PONTE SOSPESO A CATENE DI FERRO SUL FIUME CALORE

RICERCA EFFETTUATA SU “ANNALI CIVILI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE” VOLUME X- gennaio/aprile 1836 -napoli-1836
Da pag.1 A 10

COPERTINA 1836 vol vi Annali_civili_del_Regno_delle_due_SiciliPONTE SOSPESO A CATENE DI FERRO SUL FIUME CALORE
Sin dalle prime pagine di quest’opera un – nostro collega chiaro nelle, lettere, e del quale assai svariato e bello è l’ingegno, tolse a descrivere il novello ponte- del Garigliano(V. al Fasc.1 vol. 1 > Pag.41 e seguenti. Tom.X).
Le cose allora dette da esso rendono men grave il carico di chi prende oggi a ragionare dell’altro ponte che collo stesso artificio delle ferree catene e dall’ architetto medesimo, il cav. Luigi Giura, fu non ha guari gettato sul Calore.
E però della invenzione di si fatti prodigi della moderna architettura, delle leggi cui va soggetto il nuovo meccanismo e de’miglioramenti che fra noi ottenne essendo stato in quella occasione a sufficienza discorso, a me non rimane che far conoscere la storia della novella opera architettonica, il modo onde venne compiuta e le sue differenze dall’altra che la precedette: lavoro troppo in verità superiore a’miei omeri, se quello già mentovato non ivi servisse d’esempio; e se lo stesso egregio artefice cui questa seconda maraviglia è dovuta, e nel quale non è la cortesia inferiore alla somma perizia nell’arte, non mi avesse delle sue scritture e de’suoi consigli sovvenuto.

La via che congiunge a Napoli Campobasso attraversa un paese non meno pittoresco per le tue naturali bellezze che chiaro per istoriche rimembranze. Da Maddalonî, le cui torri ancora erette ricordano i tempi normanni, essa lascia a man destra, non lungi dal sito ov’era Calazia, la prima gola della Valle Caudina, e procede sotto l’arco principale dell’Acquidotto Carolino, ove staranno indelebili i nomi del Monarca che il comandò e del Vanvitelii che il fece: opera stupenda, cui vedemmo alfine contrapporre, all’altro capo per così dire del cammino medesimo, una seconda, della quale forse non è minore la maraviglia ed è maggior l’importanza. Quivi date le spalle ai piani della voluttuosa Campania si entra nelle terre de’Sanniti, seguendo il sentiero che descriviamo, e che non potendo superare l’alpestre Taburno, si volge alla valle del Calore; dalle cui sponde la via toglie dal Sannio pel quale passa la denominazione di Sannitica, e compiuta che sia, verrà per essa riunito l’Adriatico al Tirreno.
Nasce questo fiume dalle falde del Terminio, la più grande delle irpine montagne; e però col predicato d’irpino lo dif€eremziano i geografi dall’altro Calore che bagna la regione lucana. Il primo, accennando a borea fino al confluente dell’Ufita, si volge poi ad oriente, taglia il contado dì Benevennto, ove riceve dalla man dritta il Tamaro, dalla sinistra il Sabato, e fatto anche per altre affluenti acque turgido e minaccioso, corre al Volturno. Lo troviam nominato da Livio nel libro 24, allorché ragionando di Annone narra che posto eveva gli accampamenti in quello spazio che si distende per circa tre miglia da Benevento ad Calorem fluvium.
Vibio Sequestre lo mentovò nel suo elenco de’fiumi con queste parole: Calor Beneventi oppido junctus; ed Appiano Alessandrino lo scrisse menomato della sua prima lettera. Giovanni Cotta in versi latini cantò questa Calore siccome l’occhio de fiumi, e cura de’buoni lo disse ed amor delle Ninfe; ma egli non considerava per avventura che presso la fonte; poiché nell’avvícinaarsi a Benevento, e più ancora dopo che l’ha oltrepassata, esso è torbido e fiero, e tragge amare onde allorchè si mescolano ad esse le sulfuree acque di Telese, dal che talini dedussero l’origine del nome Calor, quasi Calente per quelle termali scaturigini.
Ed appunto perché cresciuto di volume da tante tributariecorrenti,interrompeva le comunicazioni ed i traffichi, fu necessario cavalcarlo con ponti sin da’più antichi tempi della romana civiltà: di alcuni sen veggono tuttora gli avanzi. Notissimo è il Ponte Appío che servì a congiungiere due braccia della via Appia, quando da Capua fu protratta a Benevento: le reliquie ne stanno presso di Apice. Il Giustiniani, dal quale caviamo questa notizia, così continua l’enumeraione de’ponti sul Calore.
« Presso Montella evvi il ponte appellato de’Talloni.Tra Cassano e Nusco avvene un altro e lo dicono Ronito. Tra Castelvetere e Paterno si veggono le vestigia del Ponte S. Andrea; più sotto quello dei Cossano, di molta magnificenza, e antichità, di fabbrica laterizía, con arco di palmi cento di corda; e alla distanza di miglia due l’altro di S. Anna, sebbene il fiume più non vi passi, essendosene alquanto deviato. Presso a Benevento evvi quello detto di S.Onofrio, rifratto dal Pontefice Pio VI, e così ancora si vede quello che chiamano Valentino, a non molta distanza. »
Su quest’ultimo ponte si aggrava infame celebrità: esso è quello presso al quale venne sepolto Manfredi dopo la giornata campale di Benevento ; esso è quello che i versi di Dante fecero immortale. Chi mnon rammenta le malinconiche parole ch’ei mette in bocca di quel nostro sventurato Monarca?

Se il pastor di Cosenza, che a la caccia
Di me fu messo per Clemente allora,
Avesse in Dio ben letta questa faccia;
L’ossa dei corpo mio sariano ancora
In co’del ponte presso a Benevento
Sotto la guardia de la grave mora.

In quel tratto per altro in cui questo fiume per le alte e ftequentì piene cui va soggetto leva più alto il corno, cioè dove incomincia la strada Sannitica, unica comunicazione e non mai, altramente interrotta fra le due limitrofe provincie di Molise e Terra di avoro, era un ponte oltremodo necessarso, e non meno desiderato. Con varie scafe lì sotto l’erta Solopaga vi sopperivano gli abitatori; ma il più delle volte nel verno esse rimaner doveano oziose n su la sponda, o erano giù trascinate dalla rapidissima corsia pur nelle mezzane piene, o servivano ad incredibili angherie de’navicellai, soli giudici del potersi o no mettere ad esecuzione il passaggio. Il perchè da due secoli in qua più volte si tentò di costruire in quelle vicinanze un ponte di fabbrica. Rimangono tuttavia gli avanzi di quello che fu intrapreso a’ tempi del Vicerè Pennaranda: doveva esser fatto di tre archi sostenuti da due piloni rizzati in mezzo al fiume e da due spalle accanto, le ripe; ma non pare che si fosse mai vinta la grave difficoltà d’innalzare il secondo pilone, sino a’ nostri giorni mancante a tal fabbrica. Si volle erigerlo sotto la sopraintendenza del Marchese di Valva, se non che ammanniti appena i materiali non si mise mano al lavoro. Nel 1806 un signor Serafino Casella propose di gittar su que’pilastri due soli archi, il maggior de’quali avrebbe dovuto aver la corda di 166 palmi: per buone ragioni fu tal proposta rigettata. Si adottò nel 1809 l’altra del signor de Fazio di girare si bene i due archi prevalendosi delle basi già erette, ma per un ponte di legno a centine curve, secondo la maniera ideata da Wiebeking.
L’pera venne incominciata nell’anno appresso; nondimeno per cagioni che a noi non appartirne esaminare, estranee peraltro all’autore, essa non ebbe quel buon esito che le estese cognizioni di lui nell’arte edificatoria davano argomento a sperare.
Nel 1812 si tornò al Progetto dì un Ponte di fabbrica a tre archi, e però facea mestieri innalzare la pila mancante. A tal uopo fu messo a secco il recinto della novella fondazione; s’incominciaron le opere che l’arte prescriveva, e di nuovo andarono a voto: le sopravvegnenti escrescenze rupper la tura, danneggiarono la novella pila, obbligarono in fine a rinunziare all’impresa dopo due anni e più di ardui lavori e di spese gravissime non meno della Provincía che del Fisco. Pur nondimeno furono quelli ricominciati nel 1815 con alacrità e precauzione maggiori; e videsi alzata la nuova pila sino all’altezza di palmi venti dal pelo basso delle acque.
Le quali opere non ebbero però fato dissimile dalle precedenti; che un’alluvione venuta in quell’autunno tutte quasi dalle fondamenta le distrusse. Nè tanti ripetuti disastri bastarono a far abbandonare il proposito di costruir quel pilastro. Per venirne a capo nuovi artifici escogitò nel 1818 l’architetto signor Grasso; il quale giudicando dai’tristi esperimenti passati che sempre mal sicuro tornerebbe lo stabilirlo sopra fondazione isolata attese le profonde escavazioni che l’alveo pativa per soprabbondanza di piene pensò di aggiungergli il sussidio d’una platea generale, onde fare il variabilissimo fondo del fiume fermo e permanente.
Ma il suo progetto il quale alla dar fine non avrebbe dato che un ponte di legname sopra basi di fabbrica, a cagione della grande spesa che richiedeva,non venne eguito; e così rimasero le cose fino a che nel 1828 il Consiglio generale della provincia di Molise implorò dal Real Governo che fossero accomodati aal ponte del Calore i nnuovi modi che in quello del Garigliano allora adoperavansi, offrendosi a sopportarne la metà della spesa, per l’altra metà della quale avrebbe contribuito la limitrofa provincia di Terra di lavoro. La Direzione delle acque e strade richiesta dell’esame, ne fidò il carico all’architetto Gìura, e questi andato sul luogo e fatto i suoi calcoli e investigazioni, propose un circostanziato progetto intorno all’opera desiderata.
In sulle prime egli volle tra lor confrontare le diverse qualità di ponti che si potevano stabilir sul Calore là dove interrompe le vie di Terra di Lavoro e del Sannio; e non meno per la disamina de’tentativi sino allora praticati, che per idrauliche ed architettoniche considerazioni suggeritigli dalla natura stessa de’luoghi, ebbe a conchiudere che dovevesi affatto abbandonare il oensiero di un ponte murato, siccome quello che sarebbe ito incontro a difficoltà ed a spese gravissime, sia che si compiesse quello di Pennaranda, sia che un altro tutto nuovo s’innalzasse in sito diverso, cioè ad un terzo di miglio più in su. Nè all’infuori di questi due siti, verun altro se ne sarebbe potuto trascegliere; ché in essi, il fondo dell’alveo è di ghiaia mista a sabbie ed argilla, le sponde o di sassi rotolati e di terre ovvero di roccia, né superate dalle piene, le quali quivi non oltrepassaron mai l’altezza di palmi 21 sul pelo basso; laddove negli altri le ripe mal contrastano alla forza della corrente, ed è variabilissimo l’alveo.
Ora un ponte di fabbrica nel posto medesimo dell’antico, ma fondandovi una platea generale indispensabile alla sua stabilità, con metodi di esecuzione difficilissimi e risultamenti non appieno sicuri, sarebbe importato non meno di ottanta in cento mila ducati. Ben è vero che un ponte di legname facilmente poteva gittarsi nell’uno o nell’altra de’mentovati luoghi; ed ove sì fosse voluto attendere solo ad una momentanea economia, era da prevalersi delle fondamenta qui sopra discorse, girando sulla pila ivi eretta e la vicina spalla un picciol arco di mattoni, nell’altro spazio fra la stessa pila e la spalla sinistra un grand’arco di legname, congegnato alla guisa di Wiebeking, ed in fine costruendo due altri archi laterizi sulle due altre luci che si trovano in continuazione della spalla destra. Per tal forma avremmo avuto sul fiume un ponte composto di tre archi di fabbrica e di un grande arco di legname della spesa, come stimò il signor Giura, di trentamila ducati, ma – di breve durata; perciocchè ad ogni venti trenta anni l’intero arco di legno avrebbe dovuto periodicamente rifarsi; e spendersi perciò dodici in quindicimila ducati. Rimaneva peraltro una terza maniera di costruzione, per la quale, evitati gl’inconvenienti dell’una e dell’altra, sarebbesi raggiunto acconciamente lo scopo, e quella era di sospendere il ponte a catene di ferro affidate a solide fabbriche. Per questo preferiva l’architetto tra’due siti mentovati il superiore, a piè della rupe ove torreggia la terra di Solopaca, egli ne calcolò il costo in ducati cinquantaseimila, e ne presentò i disegni unitamente a quelli del ponte di legno. Ma î primi vennero a preferenza approvati; e però si pose mano al lavoro nel mese di Luglio del 1832; nel Marza del 1835 il ponte era bello e compiuto. Noi ci facciamo a descriverlo di parte in parte.

[…]
OMISSIS DA PAG 4 A PAG 8

Il cavalier Giura aveva di già nel suo Progetto sottoposto al più severo calcolo le parti tutte del ponte affin DI deTerminarne la resistenza. E però aveva eglì calcolato il peso intero che doveva esser sostenuto dalle catene di sospensione, e determinata la tensione che ne risultava sulle maglie, per giudicare se fornite erano della grossezza e forza che si conveniva; lo stesso avea praticato per le catene di ritenuta, e pe’sospensori; aveva esaminato gli effetti risultanti dalla estensibííità del ferro, per conoscer la figura che avrebbero presa i rami di sospensione ed il pavimento nello stato ordinario, cioè non sottoposti a veruna carica accidentale; determinato la freccia e la figura della curva in cui sarebbero stati costretti a disporsi i rami di ritenuta in virtù della carica o peso delle catene istesse; calcolato non meno l’abbassamento che sarebbe avvenuto nel pavimento per effetto della massima carica accidentale, uniformemente ripartita la quale potea gravitarvi, che i cambiamenti di figura i quali poteano avvenir nel sistema al passaggio de’più pesanti carri; considerato gli effetti che avrebber prodotto sulle catene le variazioni dell’atmosferica temperatura t e le oscillazioni e vibrazioni cagionatevi dagli urti nel passaggio dei carri; infine esaminato qual esser doveva il tormento a cui sarebbero esposti nel caso il più sfavorevole i pilastri ov’erano i punti di sospensione ed i massi d ritenuta. Con tal corredo di calcoli procedendo ,nelle cui profondità – io certo non oserei profano piede inoltrare aveva il dotto artista anticipatamente determinato tutte le mentovate resistenze; le quali se ne’grandi lavori architettonici sono sempre da ponderarsi, massimamente sono in quello di cui ragioniamo. Per tal guisa la sicurezza del ponte era un problema risoluto da lui con tal matematica precisione, che, possiamo dirlo, quando fu messo in opera, non ha d’una linea sola oltrepassato le leggi che l’egregio artefice avevagli date. Salvo pochissime variazioni effettuate durante l’esecuzione, ogni menoma cosa venne adempita secondo le norme, dall’ autore prescritte; ed ogni cosa dipoi videsi rispondere a puntino alle sue previdenze.
Aveva egli estimato che tutta l’opera dovesse importare ducati cinquantaseimila , come dicemmo; e ne furono fatti all’uopo due contratti di appalto; uno pe’lavori di ferro, l’altro pe’lavori di fabbrica, legname cc. Or tutto compiuto, si trovò il costo de’ primi in duc..22215. 98 e quel de’secondi in duc . . 36555. 89 in tutto duc. 58771.87.
La differenza pertanto non fu che di ducati 2771.87, vale a dire circa appena il 5 per cento dal precedente progetto: differenza indiscernibile, chi rifletta alle variazioni mentovate, ed all’essersi ponte fatto con assai più decoro e magnificenza che non erasi dapprima ideato.
I ferri tutti vennero dalle ferriere di S. E. il Signor Principe di Satriano, e non lasciarono desiderio di precisione maggior di lavoro.
Ma quelli ch’esser doveano di getto furono eseguiti nella Real Fabbrica della Mongiana, la quale per la prima volta tentava la fusidue di pezzi di così gran mole e di forma si complicata: non pertanto riuscirono essi di tal perfezione che in nulla invidiano gli esteri adoperati nel ponte Ferdinandeo.
Per ultimo non si vuol defraudare della Meritata lode né il Signor Augelo Ruggi ingegnere alunno deputato a stare sul luogo ad attendere alle opere, invece del suo compagno Signor Gennaro Coda, che in autunno del 1832 rimase ivi morto dall’aer malsano della contrada; né il Signor Tommaso De Rosa appaltatore il quale non badò a spesa nè a cura perché ìn tutti i lavori di legno e di calcina si raggiugnesse la massima eccellenza.
Saggiato il novello ponte col carico di poco men che mille cantaia non ne risultò che Lieve ed equabile oscillazione. Laonde nel dì 5 di Aprile 1835 la Maestà del Re solennemente l’inaugurò, primo tra tutti passandovi, accompagnato da, un drappello di cavalieri, tra’plausi di gran numero di spettatori e le popolari acclamazioni. Di poi attentamente visitò l’opera,in ogni sua parte di belle lodi retribuendo non meno l’insigne architetto che il Ministro sotto il cui reggimento quest’opera pubblica provinciale erasi incominciata e compiuta. E poiché all’altro simil ponte area dato il suo nome volle che questo dal nome della sua Augusta Consorte Maria Cristina si intitolasse. Quanto era egli allora lontano dal prevedere che in meno d’un anno quella denominazione, non più lieto omaggio ma luttuosa memoria, non altro avrebbe rammentato a Lui, a noi ed ai posteri che virtù, bellezza e sventura !
Dettò l’epigrafe scritta nel marmo per conservare quella solenne dedicazione il canonico D. Francesco Rossi, il quale continua tra noi la dotta successione dei Mazzocchi, de’Martorelli, degli Aula e di altri maestri dello stile epigrafico latino. Né certo meglio poteasi col linguaggio di Livio e di Vitruvio significare la immota fermezza d’un ponte, non su pile ed archi né di pietre intagliate costrutto, ma librato in aria sopra compagine di assi maestrevolmente sostenuta per diritto da ferree catene. Nessuno sarà così in ira alle Muse che non ci sappia buon grado di chiudere il presente articolo con una sì elegante iscrizione.

FERDINANDUS II

« Ferdinando II, Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme P.F.A., nato per il bene pubblico, affinché, essendosi rotta l’accorciatoia del Calore, non fosse impedito ai popoli il vicendevole miglioramento, per lunghe dispendiose vie, comandò che fosse fatto immediatamente un ponte, a cominciare da quello già costruito, che corresse non sopra piloni ed arcate, con pietre conce, ma fatto artisticamente, con una compagine di legno e di bronzo, con sotto tese delle intelaiature, pendente nell’aria, immobilmente fermo, con danaro raccolto dai Campani e dai Sanniti, gareggiante per magnificenza e per eleganti ornamenti con il ponte di Ferdinando; ed essendo completato in ogni parte, il Re stesso, avendolo inaugurato con solenne rito, per il primo, fra tutti, senza alcun incidente, circondato dalla regia cavalleria, con buon augurio, essendo passato oltre fra gli applausi e le liete acclamazioni dei popoli, lo consacrò; e, avendolo insignito dell’augusto nome della fiorentissima sua consorte Cristina, lo consegnò all’immortalità. 5 aprile 1835 »
(Traduzione del prof. Alfredo Romano[1])

Quanto a me, non saprei ora lasciare questo grave argomento senza chiedere scusa ai lettori delle tecniche particolarità nelle quali, per trattarlo accnciamente, fui obbligato ad entrare, e senza gratular ad un tempo alla patria nostra. Dando all’Italia un nobile esempio e non ancora imitato , ella in meno di un lustro non solo ha innalzato due de’pensili ponti,per cui principalmente altre colte nazioni menano vampo,ma può additarli allo straniero siccome novelli trionfi dell`ingegno napolitano. Sono in essi in fatti migliorati d’assai le forestiere invenzioni, e più guarentite la sicurezza e la durata: miglioramenti che in quel del Calore potranno per avventura notarsi alquanto più che nell’altro, il quale di tempo precede e lo sopravvanza sol per lunghezza. Oggimai il viaggiatore che vaad ammirare le magnifiche opere del Vanvitelli in Caserta e inMaddaloni, potrarrà di poche altre miglia il cammino per visitare a Solopaca l’insigne lavoro del Giura.
Vagheggiate le pittoresche bellezze della valle del Caloe, ei fermerà compiaciuto lo sguardo sul ponte che riumisce due ripe, non mai prima insieme congiunte, ed il quale se gli mostrerà nel più mirabile aspetto. Due leoni di marmo sembrano custodirne dall’un capo e dall’altro l’ingrsso. Vedi sculte le insegne delle due povincie che in sì lodevol modo impiegarono parte de’loro capitali, Ecco i quattro isolati pilastri pe’qualii passano le catene; ecco gli archi rovesci ch’esse desrivono e da cui peendono le spramghe a sostenere i due lungghi correntti su’quali son ccompaginate le tavole del tripartitto pavimento. Quì tutto è sveltezza, anzi aerea leggerezza, e ad un tempo tutto è assicurato, tutto sottomesso a matematica ragione. Scendiamo nelle rofondità degli angusti cunicoli, ergiamoci a’capitelli de’pilastri entro cui sono i unti di sospensione delle catene, coi pendoli che gelosamente contrassegnano menoma variazione di esse; in fine esaminuamo per lo minuto ognii cosa, e per ogno dove avremo cagion d’ammirare la sapienza di chi rodusse questo capolavoro di arcchitettura, e di benedire le provvide cure del Governo che loprocacciarono.

R.***L.***