I luttuosi fatti di Pietrarsa

COPERTINARICERCA EFFETTUATA Dal Prof. Renato Rinaldi su: “La Società Operaia Napoletana per i luttuosi fatti di Pietrarsa” Napoli 1863

La Società Operaio di Napoli, dietro i luttuosi fatti accaduti nell’Opificio di Pietrarsa il giorno 6 agosto 1863, aspettava il giorno 12 che riunivasi il Consiglio di Direzione, come sistema ordinario della stessa Società , che trovasi stabilito riunirsi ogni mercoledì sera di ciascuna settimana, e nel periodo che decorreva dal giorno 6 al 12, la stampa Napoletana quel fatto raccontava in modo e forme diverse, talchè il vero si sperdeva.
Nella tornata ordinaria del 12 detto riunitosi il Consiglio si dava lettura dell’ordine del giorno, il primo capo di esso trattava ciò che doveva farsi per gli avvenimenti di Pietrarsa, si passò quindi alla lettura di una lettera del Vice Presidente Onorario Sig.Giuseppe Dassi, in data del 7 suddetto che proponeva la inchiesta sui luttuosi fatti, di sopra cennati.
Quindi si metteva alla discussione, quali erano i doveri, e quali i diritti della Società Operaia in tanto fatto accaduto; dietro lunga e ponderata discussione, si deliberava ad unanimità di voti, che faceva bisogno nominare una commissione di onesti cittadini, i quali avessero con tutta la cura indagati i fatti nel loro vero successo, e ne avessero fatto rapporto alla detta Società, acciò questa raccogliendo nel suo proprio seno delle largizioni che scender doveano in benefizio delle famiglie superstiti dei disgraziati fratelli operai di Pietrarsa, ne avesse potuto fare la debita distribuzione.

Di fatto ad unanimità di voti risultavano a membri della detta Commissione i signori.
Onorevole Pessina Errico Deputato.
Sig. Fioretti Raffaele Professore.
Sig. Duplessis Achille Avvocato.
Sig. Tavassi Francesco ru Giuseppe Operaio.
Sig. Mazza Cav. Salvatore Operaio.
Sig. Mollarne Ludovico Socio.
Invitati i suddetti Signori per l’oggetto su espresso essi ne accettavano il compito, ed hanno rimesso il giorno 5 settembre la seguente.

RELAZIONE

Operai della Società Generale Napolitana

I lacrimevoli casi , che insanguinarono l’Opificio Meccani­ co di Pietrarsa , doveano di necessità commuovere la vostra famiglia isgomentata alle tristissime nuove dei ferimenli e delle uccisioni.
Ma voi dominando ogni passione e salvandovi dalle conci­ tazioni mosse dall’ira e dallo studio di parte , avete resa so­ tenne testimonianza che siete divenuti già adulti nella vita pubblica , e che il sentimento di fratellanza e di carità non può disgiungersi dall’altro in voi, non meno forte, del dovere e dell’onore.
Avete deliberato soccorrere i vostri fratelli; ma avete chiesto conoscere prima se per isventura o per colpa patirono; e nobilmente dubitando di voi stessi avete commesso alla onestà di cittadini da voi prescelti che avessero curato narrarvi schiettamente la verità dei fatti.
Noi abbiamo accettato il grave e delicato incarico, perchè sarebbe stato pessima cosa il non corrispondere alla vostra fiducia, oppure lasciarvi incerti tra rumori che avrebbero potuto falsare la vostra opinione. Epperò vogliamo innanzi tutto dichiarare che, sebbene colla massima religione abbiam cercato di sapere di quei miseri avvenimenti prescegliendo le assicurazioni più vicine e più meritevoli di fede, pure la nostra fatica è semplicemente officioso , e non à potuto oltrepassare la sfera d’indagini concesse a semplici privati.

Operai , siamo lieti nel potervi primamente riferire che il Governo Italiano spiegava la più speciale protezione verso i lavoranti di Pietrana. Allorchè le terre nostre divennero membra della grande Nazione italiana lo Stabilimento passava sotto la Direzione del Ramo Artiglieria. Tutti gli Operai vennero in quel tempo scrutinati, ed a ciascuno fu ordinato che eseguisse un lavoro secondo l’arte sua per ricevere la mercede corrispondente alla capacità dimostrata dopo l’esperimento, a moltissimi fu aumentato il salario pareggiandosi alle tariffe dell’Italia superiore, a tutti gli altri furono conservati gli antichi emolumenti.
Quando nel 1O gennaio 1863 il Ministero delle Finanze, deliberato di affidare l’Opificio alla industria privata, scriveva il capitolato di cessione a Jacopo Bozza con l’articolato 17°, interessandosi segnatamente della condizione degli operai stipulava così;
“Il Signor Bozza si obbliga, tranne i casi di straordinarie crisi commerciali e di forza maggiore, di cui è riservato esclusivamente al governo l’apprezzamento, di impiegare nello Stabilimento almeno ottocento operai per tutta la durata della concessione, e di valersi a preferenza in parità di condizione di quelli attualmente impiegati.”
Di siffatto capitolato pare che gli operai non avessero alcuna cognizione, giacchè in maggio ultimo mandarono una petizione ai Senatori e Deputati nella quale concludevano che il governo avesse voluto, ritenere per se lo Stabilimento , o almeno che nell’atto della concessione avesse fermati degli articoli valevoli ad assicurare il maggior vantaggio della finanza ed il loro avvenire.
Nel giorno sedici luglio seguente la Direzione del Demanio sulle basi del capitolato consegnava a Bozza tanto il materiale che il personale dell’Opificio , e questi formalmente conveniva innanzi al governo « di ritenere tutto il personale preesistente in Pietrarsa ad uguale condizioni per corrispondere cosi agli obblighi scritti ,e morali del contratto. »
Anzi fu aggiunto di doversi mantenere ottocento operai in Pietrarsa e cinquecento nella fonderia ai Granili, posseduta dalla Compagnia Macry Heury e comp.
Il governo aggiungeva questo provvedimento, perocchè già con istrumento del 9 maggio 1863 per gli atti di Notar Ercole Rossi di Napoli, Bozza avea associati a se molti capitalisti, e tra gli altri anche la Compagnia Macr Heury e comp; costiluendosi una società anonima, ed erasi fra le altre convenzioni stabilito di fondere insieme i due Opifici di Pietrarsa e dei Granili.
Operai, sono questi i fatti governativi, queste le opportune disposizioni emanate per tutelare quanti lavoravano In Pietrarsa in fino o che il Parlamento non avesse deliberato su tale concessione.
Come Bozza ebbe per tal modo in possesso quel grandioso Opificio, venne imponendo agli operai di lavorare undici ore fisse al giorno senza verun aumento all’antico salario, il quale corrisponde,a alla media di dieci ore al giorno. Volle ancora per titolo di cauzione, cosa mai per l’innanzi praticato, ritenere tre giorni di stipendio , e di fatti fu ritenuto un giorno su di una prima settimana. Aggiunse che intendeva pagare ad estaglio, da poichè i lavoranti, facea sentire, erano pagati al di sopra delle loro abilità, e che però, bisognava dimiuuire la mercede. La qual cosa è tanto vera che nel numero 218 del giornale la Patria Bozza istesso confessa che nella mattina di quel tristissimo giorno ai battimazza che chiedevano aumento di paga, avea risposto che egli pagava più di quello che si dava negli altri stabilimenti; e che il prodotto di quella Officina non era corrispondente ai salari che si erogavano,avuta la risposta che se ne sarebbero andati tutti, soggiungeva, servitevi.
Verso l’una del medesimo giorno, si crede, essersi riferito al delegato di Portici, da parte di Bozza che facea bisogno di alquanta forza, dovendosi licenziare alcuni operai che volevano essere aumentati di salario.
Le novità praticate da Bozza aveano cagionata molla apprensione nell’animo degli operai, i quali si erano persuasi, che un certo Filippo Pinto, sovrastante a tutti i lavori di Pietrarsa, era colui che malamente consigliava Bozza a loro danno, por lo che eraoo grandemente turbati contro di lui per la incertezza delle sorti loro.
Taluni operai hanno affermato, che alle 3 del pomeriggio dello stesso di 6 agosto, il battimazza Giuseppe Aglione dava i tocchi alla campana, segno di cessare dai lavori; e che il medesimo diceva averlo fatto per ordine di Pinto.
Così lasciato il lavoro e riuniti tutti nel grande cortile presero a gridare -Fuori Pinto, Fuori Pinto, Viva il Governo. Allora Bozza, senza nulla dire, seguito dal suo Scgretario Zimmerman uscì dallo Stabilimento, ed è notevole che passando per mezzo alla moltitudine nessuno gli fece la minma molestia.

Gli operai volevano anche tutti andarsene, e taluni già si erano avviati; ma altri più avveduti inculcarono a tutti di non andar via, se prima non avessero subito la visita consueta, a fine di evitare ogni sospetto od imputazione di sottrazioni. Se non che richiestone il custode, questi si negò dicendo di non avere ordine di farlo fuori l’ora consueta.
In questo, e fra le grida che tutti mettevano di -Fuori Pietro: Viva il Governo: Viva Bozza -giungeva da Napoli il Capitano Ferreri, già direttore dello Stabilimento prima di consegnarsi a Bozza. Accolto da tutti festevolmente, prese per ogni via a raccomandare la calma, e consigliò loro spedissero una deputazione a Bozza, manifestando le loro domande. Dopo di che ritiravasi nella sua abitazione.
Immediatamente fu scelta e mandata una commissione composta di quattro Operai, per chiedere a Bozza. 1° Essere aumentate le giornate a proporzione della fatica. 2° Lavorare dieci e non undici ore al giorno. 3° Non volere Pinto per Capo di officina.
Spedita la commissione, gli operai sparsi quali nell’atrio innanzi la Chiesa e quali nel grande Cortile, si stavano aspettando il ritorno e la risposta.
Intanto all’autorità militare e di pubblica Sicurezza in Portici era fatalmente giunta, voce di allarme ed esageratissima. Pietrarsa (già prima fatta credere un covo di borbonici) essere in piena rivolta, e quivi in atto di perpetrarsi orribili assassinii. Bozza salvato per miracolo. Forse in quell’ora già trucidato Pinto. Non doversi frapporre neppure un istante: esser necessaria non più poca forza: ma un battaglione.
Una compagnia di bersaglieri a passo di carica ansante, volava sopra luogo; la convinzione in che erano che quivi in atto consumavansi atroci misfatti, l’improvviso spalancarsi del primo cancello che gli operai giudicarono ben fatto aprire innanzi alla forza sopraggiungente, produssero la funestissima sciagura di quel giorno. Alle grida accorreva il capitano Ferreri, che dissipando ogni falso allarme, giungeva prodigiosamente ad arrestare ulteriori lutti.
Alcun tempo dopo, verso sera il Questore venuto di Napoli prendeva accurate indagni: tutti gli operai furono trovati senz’armi, nessun istrumento atto a nuocere preso dallo Stabilimento; nulla trovato per terra, neppure pietre. Tutti furono lasciati liberi, tranne il battimazza Aglione, cui si attribuiva aver suonato la campana, ed anche questi è stato di poi lasciato in libertà.
Lo stretto dovere di fedelmente riferire quando fu da noi rarcolto, ci costringe col più grave rincrescimento a parlare di una iscrizione fattta col carbone, che quando il giorno era già bruno fu trovato dal Giudice mand mentale tali Barra in un sito lurido ed appartato, propriamente nell’angolo verso il mare in fondo all’atrio che è tra la Chiesa e lo Stabilimcnlo. Con ribrezzo lo registriamo -Morte a Vittorio Emmanuele. Il suo regno è infame. La Dinastia di Savoia muoja per sempre.
Viva sempre il longanime governo dei preti. Stia sempre in Italia il governo del Papa – Parole esecrande più che detestevoli: ma parole che crediamo non averle mai scritte la mano di alcun operaio, non solo perchè tutti erono stati beneficiati dal Governo italiano, ma anche perchè adesso si erano rivolti con una formale petizione, e sopra tutto perchè le grida date in quel giorno, nel manifestare le loro intenzioni, erano state sempre di Evviva al governo.
Adempimmo in fine la parte più dolorosa del nostro incarico. Due operai spiravano sul luogo per nome Aniello Marino e Luigi Fabbrocino, altri sette, Domenico del Grosso, Aniello Olivieri, Aniello de Luca, Domenico Citale, Mariano Castiglione, Salvatore Calamagni, Antonio Coppola gravemente feriti erano nello stesso giorno menati all’Ospedale dei Pellegrini in Napoli, onde i due primi miseramente lasciavano la vita.
Gli altri Alfonso Miranda, Raffaele Pellecchia, Giuseppe Chiariello, Carlo Imparato, Tommaso Cocozza, Giovanni Quatonno, Giuseppe Calibè, Leopoldo Aldi, Francesco Ottaiano, Pasquale de Gaetano, Vincenzo Simoeetti, Pasquale Porzio, meno gravemente feriti, si sono curati nelle proprie famiglie.
Operai, senza animo di accusare o di scusare chicchessia vi abbiamo riferito ciò che ci è sembrato più vero per concordi ed autorervoli ragguagli da noi ottenuti -Soccorrete i vostri fratelli, e tenete certissimo che la giustizia non mancherà al suo debito: che l’attuale reggimento à fatto il giusto sacro ed inviolabile sopra ogni cosa; e che nessuno mai potrà sottrarsi alla responsabilità dei proprii fatti innanzi alle leggi.

Napoli cinque settembre 1863.

I componenti la Commissione

Enrico PESSINA
Avv.Achille DUPLESSIS,
Raffaele FIORETTI
Francesco TAVASSI .
Cav.Salvatore MAZZA ,
Ludovico MOLLAME

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