DI UN NUVO PONTE SOSPESO A CATENE DI FERRO SUL GARIGLIANO

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “ANNALI CIVILI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE” VOLUME I gennaio/aprile 1833 -napoli-1833
Da pag.41 A 51

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DI UN NUVO PONTE SOSPESO A CATENE DI FERRO SUL GARIGLIANO

ille ego turbidus minaxque
Vix passus dubias prius carinas
Iam pontem fero , perviusque calcor.
Stat. L. IV. Silv.
Chiunque si faccia a traversar quelle spazio che dagli Appennini corre in lungo fino al mare tra Sessa e Gaeta, se già non abbia cuor villano ed ingegno in odio alle Muse, dovrà tutta sentirsi calda la mente di magnifiche idee. E come leggendo i versi di Omero vi fu chi giurava esser cresciuto per modo prodigioso della persona , così ove pur voglia misurare questo paese a corsa d’occhio, per poco crederà vivere anch’esso né splendidi giorni della Romana grandezza. Chè di certo, sarei per dire, non ci ha una sola pietra la quale non rinnovi nel pensiero illustri nomi o fatti meravigliosi.

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Il fiume che sulla via ti si para d’innanzi é il Liri, da Strabone dinominato altresì Clani, che divideva la Campania dal Lazio. Niuno avrebbe saputo dipingerlo un tratto come quel poeta del secolo di Augusto che lo disse taciturno, lento, e che mordea coll’onda queta le rive. Antico ponte era lì presso e puoi vederne ancora i laceri avanzi. Cicerone nelle lettere ad Attico il chiama Tirezio, o come altri leggon Tireno.
Un secondo ponte , ma ne’campi Fregellani dieci miglia più in là, fu distrutto per soprattenere l’esercito d’Annibale, e far sì che prendesse vantaggio chi dovea arrecare quel pauroso annunzio al Senato.
Alcuni archi di non ignobile acquidotto in gran parte caduto, e varie mura d’un teatro e d’un foro , ma spiombate e minaccianti ruia, son ciò che resta di Minturno. Ed a tal voce chi non ricorda essersi nelle circostanti maremme nudo rimpiattato e dal fango coperto fin sopra al mento; quel feroce vegliardo che avea già tratto per le strade di Roma Giugurta carico di catene, e con incredibile arte di guerra sgominati ed uccisi trecento mila Cimbri e Teutoni presso le Acque Sestilie o delle pianure di là del Po?
Ma queste e più grandi cose meritevoli d’esser narrate con uno stile, come lo chiama Bacone, ambizioso, ti varrebbero solo per meditare sulle vicende tristissime delle nostre contrade.
L’ antica Minturno fu disfatta , crollò quel ponte, le popolose campagne si cangiarono in regione guasta, e i Cimbri e i Teutoni non ebbero più a temere d’un Mario.
Ancora il fiume di placido e queto riuscì minaccioso e gagliardo; e coll’allargare sformatamente divenne per colpa di tristi casi infame, intanto che l’aere grave e mortifero sopra interminabile spazio di terra si diffondeva.
Non erano più i giorni quando un Traiano in quella rara felicità di tempi ad Apollodoro ed a Giulio commetteva di costruire novelli ponti per ogni dove; o allor che un Severo li facce tutti ristaurare comandando che vi rimanesse l’ onorato nome di Traiano, come abbiam da Lampridio!
Se il vecchio ponte sul Liri sia caduto per gli oltraggi irreparabili della età o per la mano dell’nuomo, ed in qual tempo, non é ben chiaro. Forse senza tema di ingannarti puoi credere che nelle prime inondazioni de’ barbari gli stessi abitanti della Campania lo avranno distrutto: però che questa era la sola vigliacca resistenza che osavano opporre a’nemici, traendo poi colle famigliuole sbigottite alle rocche inaccessibili ed a’luoghi più muniti per natura o per arte. E sì un giorno la loro patria fu da’Romani chiamata subsidium belli!
Nel novecento ed otto dell’Era cristiana, allorché le bande de’Saraceni già da venticinque anni stanziavano sul fiume, non era questo da alcun ponte soggiogato. In quel torno Atenolfo principe di Benevento pietoso degli eccidi e de’desolamenti che que’feroci da per tutto a man salva portavano,volle provarsi a snidarli dal Minturno e, stretta lega con Gregorio duca di Napoli e con gli Amalfitani , popolo in que’tempi indipendente, con poderosa ragunata si mosse, ed arrivando congiunse gli argini opposti col mezzo di barche ricoperte di tavole. – Questo ponte in una notte buia rintronó per altissime grida e gran tumulto e fiero rumor d’arme, e fu orribilmente insozzato di sangue : perocché i Saraceni inaspettati ed improvvisi assaltarono i cristiani, e a mal partito li conducevano, se costoro rannodandosi in quel sito, e virilmente combattendo non avessero rincacciato il nemico fino a’ suoi covili.
Dopo un tale avvenimento non si parla di altro ponte, giù fino a’ tempi degli Aragonesi. Che anzi sta scritto aver Braccio da Montone nel mille quattrocento ventuno guadato il fiume dove le acque eran più larghe e profonde con due mila cavalli: aggiugnendosi dallo storico che di tanta soldatesca tutta grave di elmi di corazze di schinieri di ferro, un solo uomo non andò perduto ne gorghi, si che per la maraviglia ne venne al passo il nome di guado di Braccio.
Nel mille quattrocento quarantaquattro adunque Re Alfonso d’Aragona volle che un ponte contesto di travi, e raccomandato a grosse spranghe di ferro si gittasse sul Garigliano. E qui puoi notare che il Liri fu col volger degli anni chiamato Minturno e Traetto , e solo verso il mille , non prima come spaccia l’Ostiense prese la denominazione di Garigliano che gli è rimasta.
Sarebbe disagevol cosa indagare chi si fesse e donde l’architetto del ponte, ma fantasticando puoi credere che vi abbia dato opera un Giuliano da Maiano fiorentino chiamato a Napoli per edificarvi il palazzo detto di Poggio Reale, che ora ti è conceduto vedere solo ne’disegni del Serlio, e la magnifica porta tutta marmi ad intaglio e d’ordine corintio ch’è nel Castello Nuovo.
Rafferma tale opinione il sapersi che molto adoperato dal Re fu Giuliano, e visse lungo tempo fra noi, dove morì già vecchio in settanta anni, forte rimpianto dall’ Aragonese il quale volle assistessero a’funerali del suo intrinseco ben cinquanta persone di bruni panni vestite.
Convien dire per altro che il ponte non riuscisse gagliardo a sufficienza contro la piena prepotente delle acque, se pur non sia stato guasto e distrutto a disegno, essendo che dopo soli cinquantanove anni più non era. Abbiamo in fatto per le storie, che nel mille cinquecento tre dal Marchese di Mantova condottier de’Francesi uno se n’ebbe a ordinare di barche. Ma se que’soldati colla loro solita furia nel gittarlo guadagnarono il passo, protetti dalle artiglierie le quali sfolgoravano dalla riva che sopraggiudica i nemici, non poterono nel dì seguente passare, per la virtù di Consalvo di Cordova, il quale con grande animosità sino a mezzo il ponte gli rimise. E lo stesso Consalvo, dopo qualche tempo, adoperando miglior sentita di guerra, fatto fabbricare sotto molto silenzio in un casale vicino Sessa un ponte estemporaneo, di barche come scrive il Guicciardini, di botti e tavole legate insieme come alcuni dicono; e adattatolo a quattro miglia sopra la posta de’Francesi, assaltò e mise in rotta costoro, e gl’inseguì bravamente fino agli spaldi di Gaeta.
Vuolsi che il Gran Capitano abbia fatto ricostruire l’antico ponte degli Aragonesi assicurandolo con sulle catene di ferro. Ne attribuiscono altri il pensiero, più di un mezzo secolo appresso, al Duca di Alba. Ma sia che dal primo o dal secondo di questi due solenni maestri di guerra abbia preso nome il novello ponte, certo ogni gentil persona dovea nel varcarlo riandar con ribrezzo i giuramenti violati e gli atroci assassinii commessi in Italia e in Olanda.
Durava il ponte fino al mille seicento trentasei quando il duca di Medina los Torres Vicerè di questo regno si univa per matrimonio con una dama napolitana della famiglia Caraffa. Allora fu disfatto, e dicevasi per comando espresso del Duca. Ma clli potrebbe render ragione delle violenze e de’capricci d’un Vicerè in que’tempi nefandi! Ben il Gesualdo nel mille settecento cinquantaquattro scriveva starsi ancoa a’suoi giorni nel fondo le grosse catene spezzate.
A1 ponte successe una scafa, e con questo mezzo ebbero principal traffico lunga pezza tra loro Napoli e Roma, che tanto è a dire quanto due delle più magnifiche e belle città del mondo. E soventi fiate gravi disastri accadevano, e nel verno la soprabbondanza impetuosa delle acque o trabalzava la scafa o sopratteneva il traghettare, si che ogni comunicazione, con quanto rapito ognun sel vede de’due paesi, finiva.
Re Ferdinando nel mille settecento ottantotto volle che gli si proponesse il disegno d’un ponte sul Garigliano. E fu immaginato di pietre, in un solo arco, della corda di cento cinquanta palmi napolitani, sulla impostatura a dieci palmi dalle acque basse, la freccia di palmi trenta, e’l pavimento elevato a poco meno di quaranta sulle campagne laterali. Questa opera non fu menata ad effetto per colpa della ingente spesa che richiedeva.
Ma un ponte di battelli fu in vece edificato negli anni appresso; e parlavesi molto di fondarne uno al tutto stabile di legno, e poi un altro di fabbrica. Addiman-davasi pel primo la somma di ottantamila ducati, se ne chiedevano dugento ventimila pel secondo. Vari disegni intanto uscivano in campo; ed alcuno anzi si cominciò
a mandare ad esecuzione: imperocchè pcco sotto corrente del ponte a battelli nel mille ottocento undici furon gittate massicce fabbriche ad uso di fondamenta, e riuniti travi e tavole per le centine dell’arco, e pietre e calcina in buon dato. Ma il lavoro nell’anno dopo fu sospeso, e’l materiale ad usi diversi assegnato.
Parea d’altra parte ogni dì farsi più manifesto che non avrebbe mai potuto esser fabbricato un ponte di pietra sul Garigliano, se già non ci si voleva impiegare gran denaro e lungo tempo, e correr rischi gravissimi.
Perciorcché il fiume all’intorno un otto miglia, a cominciare dalla corrente giù sino alla foce, scorre sopra strati tutti alluvione di sabbia mista con argilla di va ria consistenza.
E sprofondata la trivella sino a cinquanta palmi ne son riusciti sempre i medesimi saggi. Però vedea ognuno esser il fondo compressibile, e forse non per modo uniforme ; di là gli ineguali essettamenti da produrre casi pericolosi d’assai in costruzioni di fabbrica.

Erasi è vero proposto, fin da gran tempo, una platea generale fa le due rive, da farsi a secco fuori dell’alveo nella corda di un gomito del fiume. Ma simile lavoro profondo ad un bel circa quaranta palmi sotto il pelo basso delle acque, sarebbe stato oltre modo difficile e dispendioso, e forse da non esser mai portato a buon termine; anche ove si fossero deviate le acque dall’antico nel nuovo letto tramutandole.
Per tutte queste ragioni nel mille ottocento ventitrè fu dato fuori il disegno d’un ponte in ferro fuso: e qne’che per Sovrano comando si fecero ad esaminarlo avvisarono sarebbe costato ducati cento sessantamila.
Nell’anno seguente ne fu annunziato un altro, ma con un nuovo metodo di ferri tessuti da pagarsi ducati cento settantamila.
Senza riandar le molte cose ventilate in questa occasione, basterà dire che fu allora fermo doversi edificare un ponte sul Garigliano, ma sospeso a catene di ferro.
Era questa ed è tuttavia una novità per la Italia, e poco meno che una novità per l’Europa. Ne fu dato il carico al Cavalier Luigi Giara napolitano, il quale fin dal mese di Dicembre mille ottocento venticinque distese la proposta del ponte, e fu il suo parere ottenuto, e vi ebbe un Rescritto del Re.
Il Signor Giura avea dunque di tutto punto perfetto il disegno dell’opera, prima assai d’intrapendere quel viaggio che poi nell’ anno appresso eseguì passando in Francia e in Inghilterra; e questo vaolsi notare non senza ragione.
Abbiam già detto che un ponte sospeso a catene di ferro era una novità per la Italia, e lo crediamo in quanto alla pratica. Ci sia ora permesso dar breve sunto di ciò che per noi si è raccolto intorno a questi lavori. E se non ragioneremo di cose pellegrine per que’dotti che hanno veduto i libri del Navier, del Seguin, del Pope, dello Stewenson, sporremo almeno cose non al tutto ovvie per la maggior parte de’nostri lettori, alla istruzione de’quali mira in ispezial modn l’opera degli Annali Civili.

La congegnatura de’ponti sospesi può ridursi a cinque ragioni.

I. Situansi ne’due piani verticali delle teste del ponte una o più catene; le quali formando quella curva che chiamano catenaria nello spazio sovrastante l’alveo, poggiano in un punto sopra ciascun de’pilastri elevati a determinata altezza nelle sponde, e son poi confitte e raccomandate a forti massi di fabbrica profondamente gittati sotterra.
Dagli archi a rovescio delle catene così disposte cadono alcune aste verticali dette sospensóri le quali sostengono il pavimento.
Ogni catena allora consta di tre rami o tratti: del mezzano cioè fra i due pilastri cui sia sospeso il pavimento, e dicesi di sospenaione; degli altri due i quali dalle cime de’pilastri si conficcan ne’massi, e che essendo destinati a sostener l’altro di sospensione, chiamansi di ritenuta.
Quel punto dove il ramo o tratto di sospensione si congiunge all’altro di ritenuta, cioè dove la catena tocca le vette de’pilastri dicesi punto di sospensione; come son detti punti di ritenuta quelli dove i tratti di ritenuta colle loro estremità son conficcati in muri, in massi o diversamente.

II. Hacci pochissimi casi ne’quali, per condizioni particolari del luogo, i capi de’rami di sospensione possono essere attaccati a dirittura alle rocce prominenti sulle sponde; ed allora si dismettono i rami di ritenuta.

III. Pe’ponti così detti leggieri s’innalza talvolta uno o più pilastri nell’alveo, e le catene passando sopra di quelli fanno un ramo di sospensione disposto in due o più archi rovesci, e due rami di ritenuta, i quali dalle vette de’pilastri estremi in direzione inclinata scendono nelle ripe laterali.

IV. In altri casi, anche meno frequenti, col fondare un solo pilastro nel mezzo della corrente, le catene si sono ordinate in due semi-archi rovesci di sospensione , de’quali una estremità si è allogata sulla cima del pilastro, l’altra in ciascuna delle due sponde.

V. Da ultimo, nel ponte sospeso fatto sul Tamigi i due pilastri sorgano nell’alveo, ma a poca distanza delle spcnde, in modo che le catene fanno un arco intero rovescio e due semi-archi laterali.

La più preziosa qualità de’ponti sospesi, dice il Seguin, sta in ciò, che puoi edificare senza sostegni o puntelli nel mezzo sia di pietre sia di travi, anche per cento dugento e fino trecento metri di lunghezza ( quattrocento ottocento e mille dugento palmi ).
Ed il Signor Navier, più magnifico, questa lunghezza fa giungere a cinquecento metri ( duemila palmi); rafforzando il suo dire con giudizioso e sottili ragioni dalla Scienza Meccanica ricavate.
Ecco un tratto dileguarsi le innumerevoli malagevolezze che ti si schierano innanzi quando vuoi gittar solidamente mura , o piantar palafitte in un fiume rapido e profondo. Ed eviti quel restringere il corso delle acque onde le fabbriche sono scavate, o come dice il Milizia sgrottate; e quello straripar furioso che ne deriva ; per tacere poi del risparmio e di denaro e di tempo, che non é certo cosa di lieve momento.

Il primo libro a stampa dove facciasi motto di ponti sospesi a catene di ferro o a funi, e se ne dia la figura, é un libro pubblicato in Italia, e propriamente in Venezia senza alcuna data ( forse nel mille seicento venticinque , dal più al meno ), della forma dell in-folio. Eccone il titolo.
“Macchinae novae Fausti Verantii Siceni, eun declaratione Latina, Italica, Hispanica, Gallica, et Germanica”.

Vi si passano a rassegna macchine d’ogni genere, ordigni per far volare le persone, oriuoli a fuoco, e chiese e ponti e strani edifizi, talvolta osservati dall’Autore ne’suoi lunghi viaggi, più spesso ancora trovati e dati in luce , come egli scrive, per suo gusto e di quelli pochi i quali erano per farne qualche conto.
Nacque il Veranzio in Sebenico nella Dalmazia sul cadere del secolo decimo sesto, e riuscì uno spirito de’bizzari ed irrequieti se mai ve ne furono. Si tramutò in molte parti, e dettò cose fra loro disparatissime; come per esempio le regole della Logica, e quelle della Cancelleria del Regno di Ungheria; con infelice successo le une e le altre, perocchè le prime non soddisfecero a’dotti, le seconde alla Corte. Scrisse pure, oltre un Vocabolario in cinque lingue messo a stampa, una Storia della Dalmazia, la quale per comando dell’autore manoscritta fu chiusa con lui nel sepolcro, e forse nol meritava.
Ecco intanto ciò eh’egli dice sul nostro proposito.
Ponte di ferro. (Si è copiata a bella posta l’ortografia del Veranzio dal suo libro che potrai vedere in questa real Biblioteca Borbonica.)
” Questo ponte noi chiamamo di Ferro, perciocche egli pende nel mezzo di due Torri, poste ne l’una, e l’altra ripa di un Fiume, sospeso da molte catene di Ferro, è le Torri haveranno le sue porte, per dare ò prohibire il passo à li viandanti.

Ponte di Canapo.

da pag 45 51
[OMISSIS PAG 45 A 46 ]
PAG 46 secondo capoverso

Il ponte, opera del Signor Telford, fu del tutto compiuto nel 1825, e costò meglio dì novecentomila ducati di regno.
Nella proposta erasi fatto ragione che se ne sarebbero spesi un quattrocentoventimila.
Dopo si lunghe peregrinazioni non incresca a chi legge adagiarsi di bel nuovo sulle spende del Garigliano, e considerare con quanta bravura un valoroso nostro concittadino sia giunto a toccar quella meta dove erasi inutilmente brn altri aspirato.
I ponti sospesi a caterne di ferro, se hanno di vero tutti que’vantaggi per noi discorsi più sopra, lasciavan sempre, e convien dirlo, una certa dubitanza sulla loro solidità; spezialmente se non eran fatti pe’soli pedoni come quello di S.Sofia in Vienna, o quando non si appoggiassero a sterminate moli di pietra, come quello di Menai, o da ultimo allor che i pilastri di sospensione non fossero tra loro congiunti e rinfiancati da muri come d’ordinario si pratica. E per certo anche senza aver salutato le leggi della scienza meccanica si comprenderà di leggieri quanto sia ardua cosa tentar simile impresa.
Può farne fede il dottissimo Signor Navier il quale, dopo due viaggi in Inghilterra nel mille ottocento ventuno e nel milleotiocentoventitré intrapresi per istudiarvi le nuove maniere di ponti da quell’ingegno stupendo del Signor Brunel ideale, dopo aver messo a stampa un opera classica su i ponti, in grazia della quale meritamente se gli schiusero le porte dell’Accademia delle Scienze in Parigi, quando venne a metter le parole in fatti ed a costruir anch’egli un ponte sulla Senna, che con titolo malaugurato dovea dirsi degli Invalidi, un ponte sospeso a catene di ferro sopra colonne isolate, come bello e saldissimo il nostro sul Garigliano sta, quell’ opera andò fallila, e si ebbero a demolire le fabbriche già innalzate, ed a sgomberare de’tanti materiali le sponde.
E pure ci si erano spesi oltre due anni di assidua fatica, e i lavori delle pietre e del ferro apparivan bellissimi! (Moniteur, 29 Février 1828 ). Né con ciò vuolsi per monoma parte la fama oscurare del valentuomo, chè sarebbe assunto ingiusto e scortese, e da cui rifugge il nostro animo, ma si trarne argomento che provi esser grandissime quelle difficultà da noi toccate pur ora; e le quali meglio saranno chiarite da quanto ci faremo a dire.
Tutto il peso, del quale può esser carico un ponte, dee necessariamente aggravare sopra i rami di sospensione delle catene, e dar loro una tensione che variando ne’ diversi punti, divien massima ne’punti di sospensione. Da questi si comunica à rami di ritenuta, e le due tensioni riunite cimentano poi con la lora pressione i pilastri. Forze tali sono di notabilissima intensità; ed anche ne’ponti ordinari sommano a più migliaia di cantàri : né l’ingegno conosce facili mezzi come equilibrarle.
Oltre a questo i cangiamenti dell’atmosfera operano sul ferro, e debbono far variare la lunghezza, e con essa la tensione de’rami di ritenuta. Di là quell’ agitarsi continuo, quell’ attrito profondo né punti di sospensione, e quindi ne’pilastri di sostegno un urtare un riurtare uno scrollamento non interrotto.
Dopo molte disamine e replicate sperienze e svariatiassimi saggi sembra essersi ormai conosciuta la vera forza del ferro, e stabilite norme per far catene, le quali reggessero validamente alle tensioni a che debbono essere esposte.
Parimenti né punti di ritenuta, conosciutisi gli sforzi che ivi fanno le catene, son note le regole come proporzionare i massi di fabbrica pr la dovuta resistenza.
Quanto a’punti di sospensione, potrebbe per avventura sembrare di primo lancio, che le stesse regole dovessero seguitarsi, e così farli di una conveniente stabilità : e pure non è.

Questi punti per moltiplici cagioni sono esposti a sforzi a spinte variabili, di ben altra specie che quella cui soffrono le catene ed i punti di ritenuta: e pare che gli architetti non sieno stati fra loro d’accordo intorno al miglior metodo come allogarli.
Ancora la sperienza giornaliera ci fa accorti riuscire soventi finte la stabilità reale de’massi di fabbrica, benché di materiali sceltissimi e con iscrupolosa diligenza condotti, inferiore d’assai alla stabilità determinata dalla scienza del calcolo.
E se ne hanno prove non dubbie nell’edificare i ponti, dove la stabilità vera de’piedi dritti forse non é a mala pena la terza parte di quella assegnata dalle teoriche.
Per ciò che appartiensi adunque alle proprietà de’punti di sospensione sembra chiaro che quella congegnatura sarà otttima la quale adempia due condizioni.

I. Che in qnalsivoglia stato di variazione di temperatura nell’ atmosfera, o di carico nel pavimento del ponte, la risultante delle tensioni di ritenuta e di sospensione sia sempre verticale,

II. Che i punti di sospensione sieno mobili, in modo che liberamente acconsentano alle variazioni di tensione e di lunghezza de’rami delle catene, senza produrre verun movimento ne’pilastri.

Fra quanti hanno preceduto il nostro Cav. Giura nel costruire ponti sospesi, sembra che il Sig. Brunel in quelli apprestati a Londra per l’isola di Borbone abbia immaginato l’ordine più ingegnoso rispetto a’punti di sospensione. Gioverà farne rapidissimo cenno.

Ogni ramo di sospensione è unito al corrispondente di ritenuta per mezzo d’un perno sorretto presso le sue estremità da due grosse maglie vòte le quali stanno sospese ad un altro perno immobile, intorno a cui possono girare. Nelle variazioni di lunghezza e di tensione de’rami delle catene, il perno inferiore muovesi a destra o a sinistra oscillando a maniera d’un pendolo intorno al perno superiore, sì che questa disposizione potrebbe acconciamente esser detta a pendolo. Chiamata a la distanza fra gli assi de’due perni , e ó la mnssima deviazione orizzontale cui può andar soggetto il perno inferiore,l’angolo che forma la risultante delle tensioni con la verticale avrà la tangente, la quale in ultimo grado può giugnere ad essere = b/a.
Quindi é chiaro che dando ad a una sufficiente lunghezza, la direzione della risultante anche ne’casi più svantaggiosi puossi far cadere a picciolissima distanza dalla verticale. In questa congegnatura adunque la prima delle due proprietà cui debbono avere i punti di sospensione, giusta le condizioni da noi proposte di sopra, trovasi quasi perfettamente adempiuta.
Siccome poi al movimento non si oppone che il semplice attrito di terzo genere, il quale é di ben tenue valore, così quel movimento debbe esser molto agevole e libero, e la seconda condizione si troverà anche adempiuta.
Vero é che questo artifizio é adoperato per que’ponti leggieri dove non ci ha che una sola catena in uno stesso piano verticale: e però il pendolo é semplice e tu non incontri difficoltà nella esecuzione.
Nel caso del ponte sul Garigliano era altro; imperocchò trattavasi di due catene in un piano verticale. Ora ecco in qual molo il Cavalier Giura, senza lasciar di mira il principio che fu in parte veduto dal Sig. Brunel, lo ha nell’applicazione perfezionato.

[…]OMISSIS PAG DA 47 A 49
Ma non vogliamo tacere che il metallo si è tutto lavorato nelle Ferriere del Cavalier Carlo Filangieri di Gaetano principe di Satriano, sotto la direzione dcl Cavalier Michele Carascosa: essendosi, a provare la forza e la elasticità fino d’ogni brandello, adoperati sottilissimi esperimenti con una macchina acconciatamente fatta fare dallo stesso Cav.Giura.

[…]

DA PAG 50 SESTO CAPOVERSO A PAG 51
L’ opera fu di tutto punto compiuta all’uscir di Aprile dell’ anno I832, essendocisi consumato poco più di quattro anni.
Il ferro per le catene pesava KiI. 68,857 ( cantàri 786.76 ).
L’ intera spesa ha sommato settantacinqaemila ducati di regno.
Convien ora da quel sito veder la magnifica mostra che fa di se il nuovo ponte librato come in aria su1 fiume, nel bel mezzo di vasta pianura. Tu scopri da una parte colline e monti che pittorescamente e svariatamente si prolungano fin dove giunge lo sguardo; dall’altra un mare sfogato ed azzurro che alle grigie torri di Gaeta fa specchio. Byron lo avrebbe detto il ponte delle Fate.
E perché poi non manchi vita e movimento alla scena ci ha un andare, un venire, uno scontrarsi continuo di carrozze, di carri, di barche, d’uomini, di donne, spesso con abbigliamenti e fogge bizzarre e capricciose de’contadi prossimani; e tutto questo sotto il più lucido cielo del mondo, e in mezzo alle memorie sublimi di tanti fatti gloriosi!
Da ultimo chi passa leggerà una iscrizione dettata dal Canonico Cavalier D. Francesco Rossi, la quale può far fede non essersi a questi di rotta la stampa dell’Egizio e dell’Ignarra. E vogliamo qui i nostri leggitori presentarne.

FERDINANDVS II
REGNI UTRIUSQUE SICILIAE ET HIERUSALEM REI
P. F. AVG.
REGENDIS IMPERIO POPVLIS NATUS
NE QUANDO RATIBYS FLVMINI TRAIICIENDO IN PONTIS VICEM
CONNEXIS
EXUNDANTIUM AQVARUM IMPETV DISSOLVTIS
VEHICULARIS CURSUS
ET COMMERCIA MALO PUBLICO INTERCIPERENTUE
MAIORUMM AEMUULATUSS MAGNIFICENTIAM
PONTEM
FERREIS AD LATERA SUBTENTIS CATENIS
INCONCUSSA STABILTATE SUSPENSUM
SINGULARI ARTIFICIO OMNIQUE OPERVM NITORE
FIERI IVSSIT
QVEM REGIO MILITARI STIPATUS COMITATU
PRIMUS OMNIUM
FAUSTIS OMINIBUS PRAETERGRESSVS
SUI NOMINIS AETERNITATI CONSECRAVIT
ANNO R. S. M. D. CCCXXXII
REGNI SUI II
EXPLETA OMNIUM GENTIUM EXSPECTATIONE

Nella quale epigrafe toccasi di un fatto onorevole alla Maestà di FERDINANDO II, come quegli che il di 10 Maggio volle il primo cimentar la saldezza del ponte; e postosi nel mezzo di esso fece, innanzi a se passare di trotto due squadre di lancieri e sedici tràini di artiglieria; senza por mente al risico a cui sì esponeva , anzi resistendo alle reiterate e rispettose istanze del suo seguito perché di là si rimovesse. E soddisfatto del buon successo della pruova, volle indi esaminare i più minuti particolari di quella costruzione, e di bella lode rimunerò il Cavalier Giura che glieli andava mostrando.
Edificare nn ponte, era nella opinione degli antichi santissima cosa, e vi si adoperavano, come abbiam da Varrone, cerimonie e pratiche religiose: che anzi solammte ristaurarlo aveasi come impresa oltre modo onorata, sì che i legati per questo obietto erano da’giureconsulti fra quelli ad pias causas annoverati.
Ove un giorno eiavi ne’nostri nipoti il cuore e la virtù degli antichi, benediranno essi il regno di FERDINANDO II e la nuova opera che dell’Augusto suo nome va gloriosa: e forse taluno soggiungerà essersi con bellissimo pensiero innalzato il primo ponte, che di tal genere abbia veduto l’Italia, presso i campi Formiani dove già nacque il principe dell’ architettura Vitruvio Pollione (1).
G.*** F.***
(1) II Cavalier Giura, mostrando vero quel detto

É gentilezza dovunqu’é vertude,

ha permesso che da noi si fossero consultati due suoi scritti non per anco di pubblica ragione ; de’quali il primo ha per titolo “Progetto di un ponte di ferro sospeso sul Garigliano nel Regio cammino di Roma”.

E’l secondo :
»”Memoria sulla disposizione più vantaggiosa, de’punti di sospensione ne’ponti sospesi, coll’applicazione al nuovo ponte sul Garigliano”
Sappiasi aver noi dalla seconda di queste dissertazioni attinto tutto che riguarda la sposizione della nuova congeguatara adoperata dall’Autore; mettendoci del nostro le sole lodi che ogni nom dabbene vuol tributare al valore quando ne ha l’occasione.
Tom. I.