nel novembre del 1884, è fatto Vicepresidente dell’alto consesso nell’aprile del 1897,
poi di nuovo sugli ultimi del 1904. È stato anche a capo della pubblica istruzione nel Gabinetto Di Rudinì, dal
febbraio del 1891 al 25 maggio dell’anno dopo. […] Ma uomo politico nel vero senso della parola il Villari non è
mai stato; tra i partiti egli si trova sempre male, forse perché, con l’altezza dell’ingegno, scopre subito in essi le
manchevolezze e le colpe». Cfr. inoltre E. PISTELLI, Profili e caratteri, Firenze, Sansoni, 1921, pp. 57-83; M. L.
SALVADORI, Villari, in ID., Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino, Einaudi, 1976
(ristampa della nuova ed. riveduta e ampliata, 1964), pp. 34 ss.; M. L. CICALESE, Note per un profilo di Pasquale
Villari, Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1979.; M. MORETTI, Preliminari ad uno
studio su Pasquale Villari, «Giornale critico della filosofia italiana», LIX, 1980, pp. 190-232; ID., La storiografia
italiana e la cultura del secondo Ottocento. Preliminari ad uno studio su Pasquale Villari, ivi, LX, 1981, pp. 301-72; G.
SPADOLINI, La Firenze di Pasquale Villari, Firenze, Le Monnier, 1990 (e il relativo articolo di E. Garin, Pasquale
Villari e l’università fiorentina, «Nuova Antologia»; CXXVI, 1991, fasc. 2177, pp. 78-89); gli atti del convegno
Pasquale Villari nella cultura, nella politica e negli studi storici (Firenze, 20-21 marzo 1997), pubblicati nella «Rassegna
storica toscana», XLIV, 1998, n. 1; MORETTI, Pasquale Villari storico e politico cit., utile anche per l’aggiornamento
bibliografico (alle pp. 289-97).
10 P. VILLARI, Discorsi parlamentari, presentazione di G. SPADOLINI, introduzione di C. CECCUTI, Roma, Senato
della Repubblica, Segretariato generale, Servizio studi, 1992.
11 La lettera fu ripubblicata nella II ed. delle Lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia (Torino,
Fratelli Bocca, 1885), pp. 452-58. Le corrispondenze da Napoli alla «Perseveranza» del 1861 apparvero postume
nella raccolta Le prime lettere meridionali, prefazione di G. SALVEMINI, Roma, La Voce. Soc. An. Ed., 1920. Sono in
tutto sette: I. Sul brigantaggio, sullo scontento dei napoletani verso il governo, sulla fondazione di un nuovo
giornale (datata 29 agosto e pubblicata il 3 settembre); II. Sul brigantaggio, sul disordine amministrativo, sulle
destituzioni dei magistrati, sulla condizione dei partiti a Napoli (datata 1° settembre e pubblicata il 5); III. Sulla
accresciuta fiducia dei napoletani nel governo, sulle cause della loro ostilità ad alcuni deputati e senatori, sulle
ragioni del loro scontento (datata 13 settembre e pubblicata il 17 e 20); IV. Sulla luogotenenza e il Cialdini, sugli
errori commessi dal governo (datata 14 settembre e pubblicata il 30); V. Sulla luogotenenza del Cialdini e sulla
presente inopportunità di abolirla (datata 21 settembre e pubblicata il 1° ottobre); VI. Sulla «camorra» di Napoli,
sul modo di distruggerla, sul progresso verificatosi nel basso popolo napoletano (pubblicata il 5 ottobre); VII. Il
convento dei cinesi e il convento dei negri a Napoli – Il collegio di S. Demetrio in Calabria – I papiri ercolanesi –
I lavori di gesso e di alabastro, e gl’intagli in legno nella Toscana – La musica a Viggiano – I lavori dello Scrosati
a Milano – Le maioliche a Castello, la fabbrica della porcellana a Napoli (pubblicata il 20 ottobre).
12 VILLARI, Le prime lettere meridionali cit., p. 38 («Uno dei fatti più notevoli è che, dalla venuta di Garibaldi in poi,
sono affatto scomparsi quei ladruncoli di fazzoletti che infestavano Napoli, e che non si trovavano che fra noi.
Per ora nelle vie si cammina, la sera, ancora abbastanza sicuri; vi sono delle aggressioni, come ve ne saranno
sempre in ogni grande città: ma non più che tanto»).
13 Ibidem.
14 Ibidem.
15 Ivi, pp. 38-39.
16 Cfr. L. ROMANO, Memorie politiche, Napoli, Marghieri, 1873
17 VILLARI,le prime lettere meridionali cit.,p.41
18 Ibidem
19 Ivi, pp.39-40.
20 Ivi, p. 41.
21 Il testo della legge Pica è in Appendice a DI FIORE, La camorra e le sue storie. La criminalità organizzata a Napoli
dalle origini alle ultime «guerre», Torino, UTET, 2005, pp. 328-29.
22 VILLARI, Le prime lettere meridionali cit., p. 44.
23 Ivi, p. 46.
24 Ivi pag.47
25 Ivi p. VI
26 Ibidem