Condizioni del Reame Delle Due Sicilie nel corso dell’anno 1862 -VI^

copertina-colpo_d_occhio_su_le_condizioni_del_reamRICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “COLPO D’OCCHIO SULLE CONDIZIONI DEL REAME DELLE DUE SICILIE NEL CORSO DELL’AANO 1862 ” -Edizione 1863

da pag 228 a 233

VI.POLITICA – INESTINGUIBILE SENTIMENTO POPOLARE PER L’AUTONOMIA.

1. Si vede abbastanza dal rapido prospetto dianzi esposto cosa sia divenuto in due anni il reame delle due Sicilie sotto il governo invasore. – I partiti si agitano , e sconvolgono il paese; la discordia divide tutti gli animi; gli uni scavalcano gli altri per montare al potere e scorticare i popoli, che nutrono odio irreconciliabile contro i piemontesi; l’amministrazione interna è un caos; -!e finanze sono esauste, e sopraccaricate da ingente debito pubblico, che ne obbliga contrarre altro smisuratissimo; – le tasse decuplicate; – rincarito oltremodo il prezzo de’viveri; resa impossibile l’agricoltura e la pastorizia nelle più fertili provincie; sterilito e ridotto a nulla il commercio; sostituito il capriccio delle soldatesche al giudizio de’Magistrati, ed al reggimento delle leggi; arresti arbitrarii d’innocenti a migliaja;a incendii, e devastazioni di città e borgate; fucilazioni innumerevoli senza processi, senza giudizio contro individui non di altro rei, per la maggior parte, se non di aver voluto difendere i loro focolari, la loro religione, la patria autonomia dinastica; ed in tanta confusione si fa anche correre la voce dell’abdicazione del re Vittorio Emmanuele. Al quale, mentre nel 1860 facevasi dire di aver intesi i gridi di dolore dell’Italia, ora che le esorbitanze e gli eccessi di coloro che governano nelle provincie meridionali in suo nome formano l’onta della umanità, e dell’onore delle nazioni, si rende così ottuso l’udito, da fargli scrivere da Napoli a’3. maggio in una lettera all’Imperatore de’francesi, queste parole cotanto in contraddizione co’fatti flagranti: – « L’ordine, che regna in queste prorincie meridionali, e le fervide dimostrazioni di affetto, che ricevo da tutte le parti rispondono vittoriosamente alle calunnie de’nostri nemici, e convinceranno, spero, l’Europa, che la idea della Unità riposa su solide basi e si trova profondamente impressa nel cuore di tutti gl’italiani’».

Ma come antitesi di codeste assertive il deputato napoletano Petruccelli nella tornata parlamentare de’28 novembre affermava: = ” La unità italiana è minacciata a Roma, è minacciata a Napoli; ed io son certo, che se il presidente del consiglio « avesse presentati tutti i rapporti della vigilante Autorità di a Napoli, l’Europa rimarrebbe scandalezzata da’tentativí fatti a dal partito Murattiano. Ma l’Imperatore Napoleone dovrebbe sapere, che se i napoletani avessero a scegliere tra un Borbone, ed un Bonaparte, non esiterebbero a scegliere un Borbone!”

2. Ed è nello stesso ordine naturale degli avvenimenti, che le popolazioni del reame nutrano inestinguibile e perenne il sentimento per l’autonomia dinastica; e che le loro tendenze, a costo di tanti sagrifizii sieno convergenti a tale supreme scopo.
Le masse, che non veggono migliorate, ed invece sempre più pervertite le loro condizioni di benessere materiale, divengono oramai intolleranti del presente , e desiderano un passato che loro ricorda le più prosperanti condizioni della civile esistenza, di un pacifico, mite, e paterno ordinamento, e che ora alimenta le loro speranze di restaurazione. Il merito, e lo stesso patriotismo il più disinteressato, feriti dalla ingratitudine, dal disprezzo, e da’più oppressivi atti del governo, rifiutano l’opera loro al paese; d’onde le frequenti domande di dimissione al posto di deputato, e la continuata assenza di altri dal parlamento. I proprietarii, che non veggono garentite le loro proprietà imprecano, e maledicono gl’invasoli Subalpini, e rimpiangono uniformemente l’antico governo , il quale, secondo la espressiva confessione del deputato napoletano Nicotera nella tornata de’15 dicembre, aveva il gran merito di far tutelare le vite, e le sostanze de’cittaiiní: e, secondo l’altro deputato Ricciardi nella stessa tornata, “era così scrupolosamente osservante delle leggi, e della giustizia , che comunque vincitore dopo il 15 maggio 1848, non faceva arrestare, niunu di que’deputati, che apertamente ribelli, ed acerrimi nemici del Sovrano, ne aveano attentato alla Suprema Autorità» .

I commercianti, che veggono i loro fondi in ristagno, si rivoltano contro lo attuale stato di cose, e rammentano i vantaggiosi cambii marittimi, la sicurezza de’ pubblici cammini, il corso della rendita pubblica alla elevata cifra – del 120; beni tutti, che si godevano sotto la Dinastia Borbonica. – Gl’impiegati civili; l’Esercito; la magistratura dell’antico indipendente reame delle Due Sicilie, dopo essere stati così iniquamente maltrattali , quale attaccamento possono nutrire pei governanti piemontesi? – I quali trovano quivi in ogni individuo un avversario, ed in ogni classe una sorgente di odio contro di loro , ed una reminiscenza affettuosa per gli antichi suoi sovrani; la quale è tenuta in freno da 120 mila bajonette, dalla fazione arinata de’fautori del Piemonte , dalle rigurgitanti prigioui, e dalle sovrabbondanti fucilazioni.

Egli era in vista di queste manifestazioni , e delle altre officiali, ed autentiche fatte da molti deputati, già accennate nel corso di questo lavoro, che uno de’popolari giornali di Napoli stampava -la seguente apostrofe: -« Vengano ora i diarii officiosi a smentire gl’incendii de’villaggi, le carnificine dei contadi, lo spoglio, il saccheggio de’casali, e de’sobborghi del napoletano !- Vittime di Pootelaudolfo , di Casalduni , innocenti periti tra le fiamme di 28 paesi; madri vaganti pe’boschi in cerca de’figli periti tra gli orrori della più cruda morte, – voi siete oramai ben vendicate ; e vendicate per opera de’medesimi vostri nemici”
3. Vi è pure chi dice essere inevitabili i dissesti , e le perturbazioni in ogni mutamento politico, anorchè buono, e non doversi perciò meravigliare pe’ disordini nel napoletano, chè col tempo saranno sedati. Ma quivi i fatti hanno dimostrata esservi grande differenza tra que’sconci, che accompagnano le mutazioni politiche anche migliori ( ed una di queste fu quando Carlo III elevò a florido e ben governato reame le due Sicilie un tempo misere provincie di lontano dominatore); e que’disordini, che nascono dacchè si opera contro la natura , le tendenze,-il sentimento delle popolazioni, (come ha ora agito il Piemonte soggiogando, e riducendo a provincie infelici un regno prospero, e indipendente): i primi sconci sono parziali, e coi volgere del tempo cessano del tutta; – i secondi per l’opposto sono generali , ingagliardiscono col tempo, e più si va innanzi, più cresce la confusione, e l’orrore.
Di questo incontrastabile sillogismo fortificano il loro ragionare autorevoli scrittori napoletani che nel corso del 1862 hanno pubblicato opere convincenti su la necessità della restaurazione autonomica nelle travagliate province meridionali.
Essi ben dimostrato , che “avendo forzosamente imposto il principio della unificazione, i governanti subalpini sono stati necessitati a straripare da ogni linea di condotta assennata, ed equabile; ad essere poco scrupolosi in su i mezzi purché il fine si raggiungesse: divenne per essi una necessità, vìolare lo statuto, tradire il plebiscito, battere francamente la via della rivoluzione anarchica, annullando ordinamenti che prosperavano da secoli, sperimentati e vigorosi; abbattendo senza distinzione quello che poteva e doveva conservarsi; distruggendo parimenti il buono ed il mediocre; e per conseguente contraddicendo alla storia, alla natura, alla vita delle due Sicilie, nel quale non può estinguersi il sentimento della ma autonomia. -Ed è singolare, che mentre il Cavour dichiarava in pariamento chiusa l’epoca delle rivolture, la sua azione governativa era tanto rivoluzionaria, quanto più si può immaginare, se rivoluzione vuol dire rovina totale degli ordini antichi , sforzo di edificare tutto da nuovo. I Montagnards della Convenzione Nazionale avevano appena osato altrettanto”.
4. A suggello delle esposte cose soccorrono le teoriche di un antico politico Italiano, la cui autorità è spesso invocata da’moderni riformatori travolgendola secondo, i loro, gusti. Egli raccomanda come regola di prudente condotta politica di serbare, ad ogni stato italiano il proprio ordinamento “impossibile essendo riunirli in uno Stato solo, perché gli uomini sono tenaci delle consuetudini; nè per lunghezza di tempo, nè per beneficii, possono mai scordarsi de’loro modi « antichi(Macchiavelli, in varii luoghi de’Discorsi, e del Príncipe.) ».,
Che questi sieno i sentimenti innati dell’universale nel reame , se ne hanno argomenti incontrastabili ne’quotidíani avvenimenti.

La pompa funebre, con cui il clero, e il popolo di Napoli accompagna nella gran via Toledo in uno de’ giorni di dicembre il feretro dello arcivescovo Naselli della principesca stirpe siciliana de’signori dì Aragona, antico Cappellano maggiore del re Francesco II è riguardata generalmente come uno splendido trionfo de’legittimisti. Il Diritto di Torino n. 357 se ne mostra irritato, e per l’organo del suo corrispondente napoletano si duole « per essersi fatta impunemente questa « dimostratione, che un anno dietro nè pure sarebbesi potuta tentare: insomma, senza tema di esagerare, si può, dire, che nelle due Sicilie l’elemento separatista va innanzi, molto innanzi, ed è audace, beffardo, provocatore … »…
5. Se si facesse il computo di quelli, che ivi sostengono le così dette reazioni, che le approvano, e ne desiderano il buon riuscimento, si troverebbe esserne così sterminato il numero da sorgerne spontanea nel pensiero questa conseguenza, che, se, cioè, vi ha in quelle provincie unanimità di suffragio, essa sta appunto nel voto di essere liberati dal giogo subalpino, e di esser lasciati vivere in pace, nella propria patria, con la loro legittima autonomia.
Ad onta de’rigori fiscali il giornalismo napoletano ha accennato in varii rincontri « che nelle provincie, ove più ferve la reazione non si prossouo dimenúune, i betteficii loro impartiti dalla Dinastia passata; ed esservi spesso occasione di vedere non solo nelle classi agiate, ma anche nel minuto popolo, chi conserva come reliquia affettuosa una moneta con la effigie del re Francesco II., e mostrarla con tenerezza. Ed è come un talismano per la propria salvezza, che i viandanti di ogni condizione, e finanche gli ecclesiastici, recano una di tali monete nelle loro tasche per esibirle alle bande de’così detti briganti su’pubblici sentieri »..
6. Non s’ignora, che ad attenuare la forza di questi fatti, di queste reazioni, vi è chi parla della influenza degli esuli in Roma; ma la calunniosa assertiva rimane smentita dalla stessa natura delle cose; e dalla considerazione, che i movimenti reazionarii, disgregati fra loro, sono sfomiti di direzione e d’impulso, mancanti di unità e d’indirizzo; e sopratutto di unico Capo eminente, risoluto, esperto; – ciò per altro ne aumenta il merito, sia per la spontaneità; sia per la scarsezza dei mezzi con che si resiste ad un poderoso esercito di oltre 120 mila uorníni, ed a misure governative di una ferocia che non trova riscontro nella storía.
Ma codesta agitazione reazionaria si rende quasi invincibile, perché mette appunto radice nello inestinguibile sentimento popolare per l’autonomia.