Maria Teresa di Genoa

LE DONNE DEL BRIGANTAGGIO | 17° episodio MARIA TERESA, FUCILATA PER UNA MUTANDA.
di Valentino Romano (*)

Ripacandida, novembre del 1861.
Dal diario di Borges: “29 novembre … sono informato che quattro guardie nazionali di Ripacandida hanno fucilato ieri la donna Maria Teresa di Genoa, perché suo fratello era con noi…”.
Questo passaggio del generale catalano è uno dei rarissimi accenni ad una donna contenuti nei Diari di don José: un’evanescente figura femminile, un fantasma che emerge appena dalle pagine che raccontano la guerra cafona. Nessun’altra notizia: vane le ricerche di storici e studiosi per saperne di più; Maria Teresa appare, insomma, una delle tante vittime anonime e ignorate di una guerra che più sporca non può essere: la “conquista” o, a seconda delle posizioni ideologiche opposte, la “liberazione del Sud; chiamiamola come ci pare ma un fatto è incontrovertibile: è una guerra “sporca”, quella nella quale si muore a vent’anni per un nonnulla, vittime inutili dei giochi di potere di chi se ne sta comodamente sprofondato su un divano. Maria Teresa è una di queste, una di quelle che non fanno “storia”, un semplice e terribile “effetto collaterale”. Nulla di più. Di lei, come ho detto, oltre al rapido cenno di Borges, non se ne sapeva di più. Poi, un giorno, all’improvviso, le carte degli archivi militari mi aprono uno squarcio di verità. A fornirlo, per tragica ironia, è proprio il carnefice della donna, tal Garassini, comandante del distaccamento del 31° Bersaglieri, che il 28 novembre del ’61 da Ripacandida invia al Comando Generale della 16ª Divisione Attiva di Rionero il rapporto su una “retata” effettuata nella zona: “… tra le persone che arrestai era una tal donna Maria Teresa de Genova, la quale mi veniva già prima designata come quella che tenevasi in relazione coi briganti fra i quali vi era un cognato ed a cui provvedeva il bucato della lingeria …”
Viene infatti perquisita l’abitazione della donna e si trova una “caldaja” per il bucato, contenente nove camicie, altrettante paia di calze e tre paia di mutande.
La biancheria, sottolinea il pignolo ufficiale, non è stata riconosciuta come appartenente ad alcuno del paese. Ma come l’avrà accertato? Avrà fatto indossare le camicie a tutti i villici del paese? Oppure ogni ripacandidese indossa solo mutande con le iniziali sul didietro? Boh, il documento nulla dice in proposito. Di sicuro non vi è stato bisogno di soverchie indagini: è Maria Teresa stessa infatti che – fieramente – ammette, alla presenza di ufficiali e bersaglieri, che la “lingeria” appartiene ai briganti e ad altri briganti. E non si limita solo a questo: in un conato d’orgoglio e “con qual sicurtà” grida in faccia ai soldati che di lì a pochi giorni perderanno tutta la loro iattanza e il potere appena conquistato con le armi.
Questo è troppo, deve pensare Garassini: passi pure un bucato brigantesco, ma questo proprio no; se questi straccioni, una volta catturati, non solo non si disperano e non chiedono pietà ma addirittura ci sfidano, qui va tutto a puttane… È necessaria una lezione esemplare: vengono chiamati a rapporto tutti gli ufficiali e convocato un subitaneo consiglio di guerra.
Il giudizio (c’è bisogno di precisarlo?) è immediato e unanime: “tutti esprimono unanimi il loro sentimento che per la voluta esemplarità quella donna venga fucilata”.
Garassini fa immediatamente eseguire la sentenza nella piazza del paese e lascia esposto per tutta la giornata il cadavere della donna, a monito della popolazione tutta. In cuor suo (ammesso che ne abbia uno), però, sa di averla fatta grossa e va alla ricerca di giustificazioni per i superiori. Lo aiutano molti “buoni cittadini” entusiasti che sottoscrivono un manifesto di plauso all’ufficiale: scorrendo le firme autenticate si individuano agevolmente “galantuomini”, medici, notai, avvocati e perfino … un prete. Di contadini manco a parlarne.
Più della miserevole fine di quella poveretta inorridisce il “plauso dei buoni cittadini”. E il documento con le adesioni al delitto è il certificato delle colpe antiche di quella parte della nostra gente sempre pronta a schierarsi con il carnefice di turno. Esattamente come accade anche oggi con coloro che si schierano in favore di chi affossa scientificamente il Sud. Ma questo è un altro discorso … torniamo a Maria Teresa: Garassini nel redigere il rapporto finale ai superiori, dopo aver spiegato che chi si oppone alla “liberazione” del Sud – anche solo lavando una mutanda – merita la morte, si lascia scappare di aver ordinato l’esecuzione “con dolore, ma persuaso di far bene”. Un barlume di pietà e di vergogna postume? Non credo, semmai un altro esempio di quell’ipocrisia di fondo che accompagnò il nascere della Nuova Italia.
Una mia amica calabrese, nelle nostre chiacchiere, mi chiede spesso una sorta di definizione delle “brigantesse”. Ecco, una risposta possibile sta nella vicenda di Maria Teresa: non solo “donne in armi” ma anche donne che difesero la propria gente lavando mutande.
Anche a costo di morire in una piazza a vent’anni per mano di un “addolorato” esercito “liberatore”.
Buona domenica a tutti e … alla prossima.

(*) Promotore Carta di Venosa
Valentino Romano
Questa storia (che pubblicai per la prima volta in “Nacquero contadini …”) è qualcosa di più di una semplice, anche se tragica, storia di violenza: è metafora di una realtà che, a volte, noi “meridionalisti”, nascondiamo sotto il tappeto: a fucilare materialmente Maria Teresa non furono soldati del Regio Esercito ma, come scrive Borges “quattro guardie nazionali di Ripacandida”. Cioè quattro meridionali, quattro compaesani della donna!!! Dove sta allora la metafora-realtà? Eccola: i mandanti potevano anche venire “da fuori”, ma gli esecutori materiali dei dolori del Sud … spesso furono i meridionali stessi. Qualcuno (Alessandro, Michele, Nicola, Bussa Ca Tras, Pantaleo, Sergio e amici miei tutti, ci siete?) ci vede qualche attinenza con l’oggi? Io … sì. Tanta!

IMG_4623