” IL DOVERE” n. 21 Repressione del Brigantaggio.

dovere n 21Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da ” IL DOVERE” GIORNALE POITICO,SETTIMANALE PER LA DEMOCRAZIA – Genova sabato 1 agosto 1863 Num. 21
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CENNI SULL’ITALIA MERIDIONALE III.
Repressione del Brigantaggio.

In definiva altrove il Brigantaggio: organizzazione di delitti comuni scevra d’ogni carattere di questione Sociale o politica. Nè le cospirazioni borboniche, clericali e straniere, riuscirono a mutarne l’indole e le tendenze. Vero è che i brigarmi portano rosari e medaglie di santi, ritratti dr Francesco II e di Maria Sofia, e i capi s’intitolano Generali e Luogotenenti delle Loro cadute Maestà e difensori della Fede. Ma è vecchio costume dei Borboni e della Curia Romana il confidare la propria causa a tali partigiani; e l’Italia ha d’onde confermarsi nella fede del suo avvenire; vedendo come le male signorie del passato e il potere temporale del Papa non abbiano, entro ai confini della penisola, per seguaci armati e campioni, che ribaldi usciti dalle galere, o degni d’entrarvi. Or come correggere il male o restringerlo, sinchè non sia estirpato dalla radice coll’acquisto di Roma?
L’azione militare con forze regolari non raggiunse l’intento. Le truppe si rassegnarono a questa sciagurata ed ingloriosa guerra con pazienza e virtù maggiori d’ogni lode. Ma è cosa inutile e peggio il consumare il valore de’soldati ilaliani a perseguire briganti. Nè deve recare maraviglia se le truppe non riuscirono. Le sole operazioni militari e i mezzi delle regolari milizie non bastane a cogliere e combattere un nemico che sempre fugge; che si nasconde nelle foreste e nelle grotte de’ monti; conosce ogni sentiero, ogni ripostiglio, ogni agguato; vigila dall’alto dei colli la campagna íntorno a molte miglia; scorge da lontano ogni moto di chi si mette sulle sue traccia; e quando non può sottrarsi fuggendo, o aggredire a man salva, nascoste l’armi e abbandonati i cavalli pei campi, si finge contadino o
pastore, protetto dalla somiglianza del costume e dalla spopolata vastità dei luoghi. L’esercito italiano ha, invero, ben più alti ufficii da compiere pel paese. È suo dovere e suo voto apparecchiarsi a combattere i nemici di fuori e a finirla per sempre colla secolare importunità dell’invasione straniera. Le vittorie da esso aspettate sono quelle dell’indipendenza e della libertà della patria. Il suo campo d’onore sono le provincie della penisola, che ancora sostengono il danno e la vergogna del dominio altrui.
Che fare adunque? Dovrà il brigantaggio lasciarsi in podestà di se stesso? No il paese ha mezzi a sufficienza per domarlo; e sarebbe assurdo il supporre che una società civile, nel secolo XIX, aperta ormai a tutte le influenze del progresso dei tempi, non dovesse a breve andare liberarsi da poche centinaia di banditi.
Ma è cosa urgente il mettere in opera questi mezzi per modo organico e regolare, con attività, con risoluzione, con perseveranza. Vedemmo le guardie nazionali, sebbene male ordinate e scarse d’armi, combattere con successo le reazioni del 1861, che pur non erano aliene da un certo spirito di parte. Or saranno le medesime milizie meno disposte a combattere ribaldi, i quali mettono a continuo sbaraglio la vita, la proprietà; l’onore di tutti senza eccezione di opinioni?
La causa maggiore di debolezza è consistita sin qui nella meschina diffidenza dei governanti verso gli elementi più attivi del patriottismo italiano e del partito popolare in generale. Una specie di sodalizio burocratico, frutto d’ogni governo il quale, come accadeva di quello delle antiche provincia, tenda ad accentramento amministrativo, si distese per ogni parte d’Italia, inceppando il libero e spontaneo sviluppo della vita locale. L’egoismo; la tenacità delle vecchie abitudini, la presunzione di volere regolar tutto e tutti secondo le forme e le tradizioni del centro ufficiale – vizi comuni ad ogni burocrazia; indi, nella cresciuta mole degli affari, la confusione, la negligenza, le lentezze inevitabili di un sistema, che pretende tirare tutta le fila ad un nodo; queste ed altre cagioni ritardano il progresso delle riforme amministrative, la esecuzione de’lavori pubblici, la risoluzione degli affari privati dipendenti dai pubblici dicasteri, e furono fonte non ultima di malcontento tra le popolazioni. Ai quali danni s’aggiunse quella passiva aspettazione, quello sconforto; quel lasciarsi andare alla china, che è proprio di chi non s’educa a fare da sè i propri negozi e s’accorge d’essere nelle mani d’inesperto tutore.
Nè poco contribuì a svogliare gli animi dal concorrere operosamente al buon andamento delle cose pubbliche il carattere di coloro che alla esagerata tutela furono preposti. Parecchi non conosciuti mai per liberai, o tristamente noti come persecutori dei liberali, s’ebbero importanti uffici nel nuovo Stato. Si videro magistrati municipali e provinciali, giudici, ed altri ufficiali pubblici, che già nel regno dei Borboni esercitarono influenze sinistre contro i patrioti, rimanere influenti, mutate le cose, sotto maschera di moderati, ed egualmente intesi a perseguitare i loro avversari. E ne nacque un liberalismo ipocrita, tutto zelo a seminare calunnie e diffidenze contro gli uomini indipendenti e a procacciarsi favore offendendo le opinioni, le simpatie, i sentimenti, che la origine popolare della rivoluzione del mezzodì aveva creato in quei popoli. Il che naturalmente irritò ed oltraggiò gli animi, con grande ingiuria della nazionaile concordia fra una gente che, essendo d’indole sensitiva e pronta all’amore ed all’odio, è assai più tocca dalle offese fatte agli afetti suoi, che non da quelle che riceve ne’suoi materiali interessi. Onde antagonismo e cattivi umori fra paese e governo, non in tal grado da generare serio pericolo, ma certo grave e crescente, e da curarsi con sollecitudine ed amore; perocchè, se poco è il pericolo presente, ciò non dipende da leggerezza di cagioni, ma da quel sentimento e da quella aspirazione, che costituiscono la forza e la salute dell’italia in ogni provincia della medesima, e che avendo per supremo fine la fondazione della comune patria, fanno dimenticare ai migliori ogni spiacevole realità ed ogni ingiustizia.
La quale aspirazione di tutto un popolo, se fosse intesa e guidata da chi regga lo Stato con animo pari all’altezza degl’intendimenti di quella, potrebbe operare cose grandi e maravigliose, come avviene tutte le volte che un grande principio penetra nella vita individuale o collettiva dell’Uomo, elevandolo sopra la sfera de’suoi particolari interessi lo consacra interprete ed esecutore delle leggi universali dell’ umano progresso.
Si cessi adunque dalle grettezze di una politica al tutto indegna di una nazione che si rinnova a generosi destini, si promuova la cooperaziònc di tutte le forze del patriottismo italiano nella difesa della società e della patria, diasi libero campo alle operosità degli interessi locali nella cerchia di amministrazione e di sviluppo che è propria dei medesimi, e vedrassi il paese riacquistar fede in se stesso e farsi sicuro custode della propria salute. La istituzione di una buona polizia ubana e rurale e il compiuto ordinamento delle guardie nazionali bene armate, bene esercitate e congiunte ad azione comune in corpi scelti e mobilizzati, sono i due principali strumenti della pubblica tutela contro le scompigliate aggressioni del brigantaggio. E all’uno e all’altro mezzo non mancano buoni e volenterosi elementi. Manca bensì nel governo la volontà o la capacità di valersene.
Non s’intende dire con questo che l’azione delle forze regolari sia interametate, da escludersi massime sino a che le milizie cittadine più validamente ordinate ed agguerrite, non abbiano acquistato ferme abitudini di solidarietà, di prontezza, di disciplina nell’accorrere a guardia della sicurezza comune. La cooperazione delle armi regolari colle guardie nazionali ha fatto sin qui buona prova, ssendo quelle state d’esempio e di sprone alle seconde, e queste di guida alle prime.
I carabinieri resero importanti servizi, sebbene scarsi e sperperati a grandi distanze; e i loro posti potrebbero servire di nucleo ad una vasta rete di vigilanza civica elle campagne, associando ad essi drappelli scelti di milizie paesane.
I bersaglieri nei luoghi aspri e boscosi, la cavalleria nelle pianure e su pei lievi e scoperti pendii delle colline pugliesi, mostrarono sovente contro un indegno nemico ciò che potrebbe contro un nemico migliore l’impeto del valore italiano; e la presenza di un certo nerbo di tali forze, mentre vale da un lato a tenere in maggior soggezione i banditi, è dall’altro come lievito e norma alla educazione militare del paese. Ora, a quest’ultimo fine principalmentc è necessario, rivolgere ogni cura, per ragini morali, politicbe, ed economiche di gravissimo momento. Le circostanze interne, ed esterne dell’ltalia richiedono, con suprema urgenza che la tutela sociale e delle provincie meridionali sia affidata alle cittadinanze armate. Verrà girno, e forse è vicino, in cui la nazione avrà d’uopo di tutto l’esercito per compiere i suoi desini. Importa quindi che il paese impari a custodirsi da sè contro i nemici domestici.
La Commissione d’inchiesta, invocato prima a rimedio dei mali sociali delle provincie Napoletane un insieme di provvedimenti civili, che l’ordine del giorno da essa proposto alla Camera riassumeva per sommi capi, opinò in secondo luogo che a reprimere la presente licenza dei malfattori, fosse necessaria una legge eccezionale da applicarsi transitoriamente ai luoghi infestati dal brigantaggio. La Commissione era condotta in questo pensiero dalla evidente inefficacia della giurisdizione ordinaria, dal grido delle popolazioni inasprite pei continui delitti de’banditi e per le frequenti assoluzioni dei complici loro mercè la debolezza o la parzialità dei magistrati, dallo stesso spettacolo delle fucilazioni arbitrarie, alle quali una legge, per quanto severa, avrebbe posto ordine e freno. Ma delle misure pensate dalla maggioranza dei Commissari alcune per vero, più che dalle dottrine e dai costumi della civiltà moderna, erano attinte dalle tradizioni della legislazione statutaria delle città del medio-evo contro i banditi che infestavano la sicurezza dei loro commerci. Ora, quantunque la barbarie di quei tempi si continui nella guerra che i principi spodestati, i preti e i briganli muovono all’Italia, stanno però dal lato di quest’ultima la civiltà del presente secolo e l’aspettaziopa di un nobilissimo avvenire; ond’è suo debito, astenersi da quell’armi che, in età inferiore alla nostra parvero espedienti e necessarie.

Un’assemblea legislativa dei nostri giorni mal potrebbe ripetere i bandi del secolo XVI, investire ogni privato cittadino del diritto di uccidere, assegnar premi all’inganno ed alla violenza, sebbene rivolte a buon fine, mettere a prezzo la testa del malfattore, abdicare insomma il magistero della giustizia ed innalzare l’arbitrio alla dignità della legge. Ma, se l’opinione civile dei tempi nei quali viviamo respinge siffatti mezzi, la necess1tò di ua più vigile, più spedita e più sicura azine della giustizia penale, conforfata da ordini più efficaci di polizia o di guerra in difesa della società, non può contestarsi da chiunque abbia un esatto concetto della natura e della enormità del reato che vuolsi reprimere. Onde l’applicazione del Codice Militare ai malfattori colti in flagrante sembra giusto ed opportuno provvedimento, tanto più se si rifletta che l’assalto mosso dal brigante al proprio paese è senza paragqne più iniquo di qualsiasi altro genere di guerra,píú atroci i delitti che l’accompagnano, ed assolutamente impotenti od irnpossibili ad applicare, in tali contingenze, i mezzi della giurisdizione ordinaria. Ma così pei complici e fautori, contro ai quali occorre sovente procedere dietro semplici indizi e sospetti, la cui verificazione richiede molteplici e mature indagini, a garanzia dell’innocenza. E le cautele di una regolare procedura sono tanto più necessarie alla rettitudine dei giudizi di complicità, quanto maggiore, nelle circostanze presenti di quelle provincie, è la disposizione degli animi all’ira, alla vendetta, alla parzialità; e quanto, più recenti e vivi sono gli odii delle fazioni locali, pronte sempre a calunniarsi e a sfogare, sotto pretesti politici, le loro private passioni.
Io sono convinto che i Giurati lasciati arbitri di tali cause seguiieranno ad adempiere ottimamente l’ufficio loro, e l’esperienza fattane sin qui n’è sicura mallevadrice. L’effetto morale poi di questa specie di giustizia civile e paesana sarà certo più grande nelle popolazioni, e per la opinione delle giuste sentenze e per la solennità, delle discussioni nella presenza del pubblico. Ma adoperaudq i Giurati, tornerà indispensabile moltiplicare le sezioni di accusa, ed accelerare, semplificandole, le procedure; vegliando in pari tempo – e questo è debito di gravissima responsabilità che incombe al Ministro Guardasigilli – sulla onestà e sulla fede dei giudigi istruttori con inesorabile sindacato sulle prevaricazioni.
La restaurazione della giustizia ordinaria nelle provincie del mezzodi è uno dei più urgenti bisogni, del tempo, e conforta il vedere indizio di miglioramento nella alacrità dei processi presenti, tanto che più per la mala prova degli ultimi anni trascorsi, le popolazioni e le milizie combattenti il brigantaggio perdettero fede nella efficacia della legge comune e nella integrità dei magistrati; e il sistema delle esecuzioni marziali senza alouna forma di giustizia; gli arresti arbitrari e la sottrazione degl’imputati ai loro giudici naturali, cominciarono a guardarsi con favore quasi unico rimedio atto a ristabilire la sicurezza sociale. Sebbene i fatti abbiano dimostrato che tali enormità non hanno in sè alcuna virtù riparatrice, nè mai l’avranno; lasciando stare il pervertimento d’ogni senso di legalità e di
giustizia,che ne deriva, pervertimento pieno di pessimi effetti soprattutto in un paese, il quale, già travagliato da lunga, anarchia di governo dispotico, ha d’uopo, d’ogni studio d’educazione e di esempi civili per emanciparsi dalle funeste abitudini del passato.

(Continua)