LA FORTEZZA IN CIFRE

LA FORTEZZA IN CIFRE

1. 635 mt di dislivello, 3 km di lunghezza
2. 1.300.000 mq
3. 3 Forti, 7 Ridotte, 28 Risalti
4. Scala Coperta 4000 gradini
5. Scala Reale 2500 gradini
6. 122 anni di costruzione
7. 14 ponti di collegamento
8. 5 ponti levatoi interni
9. 183 fari per l’illuminazone

«Uno dei più straordinari edifizi che possa aver mai immaginato un pittore di paesaggi fantastici: una sorta di gradinata titanica, come una cascata enorme di muraglie a scaglioni, un ammasso gigantesco e triste di costruzioni, che offriva non so che aspetto misto di sacro e di barbarico, come una necropoli guerresca o una rocca mostruosa, innalzata per arrestare un’invasione di popoli, o per contener col terrore milioni di ribelli. Una cosa strana, grande, bella davvero. Era la fortezza di Fenestrelle».
Edmondo De Amicis

«Sempre par di sentire ruggire di sotto le batterie, o di veder tra le casematte rimbalzar le granate degli assedianti sollevando tempeste di schegge, e soldati boccheggiar per le scale, e giù nella valle, e poi fianchi del monte, saltar in aria cassoni d’artiglieria, e masse di truppa sbaragliarsi urlando per i boschi, sparsi d’affusti stritolati e di membra umane»«Guardiano immobile e supremo della nostra indipendenza e del nostro onore».
Edmondo De Amicis
LA STORIA

Nel 1694 Luigi XIV (il «re Sole»), su consiglio del generale Nicola Catinat, fece erigere a Fenestrelle, in alta val Chisone – che da diversi secoli apparteneva alla Francia – un forte, il forte Mutin. Posto sulla sponda destra del torrente Chisone, fu conquistato dalle armate sabaude di Vittorio Amedeo II nell’agosto 1708, dopo un assedio durato 15 giorni. Con il trattato di Utrecht del 1713 l’alta valle del Chisone e il forte Mutin passarono ufficialmente ai piemontesi. Il re di Sardegna, negli anni ’20, ritenne inadeguato il sistema difensivo rappresentato da tale fortezza e da alcune sue postazioni ridotte. Affidò quindi ad Ignazio Bertola, conte d’Exilles, primo ingegnere di S.M., l’incarico di progettare nuove fortificazioni a Fenestrelle. Il complesso fortificato, concepito come una struttura a serravalle sul versante sinistro orografico, comprende tre forti (San Carlo, Tre Denti, Valli), tre Ridotte (Carlo Alberto, Santa Barbara, Porte) e due Batterie (Scoglio, Ospedale), collegate fra di loro da una Scala Coperta di 4000 gradini, unica nel suo genere. Le prime «Istruzioni per li lavori da farsi in costruzione delle fortificazioni di Fenestrelle» sono datate l’8 ottobre 1727, a firma del Bertola, ed elencano in 96 punti i modi secondo i quali si dovranno eseguire i lavori, specificando in maniera dettagliata i doveri degli impresari, i tipi e la quantità dei «travagli», la qualità e la provenienza dei materiali. Le istruzioni si susseguirono poi per tutti gli anni di costruzione del complesso. I lavori iniziarono nel 1728 nella parte alta, in cima al Monte Pinaia (una propaggine del Monte Orsiera) con la realizzazione delle tre Ridotte (Elmo, Sant’Antonio, Belvedere) che insieme costituiscono il Forte Delle Valli. Scendendo gradualmente con le operazioni, verso il fondo valle, venne prima integrata la preesistente ridotta costruita dai francesi, che prese il nome di Forte Tre Denti; ed infine, a partire dal 1731, avviata l’edificazione del «forte da basso» (il Forte San Carlo), il più esteso e rappresentativo del complesso. Vittorio Amedeo II, iniziatore dei lavori, ne vide realizzata solo una piccola parte. Infatti l’abdicazione (1730) trasferì la prosecuzione dell’opera al figlio Carlo Emanuele III. Numerosi ed importanti ingegneri e architetti militari si occuparono del forte come il De La Marche (o La Marchia) – morto nel 1742 a Fenestrelle e sepolto nella Chiesa parrocchiale – e il Marciotti (questi due operarono direttamente nel cantiere di Fenestrelle), quindi il conte Pinto (succeduto al già citato Bertola), il De Vincenti, il Nicolis de Robilant, il Rana.
LA RIDOTTA CARLO ALBERTO
forte carlo alberto
Nel 1836 il consiglio del genio militare deliberò lo smantellamento definitivo dell’antico forte francese, il forte Mutin. Ritenuto ormai obsoleto e pericolante dopo quasi un secolo e mezzo di servizio, fu sostituito con una nuova struttura militare, che completava lo sbarramento della valle anche nel suo punto più basso.

La Ridotta Carlo Alberto – che prese il nome del re sabaudo che finanziò i lavori – era costituito originariamente da due edifici tozzi e contigui, posti sulla sinistra orografica del Chisone, strategicamente a cavaliere della strada regia, l’attuale strada statale del Sestriere. Il fabbricato ancora esistente, ubicato sulla sponda del torrente Chisone, a pianta quadrata, di forma troncopiramidale (per l’inclinazione dei possenti muri a trabucco), è strutturato su 5 piani, di cui 2 sotto il livello della strada, con stanze tutte voltate «alla prova di bomba». Era munito di numerose bocche da fuoco – 11 su ogni lato della strada – di calibro forse inferiore rispetto a quelle impiegate nel Forte San Carlo poiché i locali «a casematte» erano privi dei binari direzionali o dei ganci d’ancoraggio. Il settore orientale mancante fu fatto saltare a colpi di mina, nel luglio del ’44, da partigiani della divisione A. Serafino, nell’intento di rallentare l’opera di rastrellamento e la marcia dei tedeschi verso l’alta valle. Questo corpo di fabbrica, composto da 4 piani, di forma rettangolare, controllava direttamente l’importante arteria di fondovalle tramite un ponte levatoio e una saracinesca in ferro per ognuno dei due lati, che ne bloccavano il passaggio. La Ridotta Carlo Alberto era inoltre corredata di locali di caricamento e di una polveriera di 24 mq, denominata «della tagliata», collocata poco distante nell’omonimo fossato, che sale fino alla tenaglia occidentale di Sant’Ignazio. Una trincea, protetta da una cortina traforata da feritoie ancora esistente, collegava la ridotta con la «colombaia»: è questo l’antico Chateau Arnaud, sede nel ‘500 del castellano che amministrava la giustizia nella val di Pragelato, poi ridotta del forte Mutin, usato in seguito per custodire ed allevare i piccioni viaggiatori. È attualmente di proprietà privata. Una strada militare sterrata collega ancora oggi fra loro la Ridotta Carlo Alberto e la colombaia, raccordandosi poi con la strada che conduce alla Porta Reale del Forte San Carlo al termine di una galleria scavata nella viva roccia e lunga più di 50 m («roca Furà»).

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PRIGIONIERI

IL ruolo di prigione di stato caratterizza il forte fenestrellese per molti anni: sia sotto la dominazione napoleonica che, in seguito, sabauda. Alla fine del XVIII secolo il carcere della fortezza ospitò soprattutto ufficiali agli arresti, rei di aver accettato, o provocato, duelli nelle province sarde. Tra questi ultimi va ricordato lo scrittore savoiardo François Xavier de Maistre, il quale, nel 1790, per ingannare la noia delle 42 giornate trascorse nel Padiglione degli Ufficiali a causa di un duello, vi tracciò la bozza del suo capolavoro, «Un voyage autour de ma chambre». Napoleone ruppe la tradizione di reclusorio militare aprendo le porte del San Carlo ai primi detenuti politici. La fortezza nel XIX secolo risulta essere la nona bastiglia di Francia. A farne le spese, primo tra i personaggi di rilievo del mondo politico europeo, il cardinale nero: Bartolomeo Pacca, prigioniero dal 1809 al 1813.
Nei lunghi mesi della prigionia non mancarono al Pacca i vicini di cella: il carcere pullulava di detenuti. Per la massima parte i reclusi erano ecclesiastici, nobili monarchici, oppositori di Bonaparte. L’alto prelato racconta di dieci napoletani incarcerati tre anni prima del suo arrivo: partigiani borbonici dai modi facinorosi e torbidi. A questi si aggiungevano molti piemontesi, sospettati di aderenza con gli austriaci. Altre autorità ecclesiastiche dividevano la prigionia con il cardinale nei primi anni del 1800. Tra i tanti vi erano l’arciprete di Fontanelle, il sacerdote Tognetti di Pisa e Sebastiano Leonardi: tutti colpevoli di vilipendio alla Francia, avendo ironizzato sull’imperatore o gioito per le vittorie viennesi. Non mancavano i nobili, tra gli ospiti della fortezza, come ad esempio il conte Andrea Bacili ed il conte di Trastmara. Con loro, in mezzo alle spesse mura del gigante armato, il cavaliere Antonio Vargas, il signore Canaveri, il signor Elexega ed il nipote del Pacca, monsignor Tiberio. Poco tempo dopo l’arrivo del segretario particolare di papa Pio VII giungeva al forte il conte Cassini: uomo che incontrò in cella la morte, seguita ad un breve periodo di reclusione. Ulteriori sacerdoti rinchiusi erano: il canonico Evasio dei conti Dani d’Asti, il vescovo Mancini, il canonico Barrera, don Giovanni Soglia, Ceccarini, Bertani, Domenico Sala, Nucciarelli, don Barbetti, l’arciprete Pino. Personaggi appartenenti alla corte di Sua Santità, oppure prelati che non avevano prestato giuramento di fedeltà nei riguardi del governo francese. Nel 1811 arrivava a Fenestrelle anche il marchese Giovanni Naro Patrizi. Qualche anno più tardi Napoleone terminava la sua folgorante carriera di condottiero; nel forte il bastone del comando passava nuovamente ai Savoia. La casa regnante di Torino valutò positivamente l’uso fatto della fortezza di Parigi, decretando e rinnovando così l’idoneità del luogo a raccogliere tutti coloro che osavano anelare la libertà. Tra i prigionieri che ben presto furono colà inviati troviamo anche il riformatore piemontese Carlo Pasero, condannato nel 1816 a sei mesi di reclusione per un incidente cavalleresco, e il canonico pinerolese Giovanni Battista Camillo Tegas, imprigionato forse per motivi politici, fu liberato il 5 giugno 1821. In seguito ai moti del 1821 furono inviati in Fenestrelle: – il principe Carlo Emanuele del Pozzo della Cisterna. Mandato in fortezza a causa delle sue idee liberali, manifestate con troppa passione, da Parigi, alla vigilia della protesta di marzo; l’abdicazione di Vittorio Emanuele I lo rimise in libertà, consentendogli di riunirsi ai Carbonari di Pinerolo – il marchese di Priero, suo corrispondente torinese; – alcuni ufficiali e soldati di truppa che presero parte ai moti. Con l’avvento al trono di Carlo Alberto tocca ai mazziniani cadere sotto i colpi della repressione. Fece l’amara conoscenza di Fenestrelle Giuseppe Bersani (figlio naturale di Carlo Felice), appartenente al nucleo carbonaro «Cavalieri della Libertà», nonché aiutante ufficiale delle guardie del corpo, rimase prigioniero fino al 1837. La leggenda vuole che quest’uomo fosse oggetto delle attenzioni di una dama: periodicamente la donna si recava sulla riva destra del Chisone e, con un cannocchiale, guardava in direzione delle carceri situate nel San Carlo. Abbracci a distanza di un sentimento diviso dalle spesse mura del forte. Dal 1833 le porte del Padiglione degli Ufficiali, istituto regio di correzione militare, si chiudono alle spalle dei liberali appartenenti alla «Giovine Italia»: idealisti guidati da Mazzini e ferventi credenti nella rivoluzione che afferma i valori costituzionali. L’Italia intera è all’epoca pervasa dai moti di pensiero mazziniani; progetti di rivolta che spesso si indirizzavano, in cerca di appoggio, anche al monarca sabaudo Carlo Alberto. Erano infatti in molti a sperare nel re che aveva solidarizzato con i rivoluzionari del 1821, ma ogni illusione cadde quando il Savoia manifestò l’intenzione di «fucilare tutti i carbonari e spezzare con forza ogni velleità libertaria». Le carceri si riempirono di giovani sognatori, seguendo l’esempio delle sale di tortura e le stanze del carnefice. Il plotone di esecuzione operò a Chambery, Alessandria e Genova. Tra i reclusori spiccava ancora una volta il San Carlo di Fenestrelle dove vi alloggiarono: – Vincenzo Gioberti che a causa delle precarie condizioni di salute, chiese ed ottenne, dopo breve tempo, la commutazione della pena carceraria in quella dell’esilio – Giuseppe Thappaz. Ufficiale del regio corpo di artiglieria, portò le idee liberali nelle file dell’esercito. Il Ruffini lo descrisse come il classico eroe. Fu denunciato da due suoi sergenti e condannato a vent’anni di prigionia. – l’avvocato Francesco Guglielmi. Rinchiuso a Fenestrelle nel luglio del 1840 ed eletto senatore nel 1870. Questi divideva profonda amicizia con il Thoppaz, per certi tratti si sospettò che tra i due corresse legame d’amore, manifestato con scambi di disegni e poesie. Guglielmi lasciò il carcere nel 1842. La lunga reclusione per l’ufficiale continuava, spezzata solo dal vano tentativo di evasione tramite l’uso, come da romanzo, della fune di lenzuola. Purtroppo il militare non riuscì a portarsi fuori da Fenestrelle e fu raccolto nei pressi del Chisone gravemente ferito. Thoppaz venne liberato nel 1847 e poté rivedere Torino e il suo amico. Il generale Guillet condannato a dieci anni, morì nella fortezza dopo averne scontati cinque.
Il medico Angelo Orsini, condannato anch’esso a 20 anni, leale alla causa, non volle mai rivelare i nomi dei suoi compagni, neppure di fronte alle minacce del governatore di Fenestrelle, il colonnello De Andrejs. Cristoforo Maja, condannato al carcere perpetuo per alto tradimento militare per aver tentato di sollevare l’esercito contro la monarchia. Uscì nel 1843, in seguito venne eletto deputato subalpino. Paolo Paravia, ufficiale del reggimento Aosta. Figura ambigua, per non cadere sotto i colpi della fucilazione elencò tutti i nominativi di chi cospirò con lui: delatore odiato e tacciato di ignominia, lo si rinchiuse insieme a coloro che tradì. Nell’ottobre 1836 si aggiunsero tre torinesi: il medico Vallino, l’avvocato Bronzini ed un tal Ducco, proprietario del Caffè San Carlo. L’accusa era di complotto, per avere i tre avuto un abboccamento con il teologo Rapelli, forse un agente mazziniano. Nel dicembre successivo i primi due venivano scarcerati, mentre il Ducco doveva ancora a lungo penare nella fortezza.

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Negli anni del risorgimento e del regno di Vittorio Emanuele II, i detenuti appartengono in minima parte ai «politici». Tra loro spiccano reclusi per ragioni di sicurezza o a causa di contingenze internazionali. Non mancano i detenuti comuni provenienti dal malfamato rione dei Murazzi. In seguito alle cospirazioni sorte dopo la pubblicazione delle leggi Siccardi, il 23 settembre 1850, faceva il suo ingresso al forte monsignor Luigi Fransoni, arcivescovo di Torino. L’arcivescovo tenne per lungo tempo un comportamento pubblico marcatamente anti statale, rifiutando infine, gesto estremo di ricatto al governo, i sacramenti ad un ministro cattolico morente (Pietro De Rossi di Santarosa). Solo lo sdegno popolare condusse il prelato a celebrarne i funerali religiosi, ma in seguito si decise di decretare l’arresto del Fransoni. Questi arrivò a Fenestrelle nella mattina dell’8 agosto, si fermò alla trattoria «Rosa Rossa» e proseguì per il forte alle cinque pomeridiane. Il governatore Alfonso de Sonnaz lo accolse cortesemente, ma dovette chiuderlo in poche camere, e tenerlo sotto stretta sorveglianza. Il Ministero gli ricusò persino di poter confessarsi ad uno dei cappuccini cappellani del forte. L’arcivescovo aveva un grande amico rappresentato da un piccolo sacerdote: don Bosco. Quest’ultimo «nulla avrà tentato per alleviare in qualche modo la prigionia del suo arcivescovo? Egli di quando in quando recavasi a Fenestrelle presso il curato D. Guigas Giambattista, suo amico, ed ivi predicava. […] Anche nel 1850 vi andò. […].» Interrogato molti anni dopo perché si fosse recato a Fenestrelle in quell’anno, senz’altro rispose: «desideravo di vedere quelle cime di monte, ove accadde la battaglia dell’Assietta, perché andava ideando di scrivere una storia d”Italia». Questa risposta non convince il suo biografo: «riflettendo che dentro a quelle nere mura della fortezza stava rinchiuso il suo arcivescovo che egli era in attinenza colla famiglia del comandante del forte, Alfonso de Sonnaz, non potrebbe aver relazione questa sua gita con quelle parole: “Allora Cavour mi concedeva quanto io domandava?”». Il 28 settembre il Franzoni viene allontanato dalla fortezza e, attraverso le Alpi, condotto ai confini ed espulso.
Tra i deportati in fortezza per ragioni di sicurezza nazionale, vi furono alcuni ufficiali garibaldini catturati dall’esercito sabaudo nel 1862. La prigionia seguì alle preoccupazioni del regio governo nei confronti della inarrestabile marcia degli uomini di Garibaldi verso Roma. Un’avanzata pericolosa poiché non consentita dalle alleanze internazionali, in primis la Francia. Per tale ragione sull’Aspromonte le camicie rosse vennero fermate dalle truppe regolari. Sei ufficiali furono, in seguito, inviati al San Carlo (20 settembre 1862). Ecco i nomi di alcuni di loro: – tenente colonnello Giacinto Bruzzesi. Personaggio avventuroso, prese parte ad azioni individuali durante le insurrezioni risorgimentali, alla seconda guerra di indipendenza ed alla spedizione dei mille. – maggiore Vincenzo Cattabeni. Uomo di barricata, fu in prima linea nelle battaglie di piazza a Roma e Venezia, di fianco a Pepe. Nel 1860 si imbarcò per la Sicilia entrando nello stato maggiore di Garibaldi. Impazzì nel forte durante la prigionia e di questo morì. – maggiore Clemente Corte. Ufficiale di artiglieria sabauda, combatté a Custoza. Nel 1851 si dimise dal regio esercito e si portò in Africa a pugnare nelle file dell’esercito francese. Durante il 1859 fu assunto da Garibaldi. – Enrico Guastalla. Noto diplomatico e militare. – Francesco Nullo e un certo Guicciardi. Susseguentemente all’unità d’Italia nel San Carlo furono condotti in «villeggiatura a meditare sul regolamento militare» i soldati definiti «indisciplinati». Le palle al piede, i ceppi e le catene, con il finire del XIX secolo, diventano solo un ricordo drammatico del vecchio carcere duro del regno sardo. Oggi da più parti si ricorda il periodo in cui la fortezza divenne un campo di concentramento per truppe borboniche e papaline.

Recenti ricerche sottolineano le pessime condizioni in cui nel 1861 questi militari furono «ospitati» a Fenestrelle: laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei. E’ noto un tentativo di ribellione ideato dai reclusi, piano sventato quasi per caso dalle autorità piemontesi. La fortezza di Fenestrelle non ebbe altri reclusi se non militari: ufficiali condannati agli arresti di fortezza e particolari reparti di disciplina, il più noto dei quali è l’VIII, al quale furono aggregati i commilitoni del caporale Pietro Barsanti, l’organizzatore della fallita rivolta militare di Pavia, nel marzo del 1870. Uno di questi fu il giornalista Augusto Franzoi, il quale tentò pure di evadere. In una notte del novembre 1870, 28 disciplinotti (che desideravano raggiungere la Francia per difendere la Repubblica proclamata in seguito alla caduta di Napoleone III) riuscirono a sorprendere una sentinella e, mediante una corda assicurata ad un cannone, a calarsi da una cannoniera. Ma, mentre tutti gli altri riuscirono a raggiungere il fossato, incolumi, il Franzoi cadde e si slogò un piede. Per evitare il danno di tutti, il ferito fu abbandonato e tosto nuovamente imprigionato. Successivamente trasferito ad altre prigioni, quel disciplinotto finirà per essere liberato ed allontanato dall’esercito. Durante la grande guerra vennero concentrati a Fenestrelle anche prigionieri austroungarici. Altre compagnie di disciplina furono alla Ridotta Carlo Alberto nel 1910 e, dopo il primo conflitto mondiale, nei Quartieri del San Carlo (400 uomini condannati per reati commessi durante la guerra). Tra questi, nel 1916, anche il generale Giulio Dahuet: reo di essersi duramente contrapposto alle strategie, sanguinarie, del capo di Stato Maggiore Cadorna. Le sue teorie sull’uso dell’aviazione in operazioni belliche sono ancora studiate nelle Accademie militari americane. Durante il XX secolo il fascismo riporterà il forte agli antichi lugubri sfarzi di prigione politica.

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