Eccidii d’Auletta, di Spinelli, di Pontelandolfo e di Casalduni

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RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “LA CIVILTA’ CATTOLICA-ANNO DUODECIMO ” VOL.XI DELLA SERIE QUARTA -ROMA 1861

da pag. 614 A PAG 621

REGNO DELLE DUE SICILE. 1. Istanze del Cialdini per immettere la Luogotenenzaa reale; dimissione del Cantelli e del De Blasio – 2. Amori dei napolitani pei piemontesi e per gli emigrati loro aderenti – 3. Alleanza del Cialdini co’ Mazziniani schietti – 4. Arresti di sospetti, di militari e di preti -5. Eccidii d’Auletta, di Spinelli, di Pontelandolfo e di Casalduni – 6. Lettera di Massimo d’Azeglio sopra la violenta annessione del Regno al Piemonte – 7. Intervento inglese a Napoli ; articolo della Patrie.
1. II Governo di Napoli continua ad essere lo scoglio in cui, si rompono i marosi della rivoluzione mazziniana, condotta dei moderati. Siamo già al sesto Luogotenente di Vittorio Emanuele, che dopo aver tentato ogni sorta di mezzi, sente l’impossibilità di soggiogare il Regno al dominio del Piemonte. Primo fu il Garibaldi, sotto nome di Dittatore; poi il Pallavicino Trivulzio, come Pro Dittatore ; poi il medico Farini; poi il Principe Eugenio di Savoia Carignano col giovinetto Nigra ; poi il Conte Ponza dì san Martino; ora vi sta il terribile Cialdini, che, a gran dispetto del padrone Bettino Ricasoli, smania e’vuole ad ogni patto buttarsi giù dal collo la soma d’un governo civile; renduto impossibile non meno dalla resistenza dei napolitani che dal despotismo dei tirannelli di Torino.
Sul principio d’Agosto corse voce che il Cialdini aveva dato le sue dimissioni, e con lui anche il Cantelli suo alter ego ed il De Dlasio successore dello Spaventa nella direzione della Polizia. La voce, era fondata e verissima.
Tuttavia a Torino si capì qual danno verrebbe alle cose della rivoluzione, se si accettavano le dimissioni del Cialdini; perciò si pose tutto in opera per indurlo a sostenere ancora qualche po’ di tempo, e si accettarono solo del Cantelli e del De Blasio.
Sopra le cagioni di questo sfacelo non si sanno finora che congetture più o meno verosimili. La meno improbabile par che sia questa. Il De Blasio s’indispettì perchè a Torino non si volle accettare a chius’occhi una lista di ostracismo da lui mandata colà per la epurazione della Magistratura napolitana, per cui, senza dare ragione veruna che ne mostrasse il merito o il demerito, cassava molte centinaia d’impiegati dal loro ufficio e vi sostituiva altrettanti suoi devoti e qualche parente. Guardò adunque come segno di sfiducia il rifiuto datogli di approvare spedienti così Draconiani, e ne colse cagione d’uscire dal pecoreccio.
Il Cantelli, dicon, la ruppe col Cialdini pei modi irruenti , acerbi e sommarii con cui, a furia di carcerazioni e di esilii e di fucilazioni, costui attende a guadagnare i cuori dei napoletani alla causa piemontese. Da ultimo il Cialdini, veduto di non poter fare assegnamento sopra il concorso della parte moderata dei liberali napoletani, si gettò nelle braccia aperte dei Mazziniani schietti; si lasciò aggirare da un comitato diretto da Liborio Romano; patteggiò col Nicotera per
l’armamento di 8 mila volontarii da lasciarsi sotto il comando di costui per la difesa di Napoli ; insomma si spinse così avanti nelle concessioni al partito repubblicano, che ha per insegna Dio e Popolo, che a Torino se n’ebbe spavento. Difatto poteasi sin d’ ora assegnare il tempo in cui, procedendo di questo passa, la parte mazziniana avrebbe gettato giù d’arcione la moderata, e avrebbe mandato ogni cosa in precipizio. Da Torino adunque vennero al Cialdini ordini, disdette, rimostranze, divieti; sicché egli dovette ritirare le facoltà date al Nicotera, far sequestrare fucili dati in deposito a certo Comitato mazziniano, e desistere dallo spingere la plebe napoletana all’adorazione di Garibaldi. Indispettito ed infastidito, diede il Cialdini le sue dimissioni; ma riserbavasi a rimanere per compiere la sua missione militare; e solo per riguardo al Re e alla causa italiana s’indusse a tollerare ancora un poco il titolo di Luogotenente reale, fincbè gli si trovi un successore, secondo la promessa fattagli dal Ministero.

2. Questo continuo cambiamento di padroni giova moltissimo a nutrire l’amore passionato dei napoletani verso i piemontesi; e se non fanno altro per ottenere che i padroni si cangino anche più frequentemente, gli è solo perché hanno ormai capito a prova la forza di quei due proverbii: che nulla si guadagna a cambiar basto e non soma, e che spesso, se muore un lupo, risuscita un orso.
A crescere codesto amore contribuisce la persuasione, che i ristauratori dell’ordine morale finora non abbiano saputo restaurare che gl’ interessi e le faccende delle varie consorterie avvicendatesi nelle cariche di governo. Di che discorre a distesa un Corrispondente della Nazioae di Firenze, nel a.° 231 del 19 agosto, e giova riferire alquante sue parole:
“Intorno a Cialdini stavano da una parte gli uomini politici napolitani, uomini, per lo più intelligenti ed astuti, ma non sempre di buona fede, passionati e partigiani all’uopo. A Napoli non vi sono che consorterie, sia quelle degli emigrati, sia quella di D. Liborio, sia altre più o meno indigene od esotiche; quivi la politica non si fa che dalle consorterie, e il favoritismo regna sempre sovrano assoluto. Contrapposto alla parte napolitana era il Cantelli, onesto uomo, ma mente ristretta, senza esperienza, timido e sospettoso dell’elemento radicale. Da ambo le parti burocratismo ed intrigo. Non tardò molto che le due parti si urtarono, si osteggiarono vicendevolmente, si minarono ecc. » E intanto il popolo napolitano impara che non torna a conto cacciar le mosche satolle, perchè loro succedono le affamate.
Tanto è l’amore che quindi infiamma i napoletani verso i piemontesi, lor novelli padroni, che non trovano parole d’affetto abbastanza espressive per manifestarlo. Basti, a darne un saggio, recare quei pochi periodi del Nomade, n.° 176 ; giornale che pur è agli stipendia del Governo. Or bene, essendo corsa voce che si trattava di sostituire al Marchese d’Afflitto, che diede le sue dimissioni , il Massari nella carica di Governatore di Napoli ; al vederselo venire innanzi in livrea piemontese, il diario napoletano ruppe in questo ditirambo. « Qualche volta vorremmo non vedere, qualche volta vorremmo non udire, qualche volta vorremmo non esistere, tante, sì oscene e turpi sono le voci che vannosi intorno spargendo contro il Governo da noi invocato e gli uomini che esso presceglie a guida e reggimento del paese. Vorremmo non vedere e non udire, per non iscoppiar dalla bile o dirompere nelle più volgari esclamazioni; vorremmo non esistere, perchè il peso di un tristo avvenire ci grava o ci potrebbe gravar la coscienza. Si è osato dire e pubblicare che un Massari sarebbe stato mandato a governare la voluta provincia napoletana. Al solo pensarlo è sorto un fremito di sdegno, sendo giudicato costui quasi l’ultimo degli emigrati … Ed ora per porre il suggello al tradimento degli emigrati, alla vendita che essi han fatto del loro paese si oserebbe proporre a governatore chi … Oh, si lasci tal gente a rodersi le unghie e i peli della barba, e lor si conceda solo, per commiserazione, di servire, servir sempre, la peggiore delle umane condizioni, ancorché servasi un Ministro o l’altro!
« Egli è tempo ormai che la razza emigrata si disperda; e se il Governo piemontese sentì bisogno di valersene, la compensi, se pure la rea consorteria non si compensò da se medesima, e ci privi pure di sì care gemme che non son punto necessarie alla nostra corona. Noi rinunciamo di buon grado a tali uomini. Il Governo piemontese li trovò buoni cittadini; volle crederli grandi e probi; li tenga pure per se. Noi non ripeteremo mica il verso: Quanta invidia li porto, amara terra! Ma, in grazia non ci mandi qui traditori. Di gente vendereccia ne abbiamo d’avanzo, e poichè Napoli esiste e deve esistere senza il lustro e il decoro suo proprio, esisterà pure senza un Governatore, quando questo Governatore non dovesse esser altro che un M…. Ci si consenta di non terminar la parola. Questo sdegno universale contro l’emigrazione napoletana vuolsi ancora disprezzare; ma esso vale oggi più di un plebiscito ».

3. II Cialdini s’è dato tutto alla parte italianissima. Oltre a quanto accennammo più sopra, può leggersi nel Nomade del 14 Agosto il decreto con cui sono determinate le divise e le insegne e le forme delle vestimenta.
Onde si deve distinguere l’esercito meridionale, con tunica rossa e berretto rosso. Omaggi al Garibaldi furono promossi e caldeggiati dal Cialdini, che approvò si allestissero in onore del romito della Caprera splendide feste da celebrarsi il dì 7 Settembre, per commemorazione del suo ingresso in Napoli nell’anno scorso. Deputazioni delle società operaie si fecero partire alla volta della Caprera, per riannodare più strettamente i vincoli dell’amicizia scambievole. Insieme coll’indirizzo al Re, ne fu stampato uno ancor più affettuoso e caldo al Garibaldi. Alla guardia mobile vennero ascritti i mazziniani più dichiarati, e posti anzi ne’ gradi più lucrosi ed onorifici. Insomma alla consorteria moderata succedette la democratica nel senso più ampio della parola.
4. Che cosa debba uscire da un governo di consorterie e da uno stato così violento di cose, in cui il popolo abborre un conquistatore ridotto a dominare colla forza spietata, egli è agevole ad intendere. Perciò non recò veruna meraviglia il sapersi, che nella notte dell’8 Agosto furono arrestati un centinaio di personaggi, contro i quali il dispotismo piemontese sarebbe assai impacciato se fosse costretto a produrre un tenuissimo indizio di prova che macchinassero qualche cosa colpevole ; ma che , per la legge dei sospetti, furono trattati come rei d’alto tradimento. Quattro marescialli, due Generali, sette Brigadieri, due Colonnelli, due Luogotenenti generali, un Maggiore, tre Capitani, un Luogotenente, ed altri uffiziali, in numero di 35, furono di recente assaliti nelle loro case, soggetti ad una perquisizione effettuata nei modi più brutali, poi condotti al forte del Carmine; e il giorno appresso, in mezzo a file di soldati, come si userebbe con ribaldaglia da galera, scortati al porto, cacciati sopra un bastimento con qualche centinaio di soldati sbandati caduti in mano a’piemontesi, e spediti a Genova! Lo Stendardo Cattolico, n. 88, ne reca i nomi; tra i quali son da notare il Fergola, i due Afan de Rivera, il Sigrist, il cui delitto evidentemente consiste nella fedeltà e nel valore con cui difesero i diritti del loro Re Francesco II.
Insieme a questi, la Consorteria di Governo si diede il gusto di arrestare alquante decine di preti e di religiosi, cioè non meno di 45, tra i quali il Vicario Generale del Card. Arcivescovo, Mons. Maresca, il Penitenziere maggiore Can.Pica ed i più rispettabili e zelanti tra i parrochi. Oltre di questi, che furono strascinati alle carceri della Vicaria col garbo solito ad usarsi colà verso i ladroni, furono altresì carcerati alcuni laici che la Consorteria credette poco devoti al nuovo ordine di cose. Come tutti furono seppelliti nelle prigioni, non se ne poté saper più altro, e di processo giuridico neppure si parla, perché non si ha un punto sopra cui fondarlo. Simili scene furono ripetute altre volte, a Salerno e a Sorrento, d’onde furono veduti giungere fino a 20 e 30 i sacerdoti, alcuni dei quali quasi decrepiti per età, e condotti fra due ale di sbirraglia e di soldatesca per tutte le vie più popolose fino al carcere. Affinché poi non mancasse luogo da chiudervi le persone oneste, ma sospette alla Consorteria governante, il Cialdini fece portare nelle isole adiacentii i ladri ed i micidiali chiusi nelle galere, e sostituire in luogo loro í Borbonici condannati dall’ostracismo tirannico di D. Liborio.

5. In questo frattempo cinque altre grosse terre del Regno venivano barbaramente messe a fuoco e sangue, poi diroccate e distrutte dal furore piemontese, per vendicare i danni ivi sofferti dalla reazione. I diarii eziandio italianissimi usarono parole di ribrezzo e di orrore al racconto di tanta nefandezza e crudeltà. In Auletta e Spinelli i reazionarii aveano osato tener testa ai masnadieri del Ciahdini, cui davano mano gli scherani ungheresi al soldo del Piemonte. Colle artiglierie vi si gettò la morte e l’incendio; poi le soldatesche vi si scagliarono a baionette spianate, uccidendo senza pietà chi era stato tardo a fuggire. Il saccheggio e la distruzione di quelle borgate compierono l’opera italiana. I soldati del Pinelli aveano fieramente manomesse alcune terre a breve distanza da Pontelandolfo, commettendovi atrocità orribili contro pacifici abitanti designati loro come reazionarii. Mossero quindi una quarantina di essi a Pontelandolfo. La voce della loro scelleratezza ve li aveava precorsi, e un furore di vendetta sospinse loro addosso la popolazione che tutti li scerpò, salvandosi un solo sergente che ne recò la notizia a’Piemontesi. Il Cialdini, avviò subito colà il Colonnello Negri, con un battaglione di bersaglieri ed altra milizia con artiglierie; si trassero bombe e granate, poi si venne all’assalto. I più degli abitanti e gli uomini capaci di portare le armi già erano fuggiti, e andavano ramiraghi per le campagne e i monti. Soli rimanevano, con qualche prete, una trentina di malati, o di innocenti che, sicuri della loro innocenza, non erano fuggiti. Furono tutti senza misericordia trucidati. Poi dato il sacco e messo il feoco alle case, tutte furono arse, restandone una sola spettante ad un italianissimo. Di lì mossero codesti barbari a Casalduni, e vi ripeterono la stessa tragedia, perchè gli abitanti di essa furono incolpati d’aver data mano al fatto di Pontelandolfo. Montefalcione , San Marco e Rignano sono anch’essi un mucchio di rovine fumarti e sanguinose, che gridano vendetta. Se si traesse il novero dei fucilati, dei morti nelle zuffe, de’banditi, de’ carcerati dal Piemonte per soggiogare il regno di Napoli, senza fallo si troverebbe assai maggiore di quello dei voti pel plebiscito, strappati colla punta del pugnale e colle minacce del moschetto. E si osa parlare ancora del suffragio universale come di titolo legittimo dell’asurpaaione piemontese? E gli ipocriti sostenitori del non intervento coprono col loro patrocinio codesto sterminato assassinio di tutto un popolo !

6. Non passa giorno in cui i diarii degli stessi usupatori non rechino il racconto di qualche eccidio, di zuffe accanite, di assalti feroci, di fucilazioni sommarie di 10 e 15 insorti ; ne’soli fatti di Postelandolto e Casalduni furono morte da codesti carnefici non meno di 164 vittime; e quali si fossero queste lo dice il Popolo di Italia, avvertendo che i veri briganti erano fuggiti. Furono dunque macellati 164 innocenti in ecatombe alla vendetta piemontese!Nè per questo maeellare ed opprimere sì spietato vien meno l’indomita resistenza dei popoli alla tirannia piemontese. Il fatto è così evidente che ormai persino la Patrie se ne mostra impensierita, dubbiosa delle sorti, d’Italia e inorridita. Ma qui citeremo la testimonianza d’un tale che non può essere sospetto di parteggiare per la reazione. Massimo d’Azeglio scrisse al Senatore Matteucci la lettera seguente, a cui si accenna nella nostra corrispondenza di Torino.
“2 Agosto 1861. Carissimo amico. Ho ricevuto e letto con molto interesse la vostra lettera, e vi ringrazio delle belle cose che voi mi dite e delle quali, Domine, non sum dignus. La quistione di tenere o non tenere Napoli deve, a quanto mi sembra, dipendere sopratutto dai Napoletani; a meno che non vogliamo, secondo il nostro comodo, cambiare i principii che fin qui abbiamo proclamato. Noi siamo andati avanti dicendo che i governi non consentiti dai popoli erano illegittimi, e con queste massime, che io credo e crederò sempre vere, noi abbiamo mandato a farsi, benedire parecchi principi italiani. I loro sudditi, non avendo protestato in alcuna maniera, si son mostrati contenti della nostra opera, e si potè vedere che, se essi non davano il loro consenso ai governi precedenti, lo davano a quello che succedeva. Così i nostri atti furono d’accordo coi nostri principii, e nessuno può averci a ridire. A Napoli noi abbiamo altresì cacciato il sovrano per istabilire un Governo fondato sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti, per contenere il regno, sessanta battaglioni; ed è notorio che, briganti e non briganti, niuno vuole saperne.
« Ma si dirà : e il suffragio universale? Io non so nulla di suffragio; ma so che al di qua del Tronto non sono necessari battaglioni, e che al di là sono necessari. Dunque vi fu qualche errore; e bisogna cangiare atti o principii. Bisogna sapere dai Napoletani, un’altra volta per tutte, se ci vogliono sì o no.
Capisco che gl’Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia; ma agli Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi a noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate; salvo che si concedesse che, per tagliar corto, noi adottiamo il principio in cui nome Bomba bombardava Palermo, Messina ecc. Credo bene che in generale non si pensa in questo modo; ma siccome io non intendo di rinunciare al diritto di ragionare, così dico ciò ch’io penso ed io resto a Cannero. A queste parole si potrebbero fare grandi commenti; ma intelligenti pauca, e poi a che scopo? Gradite ecc. Massimo d’Azeglio”.
Gli italianissimi coprirono di fango e di maledizioni l’Azeglio che in confidenza si era lasciata sfuggire qualche verità, henchè la temperasse con contumelie ai Principi, assassinati dal Piemonte nell’opera di rifare l’Italia.
Egli si dolse che si fosse abusato della sua confidenza, e si risentì degli sdegni liberaleschi e conchiuse una sua seconda lettera al Matteucci, sotto il dì 16 Agosto (Armonia n. 195 del 21 agosto.), con queste parole.
« Finché in Italia le quistioni pubbliche non si potranno trattare sotto tutte le forme, sarà la libertà pei giornali frementi (cioè per quelli che avevano inferocito contro l’Azeglio!) ma per la nazione, no. Sarà come in America : o far la corte alla piazza o legge Lynch… »
La rivoluzione, se ne ricordi l’Azeglio, divora i suoi figli.

7. Or è sopraggiunto nel Regno un fatto che diede a molti grave cagione d’impensierire assai. Un dì si vide ardere una selva presso a Castellamare, e si ebbe avviso che una grossa mano di legittimisti stava per scendere al tempo stesso da’monti e assalire la città. Ne uscì tosto il presidio piemontese, si cercarono aiuti da Napoli, si fece movere la milizia nazionale e tutto fu allestito a difesa. In quella ecco il comandante del vascello inglese Exmouth mandare a terra, in arme e in assetto da guerra, un quattrocento soldati di marina; e intanto mandar offerire al comandante piemontese i suoi servigi, per concorrere al mantenimento del buon ordine. Fu ringraziato. Pochi giorni dopo, siccome molti si mostravano commossi di tal fatto, si spacciò che così avea fatto il Comodoro britannico, per mantenere i suoi soldati in esercizio, e che non c’entrava per nulla la politica, nè dovessi in quel fatto scorgere traccia d’intervento. Ma ecco che sopravvennero ad ancorarsi a Castellamare e incontro a Napoli sette altre delle maggiori navi da guerra inglesi, senza che si sapesse per qual motivo, se non fosse per prevenire qualche potente alleato di Vittorio Emmanuele nell’opera pietosa di aiutarlo a domar Napoli. Certo è che in Francia la cosa riuscì molto spiacevole, e la Patrie ne parlò in questa forma.

“Una lettera reca ragguagli sull’arrivo delle navi inglesi, sul loro numero, sulla cifra degli uomini, dei cannoni e sull’attitudine che hanno presa. Si vede che in seguito d’una evoluzione, per lo meno singolare, navi inglesi compariscono nella baia di Napoli, proprio nel momento in cui pare che il bisogno di un soccorso qualunque si faccia sentire presso i piemontesi ; si vede pure che il comandante della squadra, non potendo decidersi a lasciare un solo giorno i soldati e i marinai senza esercizio, fa scendere a terra i suoi uomini, che sono tornati a bordo, ma che potranno certamente ricominciare il loro esercizio l’indomani. È la terza volta, se non erriamo, che il caso o il bisogno d’esercizio manda vascelli inglesi a volteggiare in certi paraggi molto agitati. La prima volta fu a Marsala. È noto che un officiale inglese, il quale aveva dimenticato a terra i suoi inexpressibles, fu cagione che i vapori napolitani non poterono cannoneggiare il piccolo bastimento di Garibaldi. La seconda volta all’assedio di Gaeta, in un momento che l’assedio andava per le lunghe, dei marinari inglesi, giunti là per caso, si diedero il passatempo di bombardare la cittadella. Finalmente oggi questi medesimi soldati, e questi medesimi marinai si abbandonano nelle province napolitane ad un esercizio che finì per diventar loro familiare.
« Riguardo a questi concorsi mascherati, a questi interventi surretizii, si noterà un fatto molto significativo. Il prestito italiano sottoscritto, come si è veduto, al di là della cifra richiesta, sì che si dovettero ridurre le domande da quaranta a quarantacinque per cento, il quale è tassato a Parigi, dove ha fatto un piccolo premio: questo imprestato, il più solido soccorso che si possa dare al governo di Vittorio Emanuele, non è tassato dalla Borsa di Londra. Abbiamo attinto alle sorgenti le più competenti, le più officiali; nulla indica il tasso del prestito italiano sul mercato inglese. Quando l’indipendenza italiana fu minacciata, la Francia, apertamente, in pieno giorno, sacrificò cinquantamila uomini e cinquecento milioni per questa gran causa. L’Inghilterra ha dichiarato innanzii tutto ch’essa non intendeva sacrificare nè un uomo nè uno scellino. E mantenne la sua parola. Solamente, poichè essa prevede che fra poco potrebbe trarre bel partito dalle relazioni che pensa di stabilire col nuovo regno, si aggiusta in modo da farsi il merito d’un intervento mascherato, sul quale l’Europa chiuderà gli occhi, e che non le sarà costato, come essa disse, nè un uomo nè uno scellino. In tal modo i suoi benefizii sarebbero netti ed essa ci lascerebbe di buon grado l’onore della impresa. La non è sempre andata così? »
Dicessi che il Ricasoli, infastidito del ritardo frapposto dal Governo francese all’eseguire gli ordini della rivoluzione, e abbandonar Roma, si fosse volto all’Inghilterra, mettendo all’orecchio di Palmerston qualche confidenza da farne grandemente crescere i sospetti contro Napoleone III, pei supposti disegni sopra la Sardegna e sopra Napoli. L’armata inglese a Castellamare sarebbe stata destinata a prevenire qualche nuova rivendicazione da parte della Francia. Certo è, checchè sia di queste voci, che da cotestoro, pronti a far gitto della Fede cattolica, a rinnegare il battesimo, a calpestare i diritti del Vicario di Gesù Cristo, a manomettere ogni legge, ogni trattato internazionale e sacro, per compiere i disegni del Mazzini, il Governo francese non può ripromettersi gran delicatezza di probità, o ricambio di gratitudine pei servigi prestati. Difatto va stampata sui giornali l’audace vanteria, attribuita al Bettino Ricasoli, e che suona una disfida alla Francia, in queste parole : Se non andremo a Roma coi Francesi, vi andremo cogl’Inglesi.

 

Ricerca a cura del Prof.Renato Rinaldi