OPS, CI SIAMO SBAGLIATI

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 30° episodio OPS, CI SIAMO SBAGLIATI.
di Valentino Romano (*)

Castelliri, ottobre del 1861.
La storia di questa domenica, se non si trattasse della cronaca di un omicidio consumato in costanza di una guerra sporca, potrebbe passare per una storia di “morte sul lavoro”. La racconto perché mi piace volgere l’attenzione – come in qualche puntata precedente della nostra rubrica – anche sulle vittime del tutto incolpevoli di quella guerra, le cosiddette vittime “civili”.
Il 27 ottobre del 1861, tre ragazzine tra i dodici e i tredici anni, Maria Grazia Lisi, Pasqua Velocci e Maria Baglioni che abitano nei pressi di Veroli, in territorio pontificio, vengono mandate a raccogliere castagne nei boschi di Castelluccio (ora Castelliri); devono prima munirsi del permesso scritto da parte del sindaco di questo paese che ricade in territorio dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie, ora suolo italiano; lo ottengono, naturalmente a pagamento, con la modica cifra di grani 32 a testa.
Sarà dura per le ragazzine raccogliere tante castagne da coprire i costi iniziali dell’operazione e raggranellare qualche spicciolo in più, ma è un’ordinaria giornata di lavoro minorile: bisogna aiutare in qualche modo le famiglie. E poi, diciamocelo francamente, a quest’età non si è più bambini; la guerra e le condizioni di vita le hanno fatte diventare adulte in fretta. Ma le ragazze non hanno fatto i conti proprio con la guerra che insanguina queste terre: lungo il confine si muovono le bande brigantesche che prima agiscono in territorio italiano e poi riparano precipitosamente nello Stato pontificio. L’intera zona è perciò presidiata dalle truppe del Regio esercito italiano, fronteggiato da quello francese che difende il territorio del papa.
Le ragazze hanno pieno solo a metà i sacchi quando sopraggiunge una pattuglia del 44° Reggimento di linea: i soldati, intraviste delle persone aggirarsi nel castagneto, non ci pensano due volte: non possono essere che briganti che si accovacciano per non essere visti. E aprono il fuoco. Sul terreno resta esanime Maria Grazia, dodici anni!
La fatal pallottola, come scriverà il comandante delle truppe francesi al suo omologo italiano: “entrée par la partie gauche de la poitrine, était sortie par la partie droite, preés del colonne vertébrale après avoir touché le poumon”.
In pratica Maria Grazia è stata colpita frontalmente da un proiettile che ne ha trapassato il corpo: come dire che chi ha sparato aveva la piena visuale dell’obiettivo.
Pasqua e Maria scappano precipitosamente per salvarsi e avvertire i congiunti. Sul posto accorre Pasquale Lisi, uno zio della ragazza che deve sudare le classiche sette camicie per convincere i soldati italiani a consegnargli il corpo perché possa trasportarlo a Veroli. I fanti, al contrario vorrebbero portarselo dietro, a Castelluccio, magari per occultare nel miglior modo possibile l’omicidio.
Nel paese della ragazza monta immediatamente lo sdegno popolare, al quale si aggiunge quello del generale De Gerandon che comanda il corpo d’occupazione francese a Roma. La nota di protesta del francese, indirizzata al ministro italiano Della Rovere è durissima e nient’affatto “diplomatica”: senza mezzi termini bolla il fatto come un atto di immotivata barbarie, quasi una sorta di tiro al piccione, e chiede l’esemplare punizione dei colpevoli. E aggiunge come questi soldati, comandati dal colonnello Lopez, non siano nuovi a imprese eroiche come questa, qualche tempo prima avevano ucciso a Monte S. Giovanni due contadini in fuga.
Della Rovere salta sulla seggiola: in gioco ci sono i rapporti tra i due Stati, il riassetto geopolitico in atto basa su equilibri assai precari, in particolare con i “cugini” francesi; non si può irritarli oltre. D’altro canto, va tutelato in qualche modo l’onore dell’Esercito italiano, non si può ammettere pubblicamente che l’esercito “liberatore e unificatore” si lasci andare a barbarie. Sai che goduria per borbonici e oppositori vari?
Che fare allora?
Pensa e ripensa, il bravo ministro tira fuori dal solito cilindro il coniglio di turno. “Facciamo una bella Commissione d’inchiesta – è la sua brillante idea – così, da un lato accontentiamo questi vicini rompiscatole e dall’altro lasciamo al tempo il compito di stemperare la cosa …”
E, d’altronde non è proprio l’arma delle Commissioni d’inchiesta quella a cui si è sempre fatto e si fa ricorso quando non si vuole venire a capo di nulla facendo finta del contrario?
Della Rovere è un politico astuto, sa come indirizzare la cosa e così da un lato sembra chiedere l’accertamento dei fatti e dall’altro …suggerisce l’interpretazione edulcorata degli stessi. Infatti scrive a La Marmora che comanda il VI Gran Dipartimento Militare: “… per parte mia devo soggiungerLe come non possa credere alla stupida barbarie della quale vengono accusati nostri soldati; solo un errore potrebbe spiegare il fatto se fosse vero”.
In altri termini, quand’anche foste costretti ad ammettere il fatto, ve ne potete uscire sostenendo … la tesi dell’errore.
La Marmora, che è anche lui politico navigato, capisce l’antifona e nomina la Commissione, affidandone la presidenza a un ufficiale inferiore di provata fedeltà. L’esito? È tutto scritto nella relazione finale dell’ufficiale, il capitano Zanzi: “un fortuito caso”; la morte della povera ragazza “è non altrimenti che una spiacevole vertenza”. Incredibile ma vero: l’uccisione di una ragazza incolpevole è solo … una “vertenza”. All’orrore del fatto si aggiunge quello del cinismo più ributtante. Zanzi, vaglielo a dire tu ai genitori della ragazza che si è trattato solo di una “vertenza”!
De Gerandon proprio non ci sta e continua a inondare le autorità italiane con missive infuocate, ribadendo, invece, che si è trattato di “un atto di inaudita e premeditata del quale ha avvertito il suo governo”. Invano, però, perché nonostante i suoi sforzi, non riesce ad avere giustizia.
E La Marmora che dice? Fa spallucce e, scaricando la potata bollente al Ministero, se ne esce con un infastidito “Questi francesi … si preoccupano di piccole vertenze, sconfinamenti di bersaglieri e non si preoccupano delle bande al confine”. Evidentemente, per lui, morire per nulla, per una pallottola scostumata a dodici anni, è una bagatella, “solo una piccola vertenza”.
Assai più importante è la caccia ai briganti. Cosa vogliamo che gliene freghi della vita di una ragazzina? Sono i cosiddetti danni collaterali di una guerra santa.
Io ho servito, mio malgrado ma – credo – con sufficiente decoro, la “Patria in armi”. Per dirla chiaramente e senza pomposità … ho fatto anch’io, perché costretto, “il militare” in quello stesso esercito. Quando, però, nell’Archivio Militare ho letto questa storia me ne sono vergognato assai. Io per loro, ora per allora. E, tornato a casa, sono stato tentato di buttar via le mostrine che avevo gelosamente conservato. Poi, però, ci ho ripensato: il mio, il nostro esercito, grazie a Dio, non è quello di La Marmora & C., non è più quello. Per questo, per esempio, non mi associo mai alle invettive farneticanti dei “soliti (ig)noti” contro i bersaglieri di oggi.
Resta, però, tutta l’amarezza per una Nazione e una bandiera lordate dal sangue di una dodicenne.
E, a proposito di quest’ultima, vi lascio con un’ultima riflessione: anche lei fu – certamente senza volerlo – una delle tante donne, protagoniste o vittime, che attraversarono il brigantaggio. Pagando, oltre il dovuto, il prezzo di quell’attraversamento.
Buona domenica e buon voto!

(*) Promotore Carta di Venosa

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LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 30° episodio OPS, CI SIAMO SBAGLIATI.
di Valentino Romano (*)

Castelliri, ottobre del 1861.
La storia di questa domenica, se non si trattasse della cronaca di un omicidio consumato in costanza di una guerra sporca, potrebbe passare per una storia di “morte sul lavoro”. La racconto perché mi piace volgere l’attenzione – come in qualche puntata precedente della nostra rubrica – anche sulle vittime del tutto incolpevoli di quella guerra, le cosiddette vittime “civili”.
Il 27 ottobre del 1861, tre ragazzine tra i dodici e i tredici anni, Maria Grazia Lisi, Pasqua Velocci e Maria Baglioni che abitano nei pressi di Veroli, in territorio pontificio, vengono mandate a raccogliere castagne nei boschi di Castelluccio (ora Castelliri); devono prima munirsi del permesso scritto da parte del sindaco di questo paese che ricade in territorio dell’ormai ex Regno delle Due Sicilie, ora suolo italiano; lo ottengono, naturalmente a pagamento, con la modica cifra di grani 32 a testa.
Sarà dura per le ragazzine raccogliere tante castagne da coprire i costi iniziali dell’operazione e raggranellare qualche spicciolo in più, ma è un’ordinaria giornata di lavoro minorile: bisogna aiutare in qualche modo le famiglie. E poi, diciamocelo francamente, a quest’età non si è più bambini; la guerra e le condizioni di vita le hanno fatte diventare adulte in fretta. Ma le ragazze non hanno fatto i conti proprio con la guerra che insanguina queste terre: lungo il confine si muovono le bande brigantesche che prima agiscono in territorio italiano e poi riparano precipitosamente nello Stato pontificio. L’intera zona è perciò presidiata dalle truppe del Regio esercito italiano, fronteggiato da quello francese che difende il territorio del papa.
Le ragazze hanno pieno solo a metà i sacchi quando sopraggiunge una pattuglia del 44° Reggimento di linea: i soldati, intraviste delle persone aggirarsi nel castagneto, non ci pensano due volte: non possono essere che briganti che si accovacciano per non essere visti. E aprono il fuoco. Sul terreno resta esanime Maria Grazia, dodici anni!
La fatal pallottola, come scriverà il comandante delle truppe francesi al suo omologo italiano: “entrée par la partie gauche de la poitrine, était sortie par la partie droite, preés del colonne vertébrale après avoir touché le poumon”.
In pratica Maria Grazia è stata colpita frontalmente da un proiettile che ne ha trapassato il corpo: come dire che chi ha sparato aveva la piena visuale dell’obiettivo.
Pasqua e Maria scappano precipitosamente per salvarsi e avvertire i congiunti. Sul posto accorre Pasquale Lisi, uno zio della ragazza che deve sudare le classiche sette camicie per convincere i soldati italiani a consegnargli il corpo perché possa trasportarlo a Veroli. I fanti, al contrario vorrebbero portarselo dietro, a Castelluccio, magari per occultare nel miglior modo possibile l’omicidio.
Nel paese della ragazza monta immediatamente lo sdegno popolare, al quale si aggiunge quello del generale De Gerandon che comanda il corpo d’occupazione francese a Roma. La nota di protesta del francese, indirizzata al ministro italiano Della Rovere è durissima e nient’affatto “diplomatica”: senza mezzi termini bolla il fatto come un atto di immotivata barbarie, quasi una sorta di tiro al piccione, e chiede l’esemplare punizione dei colpevoli. E aggiunge come questi soldati, comandati dal colonnello Lopez, non siano nuovi a imprese eroiche come questa, qualche tempo prima avevano ucciso a Monte S. Giovanni due contadini in fuga.
Della Rovere salta sulla seggiola: in gioco ci sono i rapporti tra i due Stati, il riassetto geopolitico in atto basa su equilibri assai precari, in particolare con i “cugini” francesi; non si può irritarli oltre. D’altro canto, va tutelato in qualche modo l’onore dell’Esercito italiano, non si può ammettere pubblicamente che l’esercito “liberatore e unificatore” si lasci andare a barbarie. Sai che goduria per borbonici e oppositori vari?
Che fare allora?
Pensa e ripensa, il bravo ministro tira fuori dal solito cilindro il coniglio di turno. “Facciamo una bella Commissione d’inchiesta – è la sua brillante idea – così, da un lato accontentiamo questi vicini rompiscatole e dall’altro lasciamo al tempo il compito di stemperare la cosa …”
E, d’altronde non è proprio l’arma delle Commissioni d’inchiesta quella a cui si è sempre fatto e si fa ricorso quando non si vuole venire a capo di nulla facendo finta del contrario?
Della Rovere è un politico astuto, sa come indirizzare la cosa e così da un lato sembra chiedere l’accertamento dei fatti e dall’altro …suggerisce l’interpretazione edulcorata degli stessi. Infatti scrive a La Marmora che comanda il VI Gran Dipartimento Militare: “… per parte mia devo soggiungerLe come non possa credere alla stupida barbarie della quale vengono accusati nostri soldati; solo un errore potrebbe spiegare il fatto se fosse vero”.
In altri termini, quand’anche foste costretti ad ammettere il fatto, ve ne potete uscire sostenendo … la tesi dell’errore.
La Marmora, che è anche lui politico navigato, capisce l’antifona e nomina la Commissione, affidandone la presidenza a un ufficiale inferiore di provata fedeltà. L’esito? È tutto scritto nella relazione finale dell’ufficiale, il capitano Zanzi: “un fortuito caso”; la morte della povera ragazza “è non altrimenti che una spiacevole vertenza”. Incredibile ma vero: l’uccisione di una ragazza incolpevole è solo … una “vertenza”. All’orrore del fatto si aggiunge quello del cinismo più ributtante. Zanzi, vaglielo a dire tu ai genitori della ragazza che si è trattato solo di una “vertenza”!
De Gerandon proprio non ci sta e continua a inondare le autorità italiane con missive infuocate, ribadendo, invece, che si è trattato di “un atto di inaudita e premeditata del quale ha avvertito il suo governo”. Invano, però, perché nonostante i suoi sforzi, non riesce ad avere giustizia.
E La Marmora che dice? Fa spallucce e, scaricando la potata bollente al Ministero, se ne esce con un infastidito “Questi francesi … si preoccupano di piccole vertenze, sconfinamenti di bersaglieri e non si preoccupano delle bande al confine”. Evidentemente, per lui, morire per nulla, per una pallottola scostumata a dodici anni, è una bagatella, “solo una piccola vertenza”.
Assai più importante è la caccia ai briganti. Cosa vogliamo che gliene freghi della vita di una ragazzina? Sono i cosiddetti danni collaterali di una guerra santa.
Io ho servito, mio malgrado ma – credo – con sufficiente decoro, la “Patria in armi”. Per dirla chiaramente e senza pomposità … ho fatto anch’io, perché costretto, “il militare” in quello stesso esercito. Quando, però, nell’Archivio Militare ho letto questa storia me ne sono vergognato assai. Io per loro, ora per allora. E, tornato a casa, sono stato tentato di buttar via le mostrine che avevo gelosamente conservato. Poi, però, ci ho ripensato: il mio, il nostro esercito, grazie a Dio, non è quello di La Marmora & C., non è più quello. Per questo, per esempio, non mi associo mai alle invettive farneticanti dei “soliti (ig)noti” contro i bersaglieri di oggi.
Resta, però, tutta l’amarezza per una Nazione e una bandiera lordate dal sangue di una dodicenne.
E, a proposito di quest’ultima, vi lascio con un’ultima riflessione: anche lei fu – certamente senza volerlo – una delle tante donne, protagoniste o vittime, che attraversarono il brigantaggio. Pagando, oltre il dovuto, il prezzo di quell’attraversamento.
Buona domenica e buon voto!

(*) Promotore Carta di Venosa