Il Brigantaggio alla Frontiera Pontificia-Borjés a Tristany

Pagine da ilbrigantaggioa01saingoog_Pagina_2Ricerca e elaborazione testi del Prof.Renato Rinaldi Da: “Il Brigantaggio alla Frontiera Pontificia dal 1860 al 1863” Milano 1864

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DOM JOSÈ BORJÉS, antico cabeçilla nella guerra di successione in Jspagna, capitanò con onore parecchie guerriglie carliste contro i cristinos.
Ebbe nome di buon capitano accanto ai Cabrera, ai Maroto, ed i Zumalacarreguy,
Fu un illuso ed un tradito, un capo partigiano convinto e di buona fede, non un brigante nello stretto e brutto significato della parola,
Egli credeva di trovare l’insurrezione ovunque e di avere un’armata ai suoi ordini. – Trovò l’indifferenza e l’ avversione dappertutto e per esercito una magra, famelica e prava frotta di triviali assassini.
Con un pugno di spagnuoli attraversò la Calabria, la Basilicata, il Matese, l’Abruzzo, circondato ovunque da truppe, inseguito come belva, tradito, manomesso e ven­ duto da tutti; continuamente combattendo, sfuggendo al numero, ritirandosi, nascondendosi, ed or mostrandosi ed audacemente marciando al nemico per poi deluderlo ancora con marcie, contromarcie, ritirate, falsi assalti e stratagemmi; compl una marcia meravigliosa, e sfugìi con singolar fortuna e talento a tutte le persecuzioni di sette corpi comandati da sette generali italiani espertissimi, attivi ed infaticabili: Brunetta, Della Chiesa, Mazè, Villarey, Cadorna, Govone e Chiabrera, e usci vittorioso dalle prove le più terribili e penose. Soffrì impavidamente la fame, la sete, il freddo, il caldo, la pioggia, tutti gli stenti, tutte le fatiche, tutti i dolori, tutte le disillusioni le più amare. Gia stava per toccare il desideratissimo confine, quando a poche centinaja di metri dalla frontiera Pontificia cadde spossato, sfinito di forze , moralmente e fisicamente impotente lui ed i suoi, presso Tagliacozzo, e colà trovò la morte con tutti i suoi – tutti!
Borjés era un uomo di cuore e d’ onore, aveva tutti i requisiti militari per fare uno dei più distinti capi partigiani: attività, perspicacia, tenacità , sodezza, valore, calma nel disordine, rassegnazione nei disastri, impavidezza nei maggiori pericoli e nelle peggiori sventure.
Fu un tradito ed un illuso. – Tradito dalle promesse della Camarllla reazionaria di Roma. – Illuso dalla fede nel principio della legittimità.
Egli vedeva nel suo operare e persistere un’azione grande e generosa, ed a questa nobilmente si sacrificò.

Egli fu il don Chisciotte di una causa perduta e screditata, combattè i molini a vento, ma li combatté colla fede del soldato d’onore e di convinzione, combattè da cieco e da pazzo si, ma da generoso e da valente qual era, da vero discendente del gran cavaliere della Mancia, di Avalos, il famoso marchese di Pescara, d’el Pastor, d’el Capucino, d’el Trapisto, d’el Empecinado e di Castagnos.
Alle ore undici e mezzo della sera delli 7 dicembre 1861, il sotto Prefetto di Avezzano avvisava il maggiore Franchini, comandante il primo battaglione Bersaglieri a Tagliacozzo, che Borjés con ventiquattro suoi compagni a cavallo era passato da Paternò dirigendosi sopra Scurcola, nel medesimo tempo che i Carabinieri avvisavano cbe lo stesso Borjés alle ore 8 di sera del 7 detto aveva traversato Cappelle colla sua banda, e che tutto faceva supporre avessero presa la strada per Scurcola, Sante Marie al Tufo.
Dietro tali notizie il maggiore Franchini spediva tosto una forte pattuglia verso Scurcola colla speranza d’incontrarli, ed altra a Sante Marie per aver indizii se mai i briganti fossero colà arrivati; ma costoro prima degli avvisi ricevuti avevano già oltrepassato Tagliacozzo e traversato chetamente Sante Marie, dirigendossi sopra La Lupa, grosso casale del signor Mastroddi.
Certo del passaggio dei briganti, il maggiore Franchini prendeva con sè una trentina di Bersaglieri, ed alle 2 prima di giorno ponevasi alacramente ad inseguire i mal­ fattori.
Giunto a Sante Marie trovava la pattuglia colà spedita, e da questa e dai paesani aveva ragguagli certi del passaggio dei briganti, ed ajutato dalla neve, dopo breve riposo, celeramerite prendeva le traccie dei briganti per alla Lupa.

Erano circa le 10 antimeridiane quando giungeva alla cascina Mastroddi ed al suo avvicinarsi nulla gli dava indizio essere occupata dal briganti, quando una cinquan­ tina di metri circa da quella, vede alla parte opposta fuggire un uomo armato, si mette a furiosa carriera, lo raggiunge ed abbarra a costui la strada; i suoi bersaglieri si slanciano alla corsa dietro il loro maggiore, ma il malfattore vistasi impedita la fuga gli pone la bocca della sua carabina sul petto e scatta, manca il fuoco; lo mira Franchini alla sua volta colla pistola ed ha la medesima sorte, ma non fallì quella d’un colpo coll’arma sulla testa che lo stese a terra.
I bersaglieri s’aggruppano intorno al loro Comandante, ed a colpi di bajonetta uccidono quanti trovano fuori, altri circondano il casale, ma i briganti avvisati fanno fuoco dalle finestre e feriscono due bersaglieri. S’impegna un vivo combattimento ed i briganti si difendono accanitamente; infine dopo mezz’ora di fuoco il maggiore Franchini loro intima la resa, minacciando dar fuoco alla casa.; ostinatamente rifiutano. Volendo Franchini risparmiare quanto più poteva la vita a’suoi bravi bersaglieri, faceva appiccare il fuoco alla cascina e soltanto dopo esserne due abbruciati s’arrendevano a discrezione.
Ventitré carabine, diciasette cavalli, tre sciabole, moltissime carte interessanti cadevano in potere del maggior Franchini, non che tre bandiere a tre colori italiani colla croce di Savoja, forse per servire d’inganno, e lo stesso generale Borjés con i 7 suoi compagni, i quali vennero tradotti a Tagliacozzo, insieme ai quattro morti ed ai due bruciati, ed alle ore i pomeridiane del giorno 8 dicembre venivano tutti fucilati, ad esempio dei tristi che avversano il Governo del Re ed il risorgimento della patria nostra.
Quando il capobanda Borjés si arrese, presentò la sua spada al maggior Franchini che la rifiutò con isgarbo, dicendo che non poteva accettare la spada d’un brigante e d’un uomo senza onore !
Interrogato se aveva qualche deposizione importante a fare mercè la quale avrebbe salva la vita, lui solo, non i suoi compagni rispose arrogantemente aver nulla a dire , e che nessuna pena o minaccia l’avrebbe fatto parlare.
Condotto in caserma legato co’suoi seguaci, il maggiore Franchini mandò due preti nel carcere per confessarli tutti.
Compito quest’ultimo dovere fece intendere al Borjés che se svelava qualche cosa di certa entità non sarebbe stato fucilato; rispose sogghignando che come Generale non avrebbe dovuto passare per le armi, che nulla aveva a deporre, solo rincrescergli di perder la vita quando già stava per afferrare il confine Pontificio, ove alla testa di numerosi armati avrebbe ben presto fatto pentire gli usurpatori.
Essendo il tutto riuscito vano , fu condotto sul sito della esecuzione, ove baciò tutti gli spagnuoli, pregò i bersaglieri di non farlo patire e che mirassero alla testa, quindi inginocchiatosi coi primi nove, intuonò una specie di litanie in lingua spagnuola, ed una scarica lo distese morto.
Il 27 dicembre i signori Principe di Scilla e Visconte di San Priest, residenti a Parigi, domandarono a S. E. il generale Alfonso Lamarmora il favore di poter fare l’esumazione a loro spese della salma del generale Borjés, per darle quella onorevole sepoltura che meritava. S. E. avendovi di buon grado aderito, fu incaricato della missione il dottore Bérard, medico della legazione francese in Roma.
TRISTANY, spagnuolo come Borjés, e come Borjés antico capitano di guerriglie in Ispagna ella guerra di sucçessione tra don Carlos e la regina Cristina, non ha di Borjés né i talenti, né l’ardimento , né il carattere generoso e disinteressato e la nobile ingenuità.
Tristany é però uomo risoluto, d’animo retto e pieno di convinzione; ma è poco intelligente e poco operoso, egli é il Fabio dei briganti; temporeggia, ma questa
tattica che riuscì cosi onorevole e proficua in que’tempi al generale Romano, nella moderna guerra di montagna e con briganti per soldati, il saggio indugiar perde il suo nome e il suo prestigio, e riesce di sfregio e disdoro al Capitano.
Egli d’altronde é uomo già attempato, avendo certamente compiuti i sessant’anni.
È però robusto, forte, alto, ben preso della persona, vegeto e prospero di figura, con folti baffi ed occhio vivissimo ed altero. È poco amato dai briganti, perché non si dedica esclusivamente alla rapina ed al sangue. Si pretende perfino che abbia condannato e fatto fucilare Chiavone, il 18 giugno 1862, verso Velletri, nelle vicinanze del monastero de’Certosini, perché convinto ladro e saccheggiatore; dicendo che bisognava moralizzare le bande, e che simili capi disonoravano la causa per la quale sbandeggiavano, ed erano di scredito e di vergogna al Re che osava stipendiarli!
A questo bel fatto, che tanto l’onorerebbe, la mia imparzialità di storico mi fa dovere contrapporne un altro che molto l’oscura e lo deturpa.
Tristany nel mentre stava trattando a Roma col comitato Borbonico del suo comando generale delle bande brigantesche alla frontiera, avrebbe fatte fare, per mezzo di emissari romani, delle proposizioni al capitano italiano Gregorio Ximenes del 43° fanteria ad Isoletta, e per via di questo al generale Govone, comandante generale della zona in Gaeta, per trattare della sua cooperazione od inazione co’ suoi spagnuoli , mediante un forte sborso di piastre.
Il generale Govone rifiutò con disprezzo le proposte, e gli fece rispondere asciutto e breve: Che non vi erano denari per simili mercati, e che la sua opera nel briganaggio sarebbe pagata in tardo piombo come per Borjés! (Dispaccio telegrafico 16 aprile 1862 da Isoletta, N. 185 del Capitano Gregorio Ximenes.)
Dopo questa esplicita e fina risposta, Tristany per mostrarci che avremmo a pentirci più tardi amaramente, ma indarno, di non averlo comperato, si diede a tutt’uomo e con ostentazione a raccogliere ed ammassare il personale delle future sue bande. Travestito da campagnuolo napoletano colle tradizionali e pittoresche cioccie, accompagnato da quattro suoi uffiziali, parimenti tramutati di spoglie, si recò per la via ferrata in un treno di ballast nella macchia di Pofi e colà raggruzzolò i suoi briganti, li armò e li organizzò per quanto possibile militarmente. Quindi tentò a più riprese e con fortuna diversa, ma con indecisione e fiacchezza, e senza un concetto militare ed un criterio strategico, assalire que’luoghi più deserti ed imbelli che dai rapporti dei suoi fidati sapeva essere meno guardati da noi e per conseguenza più facili ad essere predati.
I suoi sforzi furono in gran parte infruttuosi, e quelli che per caso riuscirono lo furono solo parzialmente ed a suo danno, poiché quei piccoli trionfi gli costarono assai caro, e lasciovvi il più delle volte il miglior nerbo delle sue bande, attalchè i nostri soldatl avvezzati al suo modo lento, compassato ed indeciso di guerreggiare, ogni qual volta aveva luogo una sua azione, dopo un lungo periodo di pace e di inattività, si poteva essere sicuri che per lungo tempo non si avrebbe più nulla a temere da lui, e si poteva, come dicesi volgarmente, dormire sulle due orecchie, poichè si rintanava nelle macchie del Pontificio per prenderlena e riordinarsi, e prima di rimettersi in campagna ci volevauo i gangheri, ossia le ingiunzioni pressanti, ripetute, incalzanti e autocratiche di Francesco Borbone e suoi acoliti Clary, Vial, Bosco, Statella, Sgroppa, Riario-Sforza e Bisignano.
Il luogotenente colonnello Armando Filhol di Camas, comandante il 7° di linea francese alla frontiera napoletana, scriveva, il 29 novembre 1862 al generale italiano Villarey: “J’ai peu de confiance dans un résultat quelconque de nosfréquentes expéditions, mais nos reconoaissances multiples faites par de petits détachements où par toutes nos troupes peuvent et doivent finir par dégouter les individus reunis autour du Guérillero de Dom Carlos.
Quant à lui mème il résulterait, de lettres à lui adréssées et trouvées dans son portefeuille, qu’un détachement du 29° de ligne, placé sous mes ordres, à saisi dans son camp mème, il résulterait, dis-je, qu’il se plaint du petit nombre d’adhérents qu’il a autour de lui. On cherche à le consoler avec de l’eau bénite de cour:
“Il vous est plus facile de nourrir un petit nombre d’hommes avec lesquels vout passerez facilement entre les détachements qui vous surveillent; LE BRUIT DE VOS
ÉXPLOITS attirera vers vous les chefs des bandes des Abruzzes, etc., etc.”
C’est un homme au caractère de fer, mais il se plaint; que seras-ce des autres qui sont moins vigoureusement trempé que lui ?………..

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