Rivelazioni ed altri documenti inediti riguardanti la rivoluzione italiana

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Rivelazioni ed altri documenti inediti riguardanti la rivoluzione italiana

Nei vortici di fiamme che divoravano il vecchio ed adusto Pontelandolfo udivansi alcune voci di donne cantanti litanie e miserere. Certi uffiziali si avanzarono verso l’abituro, onde veniva quel suono, ed apersero l’uscio e videro cinque donne che scapigliate e ginocchione stavano attorno di un tavolo su cui era una Croce con molti ceri ivi accesi. Volevano salvarle; ma quelle gridando: indietro… maledetti! indietro!… non ci toccate, lasciateci morire incontaminate!… si ritrassero tutte in un cantuccio, e tosto sprofondò il piano superiore e furono peste le loro ossa, e la fiamma consumò le innocenti.

Il giorno posteriore a tanto eccidio, all’incendio di due paesi di Pontelandclfo e di Casalduni, l’uno di cinque, l’altro di sette mila anime, leggevasi nel Giornale Ufficiale di Napoli il telegramma: « Ieri mattina all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni ».

No ! Il diario di Nerone non avrebbe più cinicamente portata la novella di quelli orrori !

Ma io non istarò a fastidirvi più a lungo con il racconto delle mille ferità di tal sorta di che sono pieni gli stessi giornali officiosi ed ufficiali del Governo, e le quali facevano, e fanno tuttora terribile la insurrezione delle provincie napoletane, nè d’altronde capirebbe negli stretti limiti di questa mia mozione il novero dei truci episodi! di una guerra civile, che dai monti di Calabria si sfende nella Basilicata e dell’Apulia, e di colà nella Capitanata e nel Contado di Molise, e nel Beneventano, e nei monti di Avellini, e nella Campania e negli Abruzzi, o de’saccheggi e degli stupri e dei sacrilegi che precedettero gl’incendi! paurosi di Auletta, di S. Marco in Lamis, di Viesti, di Cotronei, di Spinello, di Montefalcione, diRignano, di Vico di Palma, di Barile, di Campochiaro, di Guardaregia, e delle già dette Ponteladolfo e Casalduni, però che non è mestieri conoscere tutto per chiarire la Signoria piemontese immanissima.

Ed il Governo piemontese fece crudele la guerra civile coi disperati e crudeli mezzi di combatterla, ed esso, così facendo, fa l’Unità uccisa l’unione: però che un popolo così manomesso non si dimenticherà mai le perpetrate scelleratezze , ed opporrà a tutta una provincia italiana i delitti di una setta, e così imperversando non sarà possibile neppure la Confederazione degli antichi stati della penisola. In ogni angolo delle nostre province sorgerà un monumento di questi giorni nefasti. Ogni campo si troverà gremito di croci Sepolcrali ; ogni capanna ricorderà le stragi di questo tempo : ogni tempio adornerà un altare espiatorio che ricordi la guerra fratricida : ogni provincia mostrerà i ruderi di una o più città incendiate, e colà trarranno in pellegrinaggio i nepoti delle nostre vittime, e li additeranno ai loro figliuoli siccome esempio terribile del dove possa condurre una Nazione il voler attuare pensieri innaturali od immaturi.

Il Governo piemontese, siccome è avviso all’universale, rimoveia dal reggimento di queste provincie il generale Cialdini ed il Pinelli, però che comprese inutile anzi più micidiale tornare il terrorismo che la buona guerra. Ma un’altra cosa, per amor d’Italia, deh! faccia— Sciolga la guardia nazionale mobile, però che la pestifera sua instituzione non è fatta per estinguere la guerra civile, ma per eternarla. Il dì che il Governo di Piemonte se ne sarà andato con Dio, non riposeranno già queste provincie; ma troverassi il padre armato contro il figliuolo, ed il fratello contro l’altro, e le ire non quieteranno, e sarà mestieri altra forza che nel sangue degli uni e degli altri spenga la guerra intestina. Sappiamo a tutte queste accuse mi si risponderà il consueto : — Ala come si fa? Tempi eccezionali vogliono eccezionali misure.

Ma io farovvi considerare che così dicendo scrivesi la difesa del Mazza, o del Campagna, le cui molestie diventano giuggiole accanto ai rigori del Pinelli, del Galateri, del Negri, dei generali della Chiesa ecc. Anch’essi dicevano; — Come si fa? Il Piemonte cospira contro il reame, e noi dobbiamo frustarne gli orditi — No miei signori , vi hanno leggi, vi son consuetudini che noi non possiamo violare senza oltraggiare le leggi stesse della natura , e la pubblica moralità dilaniare , senza scalzar le basi della società , la cui salute è di maggior momento alle genti che la grandezza del Piemonte e d’Italia. No , non credasi potersi fondare un imperio sulla lubrica base del sangue , nella sediti dell’ingiustizia, o senza altra legge che quella della opportunità momentanea, o della sanguinosa e rapace necessità di Stato. No, il Governo piemontese non fonda , ma distrugge. L’Austria dall’alto delle fortezze di Mantova e di Verona ci guata; e sapete perchè non muove ad assaltarne? Perchè noi ci suicidiamo: veramente nuovo pazzo sarebbe quello che tirasse sul nemico nell’ora stessa che questi di per se gettasi nel precipizio.

E nel precipizio già, avvalliamo noi, caduti in discredito fuori, e dentro divenuti esosi agli onesti. Ed io mi ho il triste conforto dello aver preveduto il danno, e di averne parlato alto da meglio che due anni. Allora che uscito, una seconda volta in ingiusto esilio , venni, diciotto mesi or sono, a Firenze, e mi fu parlato dei vasti disegni di Unificazione , della prossima dissoluzione del reame napoletano , inorridii , gridai mercé, chiedeva avvisassero al che sarebbe di Napoli. Mi fu risposto da taluno :

— Napoli starà peggio , ma noi staremo meglio — ! Fremetti a tali parole. Desiderai piuttosto si eternasse l’esilio, che il ritornare a prezzo della mina della mia patria. Però non i piemontesi io ho in odio. Tolga Iddio che io abbia in anima avversione popolo d’Italia e popolo probo e valoroso, se non dotato di spiriti elevati e peregrini. Ma quei napoletani io esecro che qui conducendo i piemontesi tradirono il Piemonte e la loro patria, e che, di continuo diffamandola, istigano il governo subalpino a perpetrar lo spolio e la strage del loro paese. Io parlo per ver dire:

Io parlo per amor di patria, troppo forte siccome taluno unitario dicevalo , (quasi che troppo potesse mai essere amore di patria) e qualunque sara la vendetta della setta dei piemontizzatori, venga pure che io l’aspetto; però che peggior di ogni danno sarebbe sempre il rimorso e la pubblica maledizione.

E la maledizione pubblica è sul suo capo.

Da per ogni dove sorge una voce che lo condanna e Io vilipende. La città ed il regno sono divise in fazioni, ma le fazioni tutte si accordano nell’abborrire gli uomini di essa. E voi ben dovreste accorgervene, sapendo come non fosse qui giornale che possa esistere, e voglia difendere la dominazione piemontese, dove non stipendiato e venduto. Perchè si spacci una scrittura deve condannarla, colmarla di ingiuria , di disprezzo. Se vien fuori opera di un propugnatore dei diritti del popolo oppresso e delle antiche ed imperiture nazionalità, tosto non se ne trova più copia, tutti correndo a leggerla avidamente; e se questa metropoli che le dice anatema , non insorge tutta quanta come un uomo solo contro alla Signoria piemontese, egli è perché vede che pere, perchè il generoso, l’indomito cavallo napoletano già da gran tempo fiutò il suo cadavere.