LA Corte d’Appello dichiara nullo il matrimonio religioso

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “L CIVILTA’ CATTOLICA anno Trigesimoprimo” VOL.I -Firenze -1880

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COSE ITALIANE
1 – LA Corte d’Appello dichiara nullo il matrimonio religioso di Giuseppe Garibaldi con Giuseppina Raimondi. – ecc.ecc.

À tout Seigneur tout honneur. Questa volta le primizie della cronaca delle cose italiane spettano di piena ragione all’Eroe dei due milioni, che vide finalmente appagati gli ardenti suoi desiderii, per cui struggevasi da tanto tempo e languiva e minacciava di abbandonarci alla desolazion in questa valle di lacrime e di dolore! Il 17 gennaio p. p. venne finalmente trattata, discussa, decisa dalla Corte d’Appello di Roma la causa per nullità di matrimon:o fra il sopralodato Eroe e la Giueppina figlia spuria del marchese Raimondi. Il Mancini, coadiuvato da altri valenti avvocati, pose in opera tutta la sua scienza giuridica e tutta la sua arte oratoria, apprestando a favore dell’Eroe una scrittura messa a stampa io un grosso volume di oltre a 500 grandi, pagine. Il voto del senatore e relatore Manfredi fu propzio. La Corte d’Appello prese in considerazione che il Giuseppe e la Giuseppina andavano pienamenle d’accordo nell’im plorare una sentenza per la nullità dell’infausto loro connubio rato ma non consumato.
Ponderò le ragioni in favore suo e contro, ed emanò sentenza favorevole ai due supllicanti smaniosi d’essere liberati dal giogo legale che li tiranneggiava.

La causa
fu trattata profondamente nelle sue parti principali e sotto i due gravi aspetti con cui potea presentarsi. Ed erano:

1°Le considerazioni dipendenti dalla legislazione vigente in Lombardia nel 1860, quando fu effettuato il matrimonio, nelle forme civili e religiose volute dalla legge e sotto l’influenza del Concordato del 5 Novembra1855;
2° Le considerazioni relative al merito intrinseco della quistione, cioè alla invalidità del matrimonio stesso per gli estremi escludenti il consenso e la circostanza dell’essere rato e non consumato.
La difficoltà provegnente dal rito religioso e dal Concordato fu risolta con un misto di ragioni tratte non meno dalla legislazione austriaca che dalla italiana, e sostituendo i diritti dello Stato a quelli della Chiesa circa il giudizio del legame contratto per la celebrazione del matrimonio. E s’intende facilmente che un Governo o Stato che ha tolto al matrimonio ogni carattere religioso, riducendolo alle condizioni d’un puro cntratto civile, quale farebbesi per compera e vendita d’un toro e d’una vacca, non potesse sentirsi inceppato dal diritto canonico. E su questo punto di disquisizioni giuridiche si distese a lungo la sentenza.
Circa il secondo punto la cosa correva più liscia, ed il” Popolo Romano” nel suo 18 del 18 gennaio p. p. ne recitò il testo.
La conclusione fu che la Corte ammetteva le istanze del Giuseppe e della Giuseppina, dichiarava nullo il loro matrimonio, libere le due parti d’ogni supposto impegno tra loro, mandando registrare nei libri parrocchiale e di stato civile questa decisione per ogni buon fine.

2. Questa Sentenza, a cui il Pubblico Ministero guardossi bene dal contrapporre appello, fu subito trasmessa per telegrafo all’Eroe dei due milioni, che dalla consolazione si riebbe quasi subito dai suoi malori e per poco non ringiovanì di dieci o venti anni. Senza punto indugiare furono chiamati ed accorsero alla Caprera i consanguinei e congiunti dell’Eroe, e con essi il Sindaco della Maddalena, alla cui giurisdizione municipale sottostà il piccolo reame dell’Eroe. La Francesca, quella donna cioè che di fantesca o nutrice in casa a Stefano Canzio genero del Garibaldi, era passata a vivere con l’Eroe ed aveane generato due figli, Manlio e Clelia si rivesti dell’abito nuziale già apprestato e candidissimo quale si conviene a sposa verginella, ed il sopralodato Sindaco ricevette la dichiaraziooe del loro consenso a voler essere marito e moglie. Si procede quindi alle formalità per la legittimazione e per lo stato civile di Manlio e Clelia, e l’Eroe, certo di poter lasciare alla sua donna la pensione che spetta alla vedova di tal Generale, ed a Manlio e Clelia i residui a due milioni ed altri accessorii, gustò le civili gioie di marito e di padre nel consorzio degli accorsi a rallegrarsi con lui.
Fioccarono poi i telegrammi di congratulazione, tra i quali l’Eroe dignossi accettare con molta compiacenza quello che ricevette dal Palazzo Apostolico el Quirinale. I giornali della Garibalderia inneggiarono a questo faustissimo connubbio ed incominciarono a fregiare il nome della Francesca col lilolo di Donna nè più nè meno che se si trattasse d’ una Patrizia del più alto casato Romano..
Notisi però bene che, come Manlio e Clelia non ricevettero battesimo cristiano, neppure di setta qualsiasi, cosi i1 connubio dell’Eroe colla Francesca fu puramente civile. Ora che cosa sia, al cospetto di Dio e della Chiesa, tal connubio fra cristiani, fu spiccatamrnte definito da Pio IX alli 25 luglio 1871, quando alla presenza degli ufficiali della Dateria(Civ. Catt. Serie VIII vol. III, p. 484.), ragionando della introduzione del matrimonio puramente civile e del disconoscimento della validità del matrimonio religioso non accompagnato dalle formalità civili, pronunciò queste gravissime parole:
« Colla introduzione del matrimonio civile si è portato un grave danno agli interessi religiosi; giacchè le mire della rivoluzione non si sono limitate alla sola usurpaziooe delle province e delle città pontificie, ma sono state dirette e si dirigono tuttora alla distruzione completa del Papato. Ma, grazie a Dio, la fede esistendo di fatto, il solo matrimomio civile, quando non siavi I’intervento della Chiesa, è ritenuto per quello che è veramente, un pretto concubinato. »

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