“Briganti e musica popolare dal nord del Sud ” Capitolo 3

CAPITOLO 3 – BRIGANTI E MUSICA
Briganti e musica popolare dal nord del sud / Pierluigi Moschitti
Canti Briganti

La tradizione e la fantasia popolare ci tramanda una figura del brigante che spesso si trasforma in mito. Questa immagine, diffusa da quelli definiti “la voce del popolo”, cioè i cantastorie e i poeti a braccio, fu ripresa in età romantica anche da autori colti come George Byron, Walter Scott, Washington Irving. Nelle storie popolari hanno sempre appassionato le avventure di uomini temerari ed eroici che rischiavano la propria vita, per fini politici o sociali, a favore della povera gente. E’ così che si sono tramandate storie e fantasie, mischiandosi a tal punto che nelle avventure di personaggi entrati nella leggenda, come Robin Hood, Fra Diavolo, la Primula Rossa, Il Passatore, Zorro, fino ad arrivare a tempi più recenti con Emiliano Zapata, il “Che” Guevara, il sub comandante Marcos, non è più possibile una netta distinzione tra realtà e mito.
Il racconto diventa leggendario grazie a una serie di accorgimenti, come eventi fantastici ed azioni incredibili e temerarie, proprio come succede nei canti cavallereschi medievali e rinascimentali. La storia oltretutto sottoposta a continue trasformazioni dovute alla personale interpretazione del cantastorie, ai cambiamenti dovuti dalla trasmissione orale e all’influenza delle tradizioni locali.
La struttura narrativa dei canti che parlano di briganti vede, generalmente all’inizio, un’ingiustizia subita e la costruzione di eventi finalizzati alla vendetta. Per realizzare tale vendetta il futuro brigante esce dalle regole del vivere civile e cade in una serie di efferatezze. La violenza esercitata dal protagonista , al tempo stesso, una sorta di riscatto per il lettore, in quanto più essa è spietata, più attenua il dolore delle prepotenze subite.
Una forma di rivincita sociale e psicologica dove il lettore si identifica con il protagonista.
A chiudere la storia c’ l’uccisione del nemico giurato che produce un abbassamento della tensione.
Il brigante fugge oltre i confini della propria terra e trova rifugio in un posto sicuro oppure viene catturato e affidato alle patrie galere o ucciso. Accade talvolta, in molti canti religiosi narrativi, che intervenga un santo o la Madonna a portare l’uomo sulla strada della redenzione. Alla fine della storia, come nelle migliori favole, troveremo sempre una morale o un avvertimento.
Dell’onore tradito di sorelle, madri e compagne di futuri briganti la letteratura popolare ne è piena, il delitto d’onore infatti, un lasciapassare per il riscatto morale dell’assassino al punto che, non solo il popolo, ma la stessa cultura letteraria, finisce col guardarli con occhi positivi.
Meno indulgente  il cantastorie quando si trova di fronte a uomini spinti a delinquere dalla sola crudeltà, privi di motivazioni sociali. Ecco come si esprime un anonimo cantore popolare tra la fine del 600 e l’inizio del 700, così descriveva il bandito Rainone, originario di Carbonara di Nola:

“Nel mondo vi sono male genti,
ma mai come Carlo Rainone;
vi sono sempre stati insolenti,
ma mai come questo non v’è? menzione”.

Il cantare procede con una serie di descrizioni di atti criminosi per concludere con la morte del bandito e con una morale:

“Nessun si vanti con il brando a lato, nè vada
scalzo chi semina spine, raccoglierai quel che hai
seminato”.
FOTO1I Cantastorie
Il Cantastorie una tipica figura di musico del meridione mentre al nord, i Trovatori, avevano repertori diversi e discendevano dalla tradizione popolare provenzale. Erano degli intrattenitori ambulanti che si spostavano di città in città, nelle fiere e nelle feste popolari, raccontando e cantando una storia, spesso aiutandosi con un cartellone in cui erano raffigurate le fasi più caratteristiche del racconto.
Le prime testimonianze di questi cantastorie sono relative ai cantambanchi e ad un dialogo di Pontani, dove l’autore ripercorre gli usi e i costumi della Napoli quattrocentesca e si lega alla poesia cavalleresca ed alle dominazioni francese e spagnola.
Nel racconto, il cantastorie mette in risalto la sua verità, argomentando spesso anche con suggestioni fantastiche come ad esempio fece Ferdinando Russo nella storia sui Rinaldi.

“Ecco Rinaldo in Campo! Il Palatino!
O palatino ‘e Francia cchiu putente!
Teneva nu cavallo, Vigliantino
case magnava pe’ gramegna a gente
[….]
Po teneva na spada, Durlindana ”

In realtà il cavallo di Rinaldo si chiamava Boiardo e Durlindana, invece, la spada di Orlando.
La decadenza della figura del cantastorie, che permane fino all’ultimo trentennio dell’800, andrebbe ricercata non nell’invecchiamento dei contenuti, ma nella mancanza dei mezzi di sopravvivenza. Il cantastorie, infatti, viveva delle offerte degli spettatori e della vendita di fogli recanti la storia raccontata. A questo tipo di “letteratura” appartengono anche le ballate dei stornellatori a braccio che, nelle cantine e nelle feste paesane, si sfidano tra di loro improvvisando delle storie in ottava rima. Questa ottava rima  una struttura poetica composta di otto endecasillabi (ognuno di essi composto appunto di 11 sillabe), di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata, secondo lo schema ABABABCC. Detta anche “stanza”, l’ottava rima caratteristica della poesia narrativa e dei poemi cavallereschi in particolare, ma viene impiegata anche nelle rappresentazioni sacre e nella lirica. L’invenzione di questo genere poetico  attribuita a Giovanni Boccaccio o ai cantari che la usavano per la ballata attraverso la lauda. Alcuni poeti, cultori di questa arte, sono ancora presenti in Toscana, Abruzzi e nell’Alto Lazio.

FOTO2

Questi fogli a stampa, molto usati fin dal ‘500 e che derivano dai feuilletons francesi, possiamo definirli come gli antenati dei moderni fotoromanzi. In questo modo si fondeva la comunicazione scritta del testo con quella orale della musica che, non esistendo alcuna forma di registrazione, veniva acquisita in forma mnemonica.
E’ per questo che tanti testi venivano cantati con melodie popolari adattate, per cui ancora oggi, come già avveniva con le ballate del tardo medioevo, facile trovare storie diverse con la stessa melodia in quanto, mentre il testo era di primaria importanza, la musica era marginale.
Questo tipo di comunicazione, che affonda le proprie radici nella tradizione della letteratura europea, costituì per secoli il maggior veicolo di diffusione di opere, come i poemi cavallereschi e i romances spagnoli.
Naturalmente i Cantastorie erano sempre alla ricerca di personaggi, di cui enfatizzavano le gesta, che interessassero in particolar modo gli spettatori. Ben presto storie di Briganti entrarono nel repertorio dei Cantastorie, spesso anche quando questi erano ancora in vita e potevano servire al popolo anche per esprimere sentimenti di rabbia contro l’autorità costituita:

Peppe Mastrilli, cu ‘na palla di metallo
Accise quattro sbirri e nu cavallo

FOTO3Il canto dei cantastorie assunse anche un valore socio-politico, determinando quella che la sua funzione di comunicatore sociale, espressione delle condizioni di vita e delle ideologie che si contrappongono, generalmente, al potere dominante.
I testi dei cantastorie tendono a vedere il brigantaggio sociale difensore degli umili e avversari dichiarati delle classi benestanti.
Così non fu per il brigantaggio post unitario in quanto, trattandosi di una questione politica risoltasi con un atto di occupazione, Cantastorie e poeti furono bloccati dalla repressione dello Stato e dal timore di essere fucilati per attività eversiva.
Fu così che a partire dal 1861 l’atmosfera di caccia alle streghe che si era diffusa nelle città e nei borghi meridionali, va ad inquinare tutte le opere e, mentre il popolo racconta storie romantiche e di tesori sepolti dai briganti, intellettuali e narratori prezzolati ne danno un’immagine truce, descrivendoli come disperati, assassini o sbandati.
La storia che si narra deve costituire un monito per gli ascoltatori e propagandare il nuovo Stato unitario che, intuendo l’importanza dei Cantastorie – mass media dell’epoca – commissionò ballate e storie al fine di screditare, agli occhi del popolo, chi si opponeva al nuovo regime ed in primo luogo le figure brigantesche.
E’ emblematica l’ostilità espressa dall’anonimo fiorentino, autore della ballata nella quale si narra in versi la Vera istoria della vita e morte del brigante Chiavone.
L’anonimo fiorentino del testo, non adotta più l’ottava epica ma ricorre all’inno in quartine, per condannare le gesta del bandito che fu “Nemico della patria/e della libertà, per conto d’un Borbone lasciava la città /ei di sue imprese ignobili diede feroce un saggio/ quando diessi a percorrere l’infame brigantaggio.
L’inno si chiude con l’invito: “ognun detestasi il perfido Chiavone che fu brigante celebre nei fasti del Borbone”.

FOTO4L’attività dei Cantastorie, che al giorno d’oggi rientrerebbero nella categoria degli “artisti di strada”  proseguita, solo in Sicilia, fino agli inizi del 1980 ed ha avuto la sua estinzione con la scomparsa di Cicciu Busacca di Paternò. Interprete straordinario con una visione drammatica, sarcastica e ironica, collaborò con personaggi e artisti di grosso spessore, come Rosa Balistreri, i poeti dialettali Turiddu Bella e Ignazio Buttitta del quale interpretò le liriche “U lamentu pi la morti di turiddu Carnavali” e “Lu trenu di lu suli”; pagine che hanno segnato la storia siciliana di quell’epoca.
Perfino Dario Fò, il nostro premio Nobel alla letteratura, lo volle nel suo collettivo come interprete di “Mistero Buffo”, “Ci ragiono e canto n.3” e “Giullarata”.
E’ curioso notare come il repertorio moderno di Busacca non si discosti molto dalle vicende raccontate dai Cantastorie che operarono dal ‘500 all’ ‘800; infatti, insieme a storie di briganti: La storia di Turi Giulianu re di li briganti, La storia di Giovanni Accetta, La storia di Turi Giuliano, La storia di lu briganti Musulinu, o liriche di carattere epico come la storia di Orlando e Rinaldo (paladini di Francia), troviamo opere di diretto impegno sociale e politico come: Cosa è la mafia, Un uomo che viene dal sud, Lu piscaturi sfortunatu.
FOTO5La serenata
Nel loro repertorio i Cantastorie avevano anche composizioni sull’attività quotidiana della vita dei campi e, soprattutto, struggenti storie d’amore, generalmente amanti ostacolati da parenti (sul tipo di Romeo e Giulietta) o da signorotti arroganti e malvagi (tipo Don Rodrigo dei Promessi sposi).
In modo particolare a partire dal settecento, si diffuse in tutto il Meridione anche il canto amoroso, di corteggiamento, meglio noto col nome di serenata.
Di prassi la serenata era una canzone con accompagnamento musicale fatta dall’innamorato all’amata. Quando l’innamorato non aveva capacità musicali, questi assoldava dei musici, generalmente con chitarra e mandolino, con i quali si recava sotto la finestra della sua amata per esprimere i propri sentimenti. La donna, se accettava il corteggiamento donava un fiore all’innamorato, altrimenti la finestra rimasta chiusa esprimeva il rifiuto. La serenata “si portava” anche in occasione di un fidanzamento ufficiale o il giorno prima del matrimonio; in questo caso i musici erano più invogliati in quanto, dopo l’esecuzione, si aprivano le porte della casa e sulle tavole apparecchiate si poteva trovare cibo e vino a volontà. E non era poca cosa a quei tempi!
Il termine “serenata” esprime due concetti; il primo perchè eseguita con il favore della sera quando, nella fase della dichiarazione d’amore, l’oscurità può diventare complice favorendo l’essere romantici; il secondo perchè, come nel caso di coppie già formate, la serenata esprimeva principalmente l’augurio di una buona notte, appunto di una notte “serena”.

FOTO6In seguito tale genere non manifestò solo sentimenti diretti di amore e di corteggiamento, ma anche di amicizia, rispetto, gratitudine ecc. In questo caso con la serenata, che non era di corteggiamento, veniva augurato un buon riposo notturno.
Di seguito una tradizionale serenata utilizzata come dichiarazione d’amore

LI PIEDI ZOPPI
Serenata tradizionale
Canzone n. 3 CD “Briganti di frontiera”

Che bella notte che bella serena
che bella notte p? rub le donne

Bellina ci si nata all’ aria fina
chi vede sta collina scorda pena

Li c’è na givenotta appassionata
è na zitella che me fa murine

Comè ca nciai venuta a’pparecchiane
oi bella fatelo bene lo magnane

Sti piedi zoppi vonno camminare
semprè presso di voi vonno venire

trad. che bella notte che bella serena (cielo stellato)/ che bella notte per rubare le donne/ Bellina ci sei nata all’aria fine (bel posto) chi vede questa collina dimentica le pene/ li c’è una giovane appassionata che è una nubile che mi fa morire/ com’è che non sei venuta ad apparecchiare (i tavoli)/bella fatelo mangiare bene/ questi piedi zoppi vogliono camminate/ sempre da voi vogliono venire.

La prossima serenata ha contenuti diversi, in quanto  diretta ad una donna che ha già accettato il corteggiamento, ed ha lo scopo di augurare un sonno “sereno” all’innammorata.

AMATA PERLA
Serenata tradizionale
Canzone n. 9 CD “Briganti di frontiera”

Tu si l’amata perla in questo sito
dormi che stai col tuo amato, fiore

La luna ci sta in cielo e voi dormite
fino a che iesce lo splendento sole

La gente vede tanta de gelosia
lassatela parlare presso di voi

Lo bene tra d’nui n’n fenisce mai
e se ci vien la morte… pacienzia, amore.

Trad. Tu sei l’amata perla di questo posto/dormi che stai con il tuo amato, fiore/la luna c’è in cielo e voi dormite fino a che sorge il sole splendente/la gente è molto gelosa/ lasciatela parlare di voi/ il bene tra di noi non finisce mai/ e se viene la morte… pazienza, amore.
La serenata “a dispetto”
Altro tipo di serenata  quella “a dispetto”. In questo caso non si canta l’amore, ne l’amicizia o il rispetto, ma  esternazione di rabbia e risentimenti verso la persona a cui la stessa  diretta, causati dal rifiuto del corteggiamento, da infedeltà o da altri torti subiti. In alcuni casi il messaggio non molto diretto, ma ricco di allusioni e metafore:

parlato:
Bella dai mille amanti, t’affacci o nun t’affacci a sta finestra, semu venuti cu sta bella comitiva a portarti sta sorta d’ serenata.
Si prosegue con la presentazione della comitiva (con questo termine veniva anche indicata la banda di briganti)
Cantato:
E c’è Mallino e c’è Spanacchia, e c’è R’nucchiu abb’vrinato (ginocchio attorcigliato), ci sta puru Ciccio Guercio e Meneguccio senza un braccio, c’è Minghione e l’Avvocato.
Con chissà quale strumento, in questo momento, rentu casta stai a sunà (dentro casa tua stai suonando)

Bella non t’abbantare
Cà m’hai lassato
Tutta la vigna tua ho camminato
Alzai la pampanella e viddi l’uve
Mancanza fu la mia ca n’ la tuccai
Perchè io sono un adducato, invece tu si stata ‘na scrianzata

Trad: bella non ti vantare/perchè mi hai lasciato/ tutta la vigna tua ho camminato (nel senso di aver avuto l’opportunità di possedere il corpo della bella)/alzai la fronda (gonna) e vidi l’uve (il sesso)/ è stata colpa mia che non la toccai (che non ne approfittai)/ perchè io sono un educato, invece tu sei stata una screanzata.

In altri casi, quando la rabbia diventa addirittura odio, il messaggio diventa diretto e crudele. Può essere questa la condizione iniziale, per cause sentimentali, di un potenziale brigante che, sentendosi rifiutato o offeso nei suoi sentimenti, può commettere violenze che possono condurlo ad un cambiamento radicale della sua vita. Come accadde al brigante Peppe Mastrilli di Terracina;
…Ma la fanciulla d’altri prese amore/cioè d’un ricco figlio d’un mercante/Di gelosia, di rabbia, di furore/arde Mastrilli fiero nel sembiante/d’uccider il rival già  gode in core /infelice! Gli appare allor davanti/come tigra Mastrilli quelli afferra/e morto a coltellato il rende a terra,

ALL‘ARRABIATA
serenata a dispetto
canzone n. 12 CD “briganti di frontiera”

T’so guardata co l’arme alle mano
te so cresciuta co li miei sudori
Chi te purtava l’oro i chi l’argento
i te purtava prete de diamanto

Na vota te veneva sempe appressu
tu ci puntavi iu pere e i iu passu
Ma mo nci vengu chiù focu tardesse
e la vocca de Somma t’ abbruciasse

I l’onda de iu mare ti ci cacciasse
N’goppa a nu scogliu magnatu de pesce
Nisciunu pe la puzza s’avvicinasse
mancu la vostra mamma te piagnesse

Nisciunu pe la puzza s ‘accustasse
mancu la sepletura tu ricevesse
I quannu moro i ca te circasse
ne inferno o paradiso ca te ncuntrasse

trad: ti ho difeso con le armi in mano/ ti ho cresciuto con i miei sudori/ chi ti portava l’oro e chi l’argento/ io ti portavo pietre di diamanti/ una volta ti venivo sempre dietro/ tu puntavi il piede io il passo(nel senso che per camminare si doveva stare insieme)/ ma ora non ci vengo più, il fuoco ti arda/ e la bocca di Somma (Vesuvio) ti bruci/ e l’onda del mare ti cacci/ sopra uno scoglio mangiato dai pesci/ nessuno per la puzza si avvicini/ neanche la vostra madre ti pianga/ nessuno per la puzza si accosti/ neanche la sepoltura tu riceva/ e quando muoio io se ti cerco, non vorrei incontrarti ne all’inferno ne in paradiso.
La mattinata
Come abbiamo visto, la serenata si poteva cantare in diverse occasioni e tanti la esercitavano a seconda delle proprie necessità. Nel Regno di Napoli era così diffusa che ad un certo punto il Re ne dovette vietare l’esecuzione poichè le numerose serenate che si svolgevano, a volte degeneravano e disturbavano la quiete pubblica inoltre, la presenza di numerose persone favoriva gli schiamazzi notturni. A questo punto il napoletano, che col suo ingegno riesce sempre a trovare una soluzione, cominciò ad eseguire la “mattinata”.
Questa, a differenza della serenata, che si faceva di sera per corteggiare ed augurare la buona notte, veniva effettuata di mattina ed aveva lo scopo di augurare il  buon giorno all’innamorata.

FOTO7La canzone seguente  una “mattinata” cantata da un pescatore o da un marinaio, che “va per mare”, che augura il buon giorno alla sua amata. Particolare la struttura che prevede una parte corale a “botta e risposta” nel senso che ripete, fin dalla prima strofa, il testo eseguito dal solista.
Altra particolarità il ritornello in cui il coro non canta un testo ma imita il suono delle campane mattutine.

MARINARESCA
Canto d’amore
canzone n. 11 CD “Briganti di frontiera”

I primm ammò, i primm ammore te vengo a salutar’ te veng’ a salutà
Coro: i primm amò, i primm ammore te vengo a salutar’ te veng’ a salutà

Di nuovo amante bella statem’ a sentire
Coro: Di nuovo amante bella statem’ a sentire
Coro: ran dan dero ndero daran da ndero ndero ran dan dan

Ramme lu vie, ramm’ lu vient ca possa navigar’ ca possa navigà
Coro; Ramme lu vie, ramme lu vient ca possa navigar’ ca possa navigà

Che questa barca mia al porto deve uscire
Coro: Che questa barca mia al porto deve uscire
Coro: ran dan dero ndero daran da ndero ndero ran dan dan

Quann p’nà, quann p’nanz a te vengo a passare a te vengo a passà
Coro: Quann p’na , quann p’nanz a te vengo a passare a te vengo a passà

Famm signo d’ammore, miettete a ridere
Coro; Famm signo d’ammore, miettete a ridere
Coro: ran dan dero ndero daran da ndero ndero ran dan dan

Finale
I primm ammò, i primm ammor’ te vengo a salutar’ te vengo a salutà

Trad.: mio primo amore, ti vengo a salutare / di nuovo amante bella statemi a sentire:/ dammi il vento affinchè io possa navigare/ perchè questa mia barca deve uscire dal porto/ quando passerà davanti a te/ fammi un segno d’amore: mettiti a ridere.

Naturalmente la traduzione letteraria, ma come spesso avviene nella musica popolare il testo può dare adito a diverse interpretazioni. In questo caso, ad esempio, può essere che l’innamorato chieda alla sua amata di dargli la forza (il vento) per andare avanti (navigare) e che gli permetta di affrontare i rischi della vita (uscire dal porto) quando poi si ritroveranno (quando passerò vicino a te) lei esternerà? il suo amore (fammi un segno d’amore) da vivere serenamente (miettete a ridere).

 

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